Sono Djellil e sono venuto oggi qui per condividere con voi la mia storia. Anzitutto per me questo giorno è una doppia festa dato che proprio oggi compio 18 anni.
Sono nato ad Aversa il 28 giugno del 1999 e dopo pochi anni ho incominciato a frequentare l’asilo e la scuola elementare nella scuola Sant’Agostino di Aversa. Mi piaceva e mi piace davvero tanto studiare, perché so che è il mezzo più importante che mi permetterà di realizzare i miei sogni e soprattutto un futuro che farà felice i miei genitori. Ero anche molto socievole e ciò ha favorito la nascita di tante amicizie ma anche il mio facile inserimento nel tessuto sociale della città.
Fin qui tutto normale, solo che un giorno ho notato una cosa strana. Avevo un compito in classe, però purtroppo non potevo andare, non per volontà mia, ma bensì perché mia madre mi disse che avevamo un appuntamento molto importante a cui non potevamo assolutamente mancare. Ovviamente, per un bimbo che amava la scuola così tanto, era difficile immaginare qualcosa più importante di un compito in classe.
Erano le 6,30 del mattino, e già c’era una fila lunghissima e faceva tanto freddo. Stavamo davanti a una questura ancora chiusa e non capivo in cosa consistesse l’appuntamento importante e neanche a cosa servissero quelle tante fotocopie che portava nella busta mia madre. Ma in quel momento, pensavo ancora all’assenza che avevo fatto quel giorno.
Questo famoso appuntamento importante si ripeteva sempre quasi ogni due anni. Oramai ero cresciuto e ho incominciato a capire che andavamo per prendere un foglio che si chiama “permesso di soggiorno”, che era importantissimo perché ci permetteva di poter rimanere in Italia, il paese dove sono nato e cresciuto.
Un pomeriggio mi recai presso il parco vicino casa a giocare a calcetto e dato che sono anche un ragazzo curioso, ho chiesto ai miei amici se anche loro avessero il permesso di soggiorno per poter rimanere in Italia. Giustamente, non capivano cosa fosse e io, a quel punto, non capivo perché avevo la necessità di questo documento per rimanere nel mio paese. Per me era naturale che chi nasce in un Paese e si sente parte integrante di esso, possa rimanervi senza limiti burocratici, ma evidentemente non è naturale dal punto di vista legale.
Questa cosa è davvero triste, credetemi, perché io non mi vedo assolutamente come un fenomeno di passaggio, ma una realtà presente del mio Paese. Crescendo, ho incominciato a imparare anche la lingua del paese di origine dei miei genitori, l’algerino e a rispondere a tante domande che mi ponevano tutti i miei amici riguardo anche la nostra cultura. Ero felice di rispondere alle loro curiosità perché ho sempre amato confrontarmi e non ho mai subito nessun gesto discriminatorio nei miei confronti da parte loro. Anzi, l’unico momento in cui mi sentivo veramente diverso e emarginato era quando dovevamo recarci a dare le nostre impronte e rinnovare quel foglio di carta. Mi dispiace ancora oggi delle opportunità alle quali non ho potuto partecipare a causa sempre della mancata formalità della mia italianità, come quel corso estivo a Londra.
La mia casa è qui ed è giusto che partecipi con il mio piccolo contributo allo sviluppo di questo Paese in modo paritario con tutti i miei amici autoctoni, ma questo potrà realizzarsi solo con una nuova regolamentazione del diritto di cittadinanza che riconosca lo jus soli a noi giovani nati in Italia, che restiamo sospesi in un limbo rispetto alla cittadinanza legale.
Fra poco, mi accingerò anche io, finalmente, ad inviare la domanda per la cittadinanza. L’iter di attesa durerà due anni, ma posso ritenermi già fortunato rispetto a chi spesso gli viene rifiutata per motivi burocratici futili. Ad esempio, mio fratello non risultava residente nel suo primo anno, nonostante egli sia nato e cresciuto qui per tutti questi 20 anni. Come me e mio fratello ci sono anche tanti altri italiani con il permesso di soggiorno, siamo più di un milione. Messi insieme, formiamo la quinta città italiana, ci definiscono anche giovani di seconda generazione.
In questi giorni stiamo chiedendo fortemente un cambiamento dell’attuale legge sulla cittadinanza, un cambiamento necessario, perché non voglio che un giorno anche i miei figli vengano considerati stranieri nella propria nazione e non voglio che molti ragazzi come me debbano rinunciare a un loro sogno o a un loro viaggio solo perché legati a quel foglio di carta, nonostante si sentano italianissimi.
Inutile dire che così facendo sfavoriamo un’enorme ricchezza per il nostro Paese, che non ruba nessuna identità come dicono alcuni, ma anzi, a mio parere, la completa. Come spesso ripetiamo, l’Italia, il nostro Paese, ha bisogno di questo processo, più che di integrazione, amo definirlo di inclusione legale di una realtà esistente.
E’ D’IMPORTANZA FONDAMENTALE SCIOGLIERE QUESTO NODO, PERCHE’ INFLUISCE SULLE NOSTRE IDENTITA’!!!
* 18 anni, intervento al Congresso della Cisl, giugno 2017