Una ricerca della Fondazione studi Consulenti del lavoro ha individuato che sono soprattutto figure professionali nel campo dell’ingegneria, della sanità e della manifattura quelle che tra il 2019 e il 2021 hanno più spesso dato le dimissioni.
Ci sono soprattutto i professionisti più qualificati alla base dell’aumento del numero delle dimissioni dal lavoro in Italia. È quanto si evince dai dati raccolti nel periodo compreso tra il 2019 e il 2021 dalla Fondazione studi Consulenti del lavoro e ripresi da Il Sole 24 Ore.
Informatici, ingegneri, architetti, medici, chimici, geometri, ma anche operai specializzati e periti si sono dunque dimostrati pronti a lasciare il proprio impiego per cercare di cogliere nuove opportunità, rese appetibili dalla ripresa occupazionale e dalla difficoltà che le aziende hanno trovato e continuano a trovare nel reperimento di profili qualificati.
Che cos’è il quietquitting
Consiste nel lavorare nei tempi e nei modi indicati dal contratto, senza fare straordinari o assumersi responsabilità straordinarie, e nel periodo post-pandemia questo fenomeno, non nuovo, è sempre più visibile
I dati
Sono in particolare tre i campi in cui si sono registrate le percentuali maggiori di incremento di dimissioni da lavoro. Il dato più alto riguarda le professioni tecniche, che hanno fatto segnare un +22,4%. Seguono quelle ad elevata specializzazione, con un +19% dovuto soprattutto a un altissimo tasso di ricollocazione. Al terzo posto ci sono poi i laureati, con un +17,7%.
Sommando ai risultati della ricerca della Fondazione studi Consulenti del lavoro, i numeri evidenziati nelle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro e allargando quindi l’analisi ai primi nove mesi del 2022, il fenomeno delle cosiddette “grandi dimissioni” appare addirittura più accentuato.
Tra giugno e settembre, lo scorso anno, si sono dimesse 562.258 persone, di cui 317.734 uomini e 244.524 donne. Rispetto allo stesso trimestre del 2021, il dato è più alto di 34.974 unità, 22.717 donne e 12.257 uomini. Il numero di lavoratrici dimissionarie nel terzo trimestre del 2022 aumenta peraltro anche rispetto al trimestre precedente, con un +4386, nonostante quello complessivo risulti più basso di 21.529 unità.
Tra i settori più interessati dal fenomeno, spicca quello delle costruzioni, anche per via della spinta ricevuta dal superbonus 110%. Tra il 2019 e il 2021, nel comparto si è registrato un aumento del 47,1% del numero delle dimissioni e le aziende hanno avuto maggiori difficoltà a reperire personale qualificato.
Un aumento sensibile delle dimissioni si è poi registrato tra le attività scientifiche, tecniche e professionali, che hanno fatto registrare in questo senso un +20,2%, e nel comparto della sanità e dell’assistenza sociale, con un +33%. In tutti questi settori si è inoltre elevato il tasso di ricollocazione dei lavoratori.
Le cause
Secondo un’indagine compiuta dalla fondazione su un campione di 1085 lavoratori, è stato soprattutto il desiderio di novità professionale a spingere un numero tanto elevato di persone a rassegnare le dimissioni.
Del campione preso in considerazione, proprio per tale motivo il 5,5% ha cambiato lavoro negli ultimi due anni, mentre il 14,4% si sta impegnando per farlo. Un altro 35,1% ha affermato di desiderare una nuova occupazione. A spingere i lavoratori in questa direzione è soprattutto la ricerca di compensi maggiori, un benefit irrinunciabile nella ricerca di nuove posizioni lavorative per il 52,5% degli intervistati.
A contare molto, però, soprattutto per le generazioni più giovani e dopo le privazioni legate alla pandemia, è la ricerca di un maggiore equilibrio tra carriera professionale e vita privata. Quasi un giovane su due, il 49%, a prescindere dal ruolo e dalle responsabilità occupazionali, reputa tale bilanciamento fondamentale nella scelta di lasciare un lavoro per cercarne un altro.
*Lavoro, 25/01/2023