Tre motivi per leggerlo.
“Le opinioni più ridicole, le mode più assurde possono essere dissipate soltanto con la dote dell’irriverenza e da un pensiero meno serio e più lieve. Perché la pesantezza è l’ingrediente essenziale dell’impostura” (parola di Anthony Ashley-Cooper, conte di Shaftesbury). Prezioso questo libretto pubblicato da Chiarelettere. Un classico del pensiero del ‘700.
In tempi segnati da fanatismo e integralismo ci farà bene la lettura di questo libretto- Perché è una lettera illuminante scritta da un filosofo più di tre secoli fa e ancora oggi essenziale.
Perché è un manifesto contro la malinconia e l’eccesso di serietà. Perché è un inno alla leggerezza che è l’anticamera della libertà.
L’AUTORE (DA WIKIPEDIA)
Shaftesbury nasce a Londra, nipote di Anthony Ashley-Cooper, I conte di Shaftesbury e figlio del secondo Conte. Sua madre è Lady Dorothy Manners, figlia di John, Conte diRutland. Secondo il racconto del III Conte, il matrimonio tra i genitori di Shaftesbury venne combinato grazie all’intercessione di John Locke, fidato amico del I Conte. Il padre di Shaftesbury pare fosse debilitato sia dal punto di vista fisico che psichico, tanto che, all’età di tre anni, il figlio è posto sotto la tutela del I Conte, il nonno. Locke, presente nella casa del Conte grazie alle sue conoscenze mediche, ha già assistito alla nascita del piccolo Shaftesbury, ed è a lui che gliene viene affidata l’educazione, che la condusse sulla base dei principî enunciati nel proprio scritto Pensieri sull’educazione (pubblicato nel 1693); il metodo di insegnamento del latino e greco antico tramite la conversazione fu portato avanti con successo dalla sua istruttrice, Elizabeth Birch, tanto che all’età di undici anni si dice il piccolo Shaftesbury fosse in grado di leggere scorrevolmente entrambe le lingue.
Nel novembre del 1683, alcuni mesi dopo la morte del I Conte, il padre inviò Shaftesbury al College di Winchester, dove trascorse un periodo infelice, a causa del suo carattere timido e perché schernito a causa del nonno. Lasciò Winchester nel 1686, per una serie di viaggi all’estero, che gli permisero di entrare in contatto con associazioni di artisti e classicisti, che ebbero una forte influenza sui suoi carattere e opinioni. Durante i suoi viaggi sembra non cercasse il dialogo con altri giovani inglesi quanto piuttosto coi loro tutori, con cui poteva conversare su tematiche a lui più congeniali.
Nel 1689, l’anno successivo alla Gloriosa Rivoluzione, Shaftesbury tornò in Inghilterra, e sembra che abbia trascorso i successivi cinque anni dedicandosi a una tranquilla vita di studio. Non c’è dubbio che la maggior parte della sua attenzione era rivolta all’analisi degli autori classici, nel tentativo di comprendere il vero spirito dell’antichità classica. Non era sua intenzione, tuttavia, trasformarsi in un “recluso”. Divenne candidato parlamentare nel villaggio di Poole, ottenendo l’elezione il 21 maggio 1695. Si distinse tra l’altro per un intervento in favore della legge per la regolamentazione delle controversie in caso di tradimento, in particolare per quella norma che doveva assicurare agli accusati di tradimento, o di mancata denuncia di un tradimento, l’assistenza di un avvocato. Nonostante appartenesse ai Whig, Shaftesbury fu sempre pronto a supportare le proposte della parte avversaria, se queste gli sembravano promuovere la libertà dei sudditi e l’indipendenza del parlamento. La salute debole lo costrinse a ritirarsi dal parlamento nel 1698. Soffriva d’asma, disturbo aggravato dall’atmosfera inquinata di Londra.
Shaftesbury si ritirò quindi nei Paesi Bassi, dove entrò in contatto con Jean Leclerc, Pierre Bayle, Benjamin Furly (il mercante inglese quacchero, che aveva ospitato Locke durante la sua permanenza a Rotterdam) e probabilmente con Limborch e il resto del circolo letterario che una diecina di anni prima aveva avuto Locke come suo membro onorato. Probabilmente questo era un ambiente sociale ben più congeniale a Shaftesbury che non quello inglese. In questo periodo erano i Paesi Bassi la nazione dove si potevano tenere, con la maggior libertà e il minor rischio che non nel resto d’Europa, confronti sugli argomenti che più interessavano a Shaftesbury (filosofia, politica, morale,religione). Sembra si debba riferire a questo periodo la pubblicazione clandestina, in patria, in un’edizione incompleta della Ricerca sulla virtù e il merito, ricavata da una bozza che Shaftesbury aveva schizzato all’età di vent’anni; pubblicazione dovuta a John Toland.
Dopo oltre un anno, Shaftesbury tornò infine in Inghilterra, e dopo poco succedette al padre come Conte. Partecipò attivamente, a fianco dei Whig, alle elezioni generali del bienno 1700-1791, e ancora, ma con minor successo, a quelle dell’autunno 1701. Si dice che in quest’ultima occasione Guglielmo III espresse il suo apprezzamento per i servizî di Shaftesbury, offrendogli la carica di segretario di Stato, che tuttavia Shaftesbury rifiutò, a causa del progressivo deteriorarsi delle condizioni di salute. Se il Re fosse vissuto più a lungo, probabilmente l’influenza di Shaftesbury a corte sarebbe stata maggiore. Dopo le prime due settimane di regno della regina Anna, Shaftesbury, privato del suo titolo di vice-ammiraglio di Dorset, tornò alla propria vita ritirata, anche se da alcune sue lettere si evince che mantenne un forte interesse per la politica.
Nell’agosto del 1703 si stabilì nuovamente nei Paesi Bassi, nel cui clima sembrava avere, al pari di Locke, grande fiducia. Tornò in Inghilterra nel 1704, fortemente provato nella salute. Nonostante il soggiorno all’estero gli avesse prodotto, sull’immediato, dei benefici, la malattia progredì inesorabilmente fino a diventare cronica. Shaftesbury ridusse quindi le sue attività a mantenere la corrispondenza e a scrivere, completando e rivedendo, i trattati in seguito raccolti nelle Caratteristiche di uomini, maniere, opinioni, tempi. Continuò tuttavia ad avere un grande interesse per la politica, sia interna che estera, in particolar modo per la guerra contro la Francia, guerra che sostenne in maniera entusiasta.
All’età di quasi quarant’anni si sposò, e anche in questo caso sembra che si decidesse al passo dietro le insistenti richieste dei suoi amici, principalmente per garantire un successore al suo titolo. Oggetto della sua scelta (o, meglio, della sua seconda scelta, in quanto un primo progetto di matrimonio era già fallito in breve tempo) fu Jane Ewer, la figlia di un gentiluomo di Hertfordshire. Il matrimonio ebbe luogo nell’autunno del 1709, e il 9 febbraio dell’anno successivo l’unico figlio di Shaftesbury nacque a Reigate, nelSurrey; è ai suoi manoscritti che dobbiamo molti dettagli sulla vita di Shaftesbury stesso. L’unione sembrò felice, anche se Shaftesbury si sentiva troppo coinvolto dalla sua vita matrimoniale.
Se si esclude, nel 1698 la prefazione a uno scritto di Whichcote (esponente della scuola di Cambridge), Shaftesbury non pubblicò nulla di proprio sino al 1708. A quel tempo iCamisardi francesi attiravano l’attenzione grazie alle loro folli stravaganze, rispetto alle quali erano stati proposte diverse misure repressive, ma Shaftesbury affermò che non c’era nulla di meglio per combattere il fanatismo, se non la presa in giro e il buon umore. A sostegno di questa sua visione, scrisse Lettera sull’entusiasmo, datata al settembre1707, che venne pubblicata in forma anonima l’anno seguente, provocando numerose risposte. Nel maggio del 1709 tornò sull’argomento dando alle stampe un’ulteriore lettera, titolata Sensus communis, e nello stesso anno pubblicò anche Il moralista, seguito l’anno successivo dal Soliloquio o consiglio a un autore. Pare che nessuno di questi titoli sia stato pubblicato col suo nome o con le sue iniziali. Nel 1711 comparvero i tre volumi delle Caratteristiche di uomini, maniere, opinioni, tempi, anch’esse in forma anonima e prive persino del nome dello stampatore. Questi volumi contenevano, oltre ai quattro trattati già citati, le inedite Riflessioni miscellanee e la Ricerca sulla virtù e il merito, che si segnalava esser già stata pubblicata in forma imperfetta, ora corretta e intera.
A causa dell’aggravarsi della malattia, Shaftesbury fu costretto alla ricerca di un clima più caldo; nel luglio del 1711 partì per l’Italia. A novembre si stabilì a Napoli, dove visse per più di un anno. La sua principale occupazione, in questo periodo, sembra sia consistita nella preparazione di una seconda edizione delle Caratteristiche, che fu pubblicata nel1713, poco dopo la morte. La copia, minuziosamente corretta di suo pugno, è attualmente conservata nel British Museum. Durante il soggiorno a Napoli fu impegnato anche nella stesura di brevi saggi (poi inclusi nelle Caratteristiche), e all’abbozzo di Plastica, o l’origine, il progresso e la potenza delle arti del disegno, che però era appena iniziato quando sopraggiunse la morte (venne pubblicato comunque nel 1914, col titolo Caratteristiche seconde o il linguaggio delle forme).
Gli eventi che precedettero il Trattato di Utrecht, che Shaftesbury vedeva come un segnale dell’abbandono dell’Inghilterra da parte dei suoi alleati, lo preoccupò particolarmente durante gli ultimi mesi di vita. Non visse comunque sino a vederne la ratifica (che avvenne il 31 maggio 1713), in quanto morì il mese precedente, il 4 febbraio 1713. Il suo corpo fu riportato in Inghilterra e sepolto nella residenza di famiglia nel Dorsetshire. Il suo unico figlio gli successe come IV Conte, mentre il suo pronipote, VII Conte, divenne un famoso filantropo.
Per gentile concessione dell’Editore pubblichiamo stralci dell’introduzione del curatore del volume David Bidussa
“Una nuova prospettiva”
Nel Settecento per dire «fanatismo» si diceva «entusiasmo». Il primo a distinguere tra le due parole è Voltaire nel suo Dizionario filosofico. Fanatismo, scrive, è una degenerazione della superstizione. Diverso l’entusiasmo, che «è il frutto della religiosità male intesa», in cui la ragione può essere sopraffatta. Non diversamente Hume: la superstizione è figlia della supremazia del clero, della paura e del panico; l’entusiasmo è quella condizione di spirito, altrettanto fondata sull’intolleranza, ma effetto della liberazione dell’individuo dai poteri forti, soprattutto dal clero. In questo senso, a differenza della superstizione, l’entusiasmo sarebbe amico della libertà civile. Entrambi si nutrono direttamente di ciò che all’inizio del Settecento aveva scritto Shaftesbury nella sua Letter concerning Enthusiasm, che in questa edizione abbiamo scelto di tradurre come Lettera sul fanatismo per il doppio significato che la parola «entusiasmo» contiene nell’opera: fanatismo, appunto, da un lato; resistenza a una condizione di sopruso dall’altro. Un tipo di resistenza che nasce da una visione della politica la cui finalità è quella di «salvare le anime» e il cui portatore si sente in «missione per conto di Dio, in nome di un bene da raggiungere». «Salvare anime – scrive Shaftesbury – è diventata ormai la passione eroica degli spiriti esaltati e, in qualche modo, la principale preoccupazione del magistrato e il vero e proprio fine del governo.» È questa la matrice degenerativa di qualsiasi forma di credo, in religione come in politica.
“Prima della violenza”
Shaftesbury ci spiega che la scelta intransigente che all’inizio del Settecento fonda le correnti del fanatismo religioso, non nasce né è la conseguenza di un pensiero religioso, ma è data dalla rivolta contro un sistema che si ritiene «falso», che promette un «bene falso» e contro il quale non può esserci né tregua né pietà. È la rivolta di coloro che si sentono depositari della verità, testimoni di Dio, e che perciò non pensano che il perdono né la comprensione siano una via di riconciliazione in grado di redimere e «salvare» i reprobi. Ma è anche una rivolta di coloro che scoprono la verità della parola di Dio come arma contro la corruzione, come via per la salvezza. Un modello di comportamento fondato sulla rinuncia e che legge la rinuncia come virtù La violenza non necessariamente è inclusa in questo paradigma. La premessa necessaria infatti più che nella violenza consiste nella natura intransigente e radicale della scelta nei confronti del modello di società (e dei suoi valori) da cui si dichiara di voler fuoriuscire. Su questa caratteristica dobbiamo fissare la nostra attenzione. Questa scelta non è solo contrassegnata dall’orgoglio (che certamente c’è ed è rilevante) ma comunica anche la domanda di dignità che chi si rivolta esprime nei confronti di una società che considera corrotta. L’intransigente presenta sé stesso come appartenente a un mondo di liberati, soprattutto di non sottomessi. Questa scena e questa scelta non si sono verificate per la prima volta nelle periferie di Europa, in una delle tante banlieues della rabbia. Esprimono una storia e un sentimento che prima degli ultimi anni hanno avuto almeno altre due occasioni di manifestazione: all’inizio degli anni Ottanta e vent’anni dopo. Nel primo caso la meta era l’Afghanistan, vent’anni dopo l’Iraq. Oggi il fenomeno è numericamente più consistente ma non toglie che risponda anche a una crisi complessiva appunto di promesse non mantenute, al crollo del mito emancipativo in Occidente. Tuttavia questa scena si è svolta in un luogo già definito e compiuto molto tempo fa. Questa storia ci riguarda direttamente.
La scena è un palazzo vescovile; il tempo circa otto secoli fa; il luogo è Assisi. Un giovane benestante decide che la qualità di vita che la sua famiglia gli offre non è fatta per lui, non è quella che desidera. Non solo la rifiuta, ma la ritiene contraria ai principi cui attenersi. Il segno del tradimento. Perciò decide di assumerne un’altra. Per rendere radicale la sua scelta fa un gesto pubblico e plateale in modo da rendere impossibile la revoca. Non vuole essere né solitario né unico, tant’è che chiede che anche altri facciano lo stesso gesto e si uniscano a lui. L’entusiasmo, l’intransigenza, la radicalizzazione non sempre hanno parlato la lingua del darsi e dare morte. Non sempre hanno seguito la strada della violenza e del sangue, ma hanno sempre usato il vocabolario dell’irriducibilità della scelta e dell’impossibilità di mediazione. Tutto questo è la premessa che può tramutarsi nella cultura del dare e darsi morte oppure in quella del rifiuto radicale. Comunque sia, nel suo lessico non è prevista la possibilità di revoca e dunque di compromesso. Anche per questo, inaspettatamente, ma non impropriamente, la storia dell’entusiasmo e le parole di Shaftesbury ci riguardano e, soprattutto, più che a noi, parlano di noi. E delle nostre icone.
Shaftesbury, LETTERA SUL FANATISMO. Introduzione di David Bidussa,Edizioni Chiarelettere Milano 2016, pagg. 8 euro.