Nell’ intento di accorciare i tempi, notoriamente lunghi, della giustizia civile, il Ministero del lavoro tenta la rivalutazione del percorso di carattere extragiudiziale – già introdotto nel nostro ordinamento – per dare una ragionevole certezza ai diritti di carattere patrimoniale dei lavoratori.
L’intervento attiene, in particolare, all’ampliamento della sfera d’azione delle prerogative dell’ispettore del lavoro, fermo restando la tradizionale conciliazione ex artt. 410 e segg. c.p.c.
La fonte originaria è il D.Lgs 23/04/04 n. 124, attuativo della legge Biagi n. 30/2003, che ha previsto la conciliazione monocratica e la diffida accertativa per i crediti patrimoniali, rispettivamente con gli articoli 11 e 12.
La conciliazione monocratica, alla quale il Ministero ha da tempo assegnato una corsia preferenziale nell’ambito delle direttive periodicamente impartite per l’azione ispettiva, è una procedura attivata nel procedimento ispettivo, anche con riferimento ai rapporti di collaborazione, sia a monte che nel corso dell’ attività accertativa, quando le indagini non sono ancora concluse o definite, tali da richiedere l’ eventuale applicazione delle sanzioni.
I vantaggi toccano entrambe le parti: il datore di lavoro riduce i costi delle sanzioni e del contenzioso; il lavoratore, i tempi per il conseguimento dei propri diritti patrimoniali, senza costi e avvalendosi del tutoraggio della P.A.
La diffida accertativa si differenzia, in quanto attiene a crediti retributivi caratterizzati da elementi di certezza, di liquidità, di determinatezza e di esigibilità. La competenza, come nella conciliazione monocratica, è estesa alle spettanze da rapporti di lavoro autonomo, quali collaborazioni coordinate e continuative, lavoro a progetto, associazioni in partecipazione.
Diffida accertativa per i crediti patrimoniali
L’ ultimo intervento ministeriale, contenuto nella circolare n. 1 dell’ 8/1/2013 consiste, come accennato, in un rilancio del potere ispettivo in materia di accertamenti attinenti alla contrattazione collettiva, allargando sostanzialmente, a livello interpretativo, il campo di applicazione del provvedimento, fermo restando la sua struttura originaria.
Una prima circolare (n. 24 del 24/6/2004) aveva già richiamato il percorso e i passaggi dell’azione ispettiva, così riassumibile:
– atto di diffida a corrispondere i crediti patrimoniali vantati dal lavoratore, secondo il contratto collettivo ovvero da contratto individuale;
– notificazione del provvedimento sia al datore di lavoro, sia al lavoratore;
– il datore di lavoro entro 30 giorni ha facoltà di chiedere alla Direzione territoriale del lavoro il tentativo di conciliazione, secondo le modalità della conciliazione monocratica;
– l’ accordo fa decadere la diffida, fermo restando sempre l’ obbligo del versamento dei contributi con pagamento delle sanzioni e degli interessi;
– in caso di mancata attivazione della procedura conciliativa o nell’ ipotesi di mancato accordo, la diffida accertativa aquista efficacia di titolo esecuitivo con valore di accertamento tecnico, previo provvedimento di validazione del Direttore della D.T.L.;
– ricorso con effetto sospensivo al Comitato Regionale per i crediti patrimoniali presso la Direzione regionale del lavoro, con silenzio rigetto in mancanza di decisione entro 90 giorni.
Trattasi di un insieme di garanzie, dettate nell’ interesse del datore di lavoro, per la significativa valenza del provvedimento sotto il profilo della spendibilità, quale titolo esecutivo, da parte del lavoratore.
Dal più recente documento ministeriale, la vigilanza ispettiva esce, come accennato, notevolmente rafforzata, per gli effetti che interessano, in quanto le indicazioni fornite agli ispettori e al Comitato regionale tendono a una più incisiva utilizzazione della diffida, rendendo maggiormente effettive le finalità di tutela volute dal legislatore.
Il salto interpretativo sta nell’ estendere l’ accertamento, per creare il titolo esecutivo di formazione amministrativa, non solo al quantum, partendo dalla presa d’ atto di diritti prestabiliti del lavoratore, ma anche all’ an, entrando nel merito della effettiva sussistenza del credito.
L’ accertamento – sostiene il Ministero – è, infatti, di tipo tecnico, ben potendosi estendere, quindi, alla sussistenza o meno del credito, con i caratteri, prima richiamati, della certezza, determinatezza ed esigibilità.
L’ esempio tipico è l’ attività ispettiva estesa, per quanto interessa, fino all’ area del lavoro sommerso.
Opportunamente, poi, vengono formulate nella circolare talune indicazioni riferite alla classificazione dei “crediti diffidabili”.
La suddivisione è la seguente:
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1) crediti retributivi da omesso pagamento;
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2) crediti di tipo indennitario, da maggiorazioni, Tfr, ecc;
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3) retribuzioni di risultato, premi di produzione ecc;
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4) crediti retributivi derivanti da un non corretto inquadramento della tipologia
contrattuale;
5) crediti legati al demansionamento ovvero alla mancata applicazione di livelli minimi retributivi ex art. 36 Cost.
In particolare, viene precisato che, per quanto riguarda la terza categoria, vertendosi in retribuzione di risultato, premi di produzione, promozione, la diffida è praticabile soltanto dopo le avvenute valutazioni datoriali.
Analoga considerazione vale per i crediti da riqualificazione del rapporto, rimessa alla valutazione del Giudice. Il Ministero, ad esempio, riconduce, in tale ipotesi, la trasformazione in sede ispettiva dei rapporti parasubordinati ovvero delle Partite iva in rapporti subordinati, così non ritenendo fondata, per ragioni di opportunità, l’ emissione della diffida per eventuali differenze retributive.
Appare, invece, fondato, secondo le indicazioni ministeriali, il provvedimento nell’ ipotesi ricorrente dei crediti legati al demansionamento o alle prestazioni di lavoro sommerso ovvero alle retribuzioni non conformi al citato articolo 36 Cost.