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L’equità che manca alla manovra

Legge di bilancio e politica del passo dopo passo.

Una manovra orientata allo sviluppo e all’equità. Così è stata presentata dal presidente del Consiglio la proposta di legge di bilancio per il 2017. Matteo Renzi successivamente ha aggiunto che quella del governo è una politica del “passo dopo passo”. Non sono tra coloro che ritengono possibili svolte radicali, tanto più nel settore delle politiche sociali (ambito principe dell’equità). Troppi sono non solo i diritti acquisiti, ma le aspettative legittime scaturite dalle scelte politiche del passato. I piccoli passi vanno bene, sono ragionevoli, purché si muovano in una direzione coerente, massimizzando l’efficacia e, stante che si parla di equità, evitando di introdurre nuove forme di disuguaglianza tra cittadini.
È proprio su questi aspetti che mi sembra che la manovra sia carente per quanto riguarda l’equità (forse meno per quanto riguarda lo sviluppo, almeno se ci si limita al sostegno alle imprese, dove sembra ci si sia lodevolmente allontanati dal sostegno a fondo perduto). Basta guardare alla distribuzione delle risorse riservate alle politiche sociali: sette miliardi in tre anni, di cui un miliardo e novecento milioni già nel 2017, sono impegnati solo per l’intervento – di fatto assistenziale – sulle pensioni. Con ciò si ipoteca in modo definitivo quella riforma del sistema assistenziale preannunciata per il 2017.
Continueremo ad avere un sistema frammentato, categoriale, parziale e fortemente squilibrato a favore dei pensionati, nei confronti dei quali aumenta ulteriormente la già accentuata eterogeneità dei trattamenti assistenziali – pensione sociale, integrazione al minimo, maggiorazione sociale, quattordicesima, e altro ancora – senza riuscire a evitare che una parte di loro si trovi in povertà, mentre altri beneficiano di trattamenti di fatto assistenziali senza averne bisogno, come evidenziato, tra gli altri, nel rapporto Irs/Capp Verso un welfare dei diritti, e nell’ultimo Rapporto annuale dell’Inps.

Briciole per le famiglie con figli

Al di fuori dell’assistenza ai pensionati con pensioni basse – ma non necessariamente redditi e tanto meno Isee bassi – della sanità e dell’embrione di sostegno alle famiglie molto povere con figli, nella legge di bilancio come fin qui configurata, poco rimane per altri interventi.
All’insieme delle famiglie con figli, il soggetto sempre blandito a parole, ma costantemente mantenuto nella posizione di cenerentola delle politiche sociali nel nostro paese, infatti, sono destinati seicento milioni in tutto, da suddividere ulteriormente tra bonus, premi (?) e voucher per pagare il nido, introducendo un ulteriore frammento incoerente alla giungla (per criteri di accesso) inefficiente e inefficace di sostegni al costo dei figli. Eppure giace in Parlamento, al Senato, una proposta di legge firmata da diversi senatori della maggioranza che prevede, come è logico e opportuno, una razionalizzazione e unificazione di tutti i frammenti eterogenei, per arrivare a uno strumento di sostegno effettivo lungo tutto il periodo della crescita, e non solo nei primi anni di vita, così come avviene nella maggior parte dei paesi europei. La maggior parte dello scarso sostegno sembra, infatti, concentrata sui più piccoli, fino ai tre anni. Come se non si sapesse che il costo dei figli aumenta, non diminuisce, con l’età e che i loro bisogni di crescita e sviluppo delle capacità possono essere solo parzialmente soddisfatti dalla scuola, anche “buona” – una scuola che, per altro, richiederebbe maggiori e più mirati investimenti, per riequilibrare le diseguaglianze di partenza, a partire dai servizi per la primissima infanzia.
Non sarà il rinnovo del “bonus cultura”, i 500 euro destinati ai diciottenni (per altro senza aver fatto alcuna verifica sul modo in cui sono stati spesi e sulla loro efficacia) a riequilibrare una impostazione così fortemente squilibrata a sfavore delle giovani generazioni. Così come non basterà il voucher asilo nido per creare nidi della qualità necessaria per mettere tutti i bambini su un piano di parità ai blocchi di partenza del loro sviluppo. Senza contare che per avere il voucher per il nido occorre che la madre abbia un lavoro. Il che esclude tutte le inoccupate e disoccupate (e i loro figli), tra cui sono sovra-rappresentate le donne a bassa istruzione, specie se vivono nel Mezzogiorno: proprio quelle, e i loro figli, su cui sarebbe più necessario investire per contrastare i rischi di povertà e di riproduzione intergenerazionale (e territoriale) della disuguaglianza.

 

 (*) Sociologa, da La voce del 18/10/2016

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