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Sicurezza del territorio e riqualificazione del patrimonio edilizio

Mai come in questo periodo storico la città sta acquisendo una così marcata centralità nell’ambito del processo di sviluppo economico, ambientale e sociale. La “dimensione cittadina” è diventata un punto focale delle politiche e delle strategie economiche. Contestualmente, si sta diffondendo ed affermando una maggiore sensibilità sul tema del benessere ambientale, della vivibilità, della qualità della vita nelle città.

Oggi la città assume aspetti e caratteristiche che cambiano molto a seconda del quartiere di riferimento. Ogni città ha diversi livelli di integrazione; questo vuol dire che ogni città integra le persone in modo differente a seconda che il quartiere preso in riferimento sia povero, industriale, dormitorio, residenziale, lussuoso. Il contesto urbano incide in maniera fondamentale sull’isolamento o l’integrazione delle persone. L’assenza di punti di ritrovo, la diffusione di palazzi popolosi ma privi di aree comuni, la ‘delimitazione’ quasi scientifica dei diversi quartieri, sono tutti elementi che non possono non influenzare le persone, i rapporti tra le persone, la società stessa.

Noi proponiamo una visione di città che sia armonica, e che quindi faciliti ‘naturalmente’ la coesione, la convivenza, l’interazione tra i cittadini. Ripensare le città non è solo uno slogan, ma vuol dire cambiare il modo di progettare i nuovi quartieri, e per quelli già esistenti si traduce in maggiori e più efficienti collegamenti, in interventi mirati ed omogenei, in un miglioramento dello stato degli immobili. Interventi che, per essere omogenei e di impatto, non devono considerarsi individuali, ma effettuati in una logica di intervento globale.                

La Filca-Cisl a tutti i livelli sta contribuendo da anni all’affermazione di un modello sostenibile di città. Non siamo mai stati a favore della cementificazione, e a maggior ragione non lo siamo adesso, con un tasso di consumo di suolo che dal 2,9% degli anni ’50 è arrivato al 7,3%.

La sfida che insieme agli altri sindacati di categoria abbiamo lanciato a governo e regioni si gioca su due fronti: la messa in sicurezza del territorio (la “Grande Opera” più urgente ed importante) e la riqualificazione del patrimonio edilizio in tutta Italia. Una sorta di green economy grazie alla quale ottenere benefici su più fronti: occupazionali, di sicurezza, di sviluppo, di risparmio.  

La prima proposta intende tutelare gli oltre 5 milioni di italiani che ogni giorno vivono o lavorano in aree considerate ad alto rischio idrogeologico. Si tratta di un fenomeno grave e diffuso: i Comuni che hanno all’interno del territorio aree ad elevato rischio di frana o alluvione sono ben 6.633. E la cronaca degli ultimi anni ci insegna che se continuiamo a non intervenire mettiamo seriamente a rischio l’incolumità della popolazione, come le tante vittime delle recenti alluvioni hanno dimostrato.

La seconda proposta si prefigge di favorire le operazioni di recupero del già edificato, di gran lunga preferito alla cementificazione ed al costruire ex novo. Una operazione che consentirebbe di raggiungere obiettivi energetici e di sicurezza statica e sismica, ma anche di creare lavoro attraverso l’apertura di migliaia di cantieri. Per l’edilizia sarebbe una salutare boccata d’ossigeno, dopo la perdita di ben 800mila posti di lavoro subita dall’inizio della crisi.

Nel quarto Rapporto Oise dell’Osservatorio istituito dai sindacati edili insieme a Legambiente, intitolato non a caso “Innovazione e sostenibilità nel settore edilizio – Costruire il futuro”, abbiamo ribadito come questa visione del futuro sia già a portata di mano.

Alcuni dati possono sicuramente venirci in aiuto: dal 1998 ad oggi sono stati realizzati oltre 9 milioni di interventi di recupero edilizio grazie alle detrazioni fiscali e dal 2007 circa 2,5 milioni di efficientamento energetico. In questi anni abbiamo assistito ad una vera trasformazione del modo di costruire, della domanda di mercato e dei riferimenti normativi a seguito dei regolamenti edilizi e della spinta impressa dalla Ue. Quest’ultima oggi è un alleato prezioso perché ci aiuta nella individuazione della rotta per i prossimi anni. Una strada, peraltro, tracciata chiaramente dall’accordo sulla riduzione delle emissioni di CO2 uscito dalla COP21, che porterà l’Unione Europea a rivedere obiettivi e strumenti per accelerare la transizione.

Il filo rosso che lega tutti gli interventi è l’idea che l’edilizia rappresenti davvero un settore strategico per l’economia e lo sviluppo. Oggi l’edilizia può giocare un ruolo decisivo non solo per migliorare la qualità e le prestazioni degli edifici, ma anche per scongiurare i rischi crescenti per le persone e il territorio legati ai cambiamenti climatici. È inoltre sempre più evidente come intervenire sulle prestazioni energetiche degli edifici sia una scelta che produce vantaggi locali, in termini di minore inquinamento, e per l’economia attraverso la riduzione della spesa energetica delle famiglie che mediamente tra elettricità e riscaldamento si aggira in Italia tra i 1500 e i 2000 euro all’anno.

La conditio sine qua non è la tutela dei lavoratori coinvolti in questo percorso: le politiche di incentivazione devono necessariamente generare lavoro qualificato e regolare, cosa che non sempre è stata garantita. Sarebbe paradossale ottenere un  miglioramento della qualità della vita attraverso lavori che determinano un… peggioramento della dignità del lavoratore.  

La nostra opinione è che ora ci siano davvero tutte le condizioni per uscire dalla crisi del settore edilizio, mettendo al centro dell’azione istituzionale le città e la rigenerazione energetica e statica del patrimonio esistente. I numeri relativi agli investimenti ed alle innovazioni nel settore, ma soprattutto le grandissime prospettive di crescita e di sviluppo di queste politiche, confermano il nostro ottimismo.

Dopo una pesante crisi durata otto anni, questo è il momento buono per accompagnare il settore delle costruzioni verso un nuovo ciclo industriale incentrato sulla rigenerazione urbana, cogliendo i tanti segnali positivi già esistenti, e per tornare a creare lavoro. La terapia della rigenerazione può funzionare in Italia proprio perché sono notevoli i cambiamenti già avvenuti: in questi anni difficili il settore non si è infatti solo ridimensionato ma ha anche spostato il proprio baricentro verso il recupero, che oggi rappresenta circa il 70% del mercato complessivo.

Superare gli ostacoli alla riqualificazione del patrimonio edilizio, spingere la riqualificazione dei condomini, promuovere un progetto industriale per il settore delle costruzioni sono i tre punti chiave di questa sfida.

In particolare, occorre semplificare gli interventi, dare certezze agli investimenti e rendere strutturali le detrazioni fiscali legandole alla classe energetica degli edifici, premiare il miglioramento delle prestazioni, introdurre controlli e sanzioni per garantire i cittadini sulle prestazioni energetiche e la sicurezza degli edifici. E’ nell’interesse delle famiglie che ogni edificio si doti di un libretto unico del fabbricato antisismico, energetico, del rumore.

La seconda priorità è provvedere alla riqualificazione dei condomini, grande assente finora degli interventi edilizi in Italia, nonostante oltre 20 milioni di persone vivano in edifici condominiali. Per promuoverne la riqualificazione occorre semplificare gli interventi e introdurre specifici incentivi, perché la complessità dei lavori e le difficoltà di accesso alle detrazioni fiscali sono le ragioni fondamentali di questo stallo.

Infine, ma non da ultimo, c’è la necessità di un vero e proprio progetto industriale per il settore. Bisogna aprire i cantieri della rigenerazione edilizia attraverso soluzioni standardizzate e replicabili, in modo tale da ridurre tempi e costi a fronte di prestazioni garantite in termini energetici e di sicurezza antisismica. Una sfida che incrocia la ricerca sui materiali e le tecniche di intervento con l’organizzazione delle imprese e la formazione dei lavoratori, che noi riteniamo il vero valore aggiunto del settore, tanto da averla resa obbligatoria ‘da contratto’ prima di entrare in cantiere. 

Rendere vivibili le città, associarle ad una condizione di benessere, fare in modo che siano “green” piuttosto che “grey” oggi non sembra più una missione impossibile. Diceva Winston Churchill che “Prima siamo noi a dare forma agli edifici, poi sono questi a dare forma a noi”. Ecco, non dimentichiamolo mai e facciamo tesoro di queste parole: sono un ottimo motivo per dare nuova vita agli edifici di vecchia data e per costruire in armonia con l’ambiente.

 

 (*) Segretario generale Filca-Cisl nazionale    

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