Il sistema contrattuale italiano, nonostante le difficoltà esterne ed interne, sta manifestando significativi segnali di vitalità. A livello confederale lo testimoniano i diversi accordi sulle regole reiterati nel tempo fino al TU del 10 gennaio 2014 e da ultimo agli schemi tipo concordati in tutti i settori (industria, commercio e artigianato) per permettere alle PMI di fruire delle agevolazioni fiscali, ai premi di produttività e al welfare previsti dalla legge di stabilità 2016, anche in mancanza di rappresentanze sindacali.
A livello di categoria molti contratti nazionali sono stati rinnovati pur in assenza di regole condivise su un punto critico quale il ruolo del contratto nazionale e i suoi rapporti con la contrattazione decentrata.
Nel settore privato, il recente accordo per la categoria dei metalmeccanici riveste un particolare importanza, sia perché ha avuto una firma unitaria da tutti i sindacati, dopo anni di contratti separati, sia per i contenuti innovativi su due punti critici appena ricordati e per l’allargamento dei temi contrattuali a due materie nuove, il welfare contrattuale e la formazione continua.
Il contratto dei metalmeccanici è un buon esempio di compromesso innovativo. Salva la parte ancora valida del passato, cioè la funzione del contratto nazionale di tutela del potere d’acquisto; ma la declina diversamente per aprire spazi alla contrattazione decentrata. Lo fa in due direzioni: in primo luogo stabilendo che gli aumenti salariali si determinano non ex ante, come secondo l’IPCA, ma ex post in base all’effettivo andamento dell’inflazione; inoltre prevedendo che tali aumenti non sono eguali per tutti, a prescindere dalle dinamiche retributive complessive, in quanto assorbono gli aumenti individuali e gli eventuali aumenti fissi concordati in sede aziendale. Così il nuovo contratto manda un segnale forte per diffondere una nuova politica retributiva, più dinamica e più utile a tutti, lavoratori e imprese. L’intesa conferma al contratto nazionale una funzione di garanzia, ma gli conferisce anche una funzione di stimolo all’innovazione delle prassi salariali degli accordi aziendali.
La soluzione proposta dall’accordo dei meccanici non è l’unica possibile, ma indica una strada che può servire, magari con adattamenti, per impostare il rapporto fra livello contrattuale nazionale e accordi decentrati. Il principio della non sovrapposizione di questi due livelli potrebbe essere inserito nell’accordo quadro confederale, da tempo atteso, sulla struttura contrattuale. Si risolverebbe così un punto critico per la stabilità del sistema, finora rimasto aperto in altri contratti.
Le modalità per applicare in concreto tale principio potrebbero essere specificate con varianti nella futura contrattazione di categoria, se anche questa vorrà lasciare spazio ad una contrattazione aziendale di produttività.
La parte economica dell’accordo sull’artigianato, intervenendo sullo stesso argomento, attribuisce al livello nazionale la fissazione dei minimi tabellari e al secondo livello le erogazioni di produttività senza altra specificazione. L’accordo per il sistema Confcommercio invece incentra sul contratto nazionale un ruolo chiave anche per la valutazione degli incrementi di produttività del lavoro, con una scelta in direzione del tutto diversa.
Un secondo contenuto importante del contratto dei meccanici consiste nella previsione di un obbligo contrattuale di attivare il welfare integrativo e la formazione professionale per tutti i dipendenti. L’importanza del welfare contrattuale è stata segnalata di recente anche in sede confederale. Ma la novità dell’accordo dei meccanici è che welfare e formazione sono messi al centro della contrattazione nazionale, generalizzandone l’ applicazione e investendo considerevoli risorse. Lo scambio contrattuale fra lavoro e salario si arricchisce così di contenuti ulteriori in un’ottica di total reward. E per la prima volta le prestazioni in denaro (51 euro stimati ma non sicuri) valgono meno dei benefits. Il valore di welfare e formazione è infatti maggiore dei 41 euro formalizzati, perché entrambe queste voci portano benefici ulteriori: copertura sanitaria per i lavoratori e per le famiglie maggiore di quanto potrebbe ottenere un singolo con quella cifra; crescita professionale e maggiori possibilità di carriera ottenibili con la formazione.
Naturalmente l’intesa sarà tanto più importante se avrà applicazione rigorosa e di qualità. L’implementazione è particolarmente rilevante ma difficile per formazione e welfare, dove sarà necessaria una organizzazione senza precedenti per garantire servizi all’altezza dei bisogni.
E’ significativo che a tal fine l’accordo abbia previsto specifici comitati consultivi bilaterali per monitorare l’applicazione di questi istituti. Questa scelta segnala un rinnovato interesse per la partecipazione, promossa non per legge come in altri paesi, ma in via contrattuale. Anche questo è un segnale positivo che può essere colto sia a livello confederale in vista degli appuntamenti programmati per definire le regole mancanti al sistema contrattuale sia da altre categorie del settore privato e del pubblico impiego.
E’ importante che anche nel settore pubblico l’intesa recente sia stata raggiunta unitariamente. La parte economica del contratto si basa sulla garanzia del governo di stanziare risorse per incrementi contrattuali in linea con quelli riconosciuti mediamente ai lavoratori privati e comunque non inferiori a 85 Euro mensili. Questa garanzia è significativa perché serve a riallineare le dinamiche delle retribuzioni pubbliche a quelle dei settori privati, e a risarcire, sia pure in parte, la perdita del potere d’acquisto di questi anni di blocco contrattuale.
D’altra parte l’intesa impegna il governo a introdurre gradualmente anche nel settore pubblico forme di welfare contrattuale integrativo, in primis la previdenza complementare, e fiscalità di vantaggio del salario legato alla produttività.
L’aggiunta del welfare (lett. f) dell’accordo) è del tutto innovativa, perché il settore pubblico finora ha adottato solo in misura molto parziale forme di previdenza complementare e di sanità –assistenza integrativa. Dare seguito a questo indirizzo dell’intesa richiederà un notevole impegno sia negoziale sia normativo. Infatti per estendere al pubblico impiego la previdenza complementare servono adattamenti normativi non da poco, perché il settore non può usufruire come il privato di una fonte di finanziamento quale il TFR. Così pure qualche intervento normativo è necessario per regolare meglio la sanità integrativa, a dire il vero non solo nel pubblico impiego ma anche nel settore privato.
Molti benefits di welfare flessibile sperimentati dalle imprese private possono viceversa essere applicati anche nelle pubbliche amministrazioni senza previsioni specifiche di legge, ma per scelte concordate fra le parti. Spetta al contratto nazionale indicare le priorità e le risorse disponibili per sostenere le varie forme di benefits; mentre la costruzione dei piani di welfare e la distribuzione dei vari benefits a seconda delle caratteristiche degli enti e delle aspettative dei dipendenti saranno compito della contrattazione decentrata.
La legge Madia ha incluso fra i principi guida per la disciplina del lavoro pubblico, la valorizzazione del merito, ribadendo un obiettivo tanto dichiarato in passato, quanto disatteso nella pratica. Si tratta di un’indicazione necessariamente generica, che richiede di essere specificata. Questa specificazione compete alle parti e in tal senso si esprimono le lett. b) e c) del contratto; ma affinchè i premi beneficino delle agevolazioni fiscali, i contratti dovranno tener conto di parametri di efficienza, qualità, innovazione idonei a garantire l’efficacia produttivistica dei premi. Resta da vedere come saranno fissati i parametri. Non è detto che debbano essere gli stessi stabiliti per il settore privato della legge 208/2015,data la particolarità delle pubbliche amministrazioni. Ma tale particolarità non preclude la ricerca di indicatori utili a stimolare gli obiettivi di produttività, qualità e innovazione anche nel settore pubblico.
Un’altra parte qualificante del contratto del Pubblico Impiego prevede l’impegno delle parti di individuare nuovi sistemi di valutazione che garantiscano una adeguata valorizzazione delle professionalità e delle competenze e che misurino i differenti apporti individuali all’organizzazione. Questo è un obiettivo centrale per qualificare la contrattazione e per valorizzare il lavoro, quello pubblico come quello privato. La ricerca è da tempo in corso in entrambi i settori, ma finora con risultati solo parziali.
C’è da augurarsi che gli impegni presi nell’intesa per il pubblico impiego non si perdano con la crisi politica intervenuta subito dopo.