Eravamo in tre e qualche tempo fa, discutevamo delle tecnologie informatiche. Uno non ne voleva sapere di imparare a comunicare attraverso internet. Non solo gli piaceva continuare a scrivere con la sua montblanc ma non lo affascinava l’idea che potesse ricevere o inviare in breve tempo il suo pensiero ad/da altri. L’altro, che aveva vissuto anche all’estero, magnificava la banda ultralarga e diceva peste e corna del ritardo che aveva l’Italia su questo terreno. Io insistevo che mi sarei accontentato, per intanto, dell’estensione, in tempi accelerati, della banda larga a tutto il Paese.
Alla luce del risultato del referendum, mi è ritornata alla mente questa scenetta amicale. Ho capito che quello della montblanc (la costituzione va bene così com’è) e quello dell’ultra velocità (si può fare una riforma più bella e perfetta) mi impediranno di avere in tempi ragionevoli la banda larga (la riforma approvata dal Parlamento, dopo due anni e mezzo di discussione). Si è persa un’occasione. Resto convinto che, nella sua imperfettibilità, quella riforma avrebbe dato comunque una mano a realizzare un passo in avanti nel difficile equilibrio tra garanzia della democrazia rappresentativa e partecipativa, efficacia dell’azione pubblica e crescita del benessere.
Ovviamente, non è stata soltanto l’alleanza tra conservazione e perfezionismo a bruciare sul rogo non dico Giovanna d’Arco, ma una povera donna, ingiustamente accusata di stregoneria. Si sono combinati tanti fattori sociali, economici e politici che altri, più bravi di me, saprebbero elencare e documentare; forse non basterebbe un numero intero di questa newsletter per essere esaustivi. Di certo, bisogna prendere atto che la discussione di merito sulla riforma costituzionale è stata surclassata da quella sul giudizio nei confronti del Governo Renzi.
C’è stato il bis dei ballottaggi alle recenti elezioni amministrative. Gli schieramenti delle opposizioni si sono ricongiunti e quello governativo ne è uscito soccombente (le analisi sui flussi spiegano che quote di voti si sono mosse da una parte all’altra ma sono risultate marginali, nonostante il maggior protagonismo degli elettori). Non possiamo aspettarci che un periodo di incertezza, fino alle prossime elezioni politiche, dato che non capisce ancora quando potranno essere celebrate. E chissà se ci consegneranno certezze o ulteriori sconquassi.
Nel frattempo, la vita reale della gente scorrerà e perché non scorra selvaggiamente, appesa al filo della provvisorietà e alle scempiaggini declamatorie che si stanno già sprecando, sarebbe utile che il Paese fosse messo nelle condizioni di discutere del bandolo della matassa. Perché chiusa, ripeto, a mio avviso malamente, la partita costituzionale, si tratta di proporre una nuova centralità che possa perseguire gli stessi obiettivi che erano assegnati al ridisegno costituzionale: buona tenuta della democrazia ed efficace azione politica per far star meglio (economicamente e socialmente) le persone.
Ciò che non possono fare le regole, possono farlo le volontà? Sì, se le forze politiche, specie quelle progressiste, e le maggiori organizzazioni sociali convergano sulla necessità di prendere per le corna il toro delle disuguaglianze che si sono accumulate in questi anni di crisi e torcerle nel verso giusto. La politica da sola e il sociale da solo non ce la possono fare. Devono trovare un terreno d’intesa comune, almeno su tre dimensioni.
La prima è che sia accantonata la presunzione dell’autoreferenzialità della politica, che tutto sa e che tutto decide. Allo stesso modo, necessita che il sociale rinunci a rifugiarsi nel corporativismo o nel primato identitario. La seconda è quella di ritornare a fare politica dei redditi, coinvolgendo anche la dimensione europea, come base per una redistribuzione della ricchezza e del lavoro, che inizi a correggere le storture cresciute negli ultimi venti anni. La terza è che tanto la politica quanto il sociale inventino forme crescenti di coinvolgimento delle persone nelle scelte da compiere per combattere le disuguaglianze.
E’ possibile? Non ho nostalgia della concertazione e quindi non penso a cose passate. Ci vogliono soluzioni nuove, sapendo che tanto i partiti quanto le organizzazioni di rappresentanza stanno discutendo della forma della loro rappresentatività. L’importante è che ci sia consapevolezza della complementarietà e voglia di cercare obiettivi e modalità adeguati. Dovrebbe essere ormai chiaro che, se alle persone non resta in mano che il voto – quale che esso sia – è lì che si vanno a convogliare tutte le rabbie, le frustrazioni, le paure, le speranze. Sia quando a votare sono tanti, sia quando ne disertano l’uso. E non c’è twitter, web, talk show che possano supplire alla necessità e voglia di partecipazione attiva delle persone.