Ma alla fine la Legge di Bilancio che è stata appena varata dal Governo è espansiva o no? E inoltre ha inciso oppure no l’accordo con la Commissione Europea, fatto per evitare l’apertura di una procedura per disavanzo eccessivo?
La prima versione
L’obiettivo ricercato dalla nuova maggioranza giallo verde era, infatti, proprio quello di forzare una crescita insufficiente, per di più condizionata da un contesto internazionale in evidente rallentamento. Questo ha portato a contestare ad ottobre le regole di governance europee, modificando il piano di rientro del deficit concordato dal precedente governo e rinviando di tre anni l’obiettivo di pareggio strutturale. Un segnale forte, in accentuata dissonanza rispetto alle regole europee. L’obiettivo dell’indebitamento lordo, cioè la differenza tra entrate e uscite pubbliche, è stato fissato allora al 2,4% nel 2019, al 2,1% nel 2020 e al 1,8% nel 2021. Per fare cosa? La manovra nelle intenzioni doveva servire da un lato a rilanciare gli investimenti privati, ma soprattutto, pubblici; dall’altro a spingere la domanda, attraverso il reddito di cittadinanza ed una vasta revisione della legge Fornero sulle pensioni, con la definizione della Quota 100; dal lato dell’offerta un punto considerato dal Governo qualificante, anche se preliminare, è stato l’innalzamento a 65.000 euro della soglia di applicazione della flat tax al 15% per il lavoro autonomo e indipendente.
Se ci si dovesse basare sulla pura dimensione della manovra, si dovrebbe dire che astrattamente l’intervento era espansivo, prevedendo un allentamento della politica di bilancio. Una politica fiscale espansiva, infatti, generalmente aumenta l’attività economica e una restrittiva generalmente la rallenta. Ma come ha chiarito Olivier Blanchard, un economista che proprio nel suo lavoro al Fondo Monetario Internazionale ha criticato duramente le politiche di austerità fine a sé stesse, l’intervento, calato nella realtà italiana di un debito pubblico molto elevato, finiva per essere restrittivo. Senza stare a scomodare l’eterogenesi dei fini, infatti fin da subito si vedeva che, rispetto ad un impulso che si sarebbe voluto di incentivo all’attività economica, subito si determinavano impulsi di raffreddamento e di crisi. Il canale principale di questi va visto nell’aumento dei tassi di interesse interni, determinato dalla maggiore rischiosità dei nostri titoli pubblici. Il Governo pareva fare conto su una non reazione dei mercati, ritenendo che l’ostacolo fosse la solita opposizione dei “burocrati europei”; da lì la fiducia a che gli operatori economici, interni e internazionali, avrebbero apprezzato, quando avessero conosciuto nei dettagli gli interventi, i propositi della nuova maggioranza. Non è andata così; la fiducia era mal riposta, direi ingenua; il tentativo, maldestro. Lo spread tra i titoli italiani e quelli tedeschi è schizzato verso l’alto e, ahimè, tutta la struttura dei differenziali, anche rispetto a titoli di paesi più deboli come Spagna e Portogallo; a specificare che non si trattava di un generico innalzamento dell’avversione al rischio, che coinvolgeva tutti i paesi più indebitati, ma che riguardava specificatamente le politiche italiane. Incideva la matrice anti-euro del Governo, dei partiti che lo compongono, di molti consulenti di riferimento degli stessi. Sebbene dopo la formazione dell’esecutivo si è negata la volontà di uscire dalla moneta europea, ci si ricordava che anche qualche Ministro aveva qualche predisposizione al riguardo.
L’innalzamento dei tassi di interesse sul debito pubblico del nostro paese, da un lato, andava ad aggravare il nostro bilancio pubblico. Dall’altro si trasmetteva rapidamente al settore privato tramite il canale bancario. Per i nostri istituti di credito, che detengono una parte importante del nostro debito pubblico, infatti la caduta del valore dei titoli di Stato determina perdite e la necessità di coprirsi patrimonialmente; questo significa una restrizione del credito disponibile a famiglie ed imprese ed aumento dei tassi di interesse. Blanchard ha valutato che sommando gli effetti del moltiplicatore del bilancio pubblico e la contrazione dovuta ai tassi di interesse, l’effetto è complessivamente negativo. A fronte di un aumento del disavanzo, dunque, l’espansione fiscale non avrebbe portato ad aumentare la crescita, ma avrebbe rischiato di ridurla.[1]
Ma vi è un altro elemento che è stato messo in evidenza da diversi istituti di previsione italiani a cominciare da REF. Vi è un inevitabile ritardo nel decollo delle principali misure di spesa, come l’istituzione del reddito di cittadinanza e la riforma previdenziale con la “quota 100”. Il Governo poi ha usato il differimento dell’entrata in vigore di queste misure per alleggerire l’impatto sui conti del 2019, ma non vi è dubbio che, anche se ci si fosse proposti di avviare gli interventi al primo gennaio, vi sarebbero stati tempi tecnici di implementazione delle misure che avrebbero fatto sì che la spesa effettiva si sarebbe iniziata a produrre non prima della metà dell’anno. L’ipotesi di una partenza ritardata ha portato REF a considerare molto probabile un effetto attenuato delle misure sui conti pubblici del 2019; tanto da prevedere a fronte di un obiettivo programmato del Governo per il 2019 del 2,4%, un indebitamento netto del 2,1%.[2]Con un’implicazione: valeva la pena andare allo scontro con la Commissione Europea, suscitando le preoccupazioni dei mercati, per un indebitamento al 2,4%, che forse nemmeno si sarebbe potuto raggiungere? Siccome in economia la successione temporale degli eventi risulta molto importante, questo avrebbe significato produrre prima tutti gli effetti di contrazione legati all’innalzamento dei tassi di interesse, colla prospettiva probabile di un forte rallentamento della congiuntura e poi, dopo diversi mesi determinare alcuni effetti espansivi con le misure di spesa, che sarebbero state a quel punto al più compensative.
Ma c’è un terzo elemento che personalmente ritengo rilevante. Il dibattito sul reddito di cittadinanza è su quanto questo interferisca sulla propensione a lavorare e quindi come influisca sulla crescita potenziale; ma più o meno tutti riconoscono che la misura aumenta il reddito disponibile e, dunque, può aumentare nel breve termine i consumi, sostenendo la domanda. Come incida invece Quota 100 è più complicato e non necessariamente la misura può essere considerata espansiva. Chi va prima in pensione rispetto alla normativa in vigore è difficile che aumenti i suoi consumi, specie se l’anticipo pensionistico produce una diminuzione della pensione che può essere rilevante con un’età anagrafica vicina ai 62 anni e con un maggior numero di anni di servizio accreditati con il sistema contributivo. Perché Quota 100 risulti espansiva, deve avvenire che coloro che vanno in pensione siano sostituiti da nuovi assunti; il tutto deve avvenire rapidamente, quasi in successione. Questo è escluso in via di fatto, ma ora anche in via di diritto, nel settore pubblico. Ma è anche problematico nel settore privato; non tutte le professionalità esistenti sono destinate ad essere sostituite; quelle che esprimono competenze e funzioni specifiche, dovranno essere identificate, selezionate e reperite; anche in questo caso si determineranno ritardi, che incideranno sulla domanda globale.
La seconda versione
Se gli ammonimenti della Commissione Europea non sono serviti, il ruggito reiterato dei mercati fino al fallimento dell’asta BTP del 22 novembre, con titoli collocati per 2,2 miliardi a fronte di un obiettivo di 7,7 miliardi, alla fine è riuscito a modificare la manovra che risulta decisamente diversa rispetto alla prima versione.
L’obiettivo d’indebitamento netto per il 2019 è stato portato dal 2,4% al 2,04%. L’accordo con la Commissione ha evitato l’apertura di una procedura di infrazione per debito eccessivo che avrebbe avuto ancora più pesanti conseguenze per la nostra economia. Lo spread dei nostri BTP si è ridimensionato dal livello di 330 punti, a cui era arrivato in precedenza, agli attuali 250, che risultano, comunque 100 punti più alti rispetto allo spread portoghese e più del doppio dello spread spagnolo.
Il governo ha dovuto accettare tra l’altro:
• una correzione della manovra, in termini di indebitamento netto, pari a circa 10 mld nel 2019, 12 mld nel 2020 e 16 mld nel 2021.
• la riduzione delle previsioni di crescita per il 2019 (dall’1,5% all’1%) e per gli anni successivi, che è servita sulla base delle regole europee a contenere le aspettative di aggiustamento strutturale della finanza pubblica.
Con le clausole di salvaguardia il deficit per il 2020 è sceso dal 2,1% all’1,8%, nel 2021 dall’1,8% all’1,5%. Il nuovo scenario macroeconomico (dall’1,2 all’1,0 per cento nel 2018; dall’1,5 all’1,0 per cento nel 2019) viene considerato “plausibile” dall’Ufficio Parlamentare del Bilancio, pur presentando non trascurabili rischi di revisione al ribasso amplificati per il 2020 e 2021.
Tutti i principali interventi della manovra sono stati ridimensionati nel 2019 e il Governo sembra prendere atto almeno parzialmente della difficoltà di farli decollare rapidamente; mancando i testi normativi di reddito di cittadinanza e quota 100, risulta difficile stimare la congruità tra previsioni e risorse stanziate. I tagli di spesa imposti dall’accordo riguardano principalmente:
- il fondo per quota 100 quasi dimezzato (dagli iniziali 6,7 mld a poco meno di 4 mld);
- il fondo per il reddito di cittadinanza passato al netto del miliardo per i Centri per l’impiego da 8 a 6,1 mld, gli investimenti ridotti di circa 5,6 mld.
Su queste due misure rimangono gli elementi di discussione visti in precedenza, anche se il Governo sostanzialmente le conferma.
E’ prevista la riduzione per il triennio 2019-2021 dell’adeguamento all’inflazione delle pensioni il cui impatto è di 400 milioni nel 2019, ma crescente negli anni successivi (2 miliardi nel 2021) a conferma del cumularsi nel tempo della mancata indicizzazione. Il meccanismo a cinque fasce, in vigore dal 2014, sarebbe infatti stato sostituito da una regola più generosa per i pensionati, basata su tre scaglioni.
Dove invece appare maggiore la correzione in linea tendenziale è sugli investimenti. Dal nuovo testo appare una riduzione del fondo investimenti presso il Mef di 5,4 mld nel triennio. Per quanto il Governo indichi che la riduzione è solo di 2,1 mld, mentre il resto è soltanto una riallocazione in altri fondi, molti sottolineano il cambiamento rispetto alla prima versione. Si allontana l’obiettivo di riportare il volume degli investimenti pubblici almeno al 3% del PIL, dopo che è caduto sotto al 2%. Bisogna ricordare che gli investimenti in infrastrutture hanno un moltiplicatore elevato della domanda, più dei consumi pubblici e dei trasferimenti. C’è in gran parte irrisolto il problema della capacità delle amministrazioni centrali e periferiche di spendere queste risorse. Chi scrive ha purtroppo il ruolo di osservatore diretto di quello che avviene nelle aree colpite dal sisma, dove nonostante i finanziamenti, nonostante l’urgenza delle criticità, la capacità di spesa per il settore pubblico e per quello privato sembra paralizzata. C’è la questione delle regole, spesso confuse, contraddittorie, fatte apposta per scoraggiare; nelle procedure l’obiettivo della legittimità dei provvedimenti annega quasi sempre quello della tempestività e dell’efficacia. C’è una fuga dalle responsabilità della firma, solo mascherata da richieste di adempimenti sempre più numerosi, stringenti e onerosi da rispettare. La Legge di Bilancio non ha portato novità significative da questo punto di vista.
In termini di interventi sul potenziale di crescita è necessario segnalare per gli autonomi e le imprese individuali contribuenti, che nell’anno precedente non hanno superato la soglia di 65mila euro di ricavi/compensi, l’estensione della flat tax al 15% dal 1° gennaio 2019; dal 2020 per coloro che nell’anno precedente hanno conseguito ricavi/compensi superiori a 65mila euro ma non a 100mila si prevede una imposta sostitutiva proporzionale del 20 per cento. La misura, riducendo la pressione fiscale per questi soggetti, dovrebbe incentivare l’attività economica, ma ha evidenti effetti collaterali negativi:
• al superamento delle soglie di ricavi previste per la fruizione del regime agevolato, si rientra nell’Irpef ordinaria, determinando un forte disincentivo alla produzione di maggiori ricavi, per effetto di aliquote marginali superiori al 100 per cento. Quindi vi è un forte incentivo alla sommersione;
• Si determina una grave ed incostituzionale differenziazione del trattamento fiscale di redditi di uguale importo tra dipendenti e pensionati da un lato, sottoposti a Irpef progressiva, e redditi da lavoro autonomo. Si accentua il carattere dell’Irpef come tassa progressiva riservata quasi esclusivamente a lavoratori dipendenti e pensionati;
• La maggiore convenienza ad utilizzare i regimi forfettari frammenta ulteriormente il sistema produttivo italiano, attirando gli stessi quadri e dipendenti a reddito medio – alto, disincentivando la collaborazione societaria tra lavoratori autonomi, ricomponendosi il tutto in unità sempre più piccole e con governance disarticolata.
Questa e altre misure, nell’intento di favorire la piccola dimensione, vanno ad aggravare il nanismo del sistema produttivo italiano, disincentivandone la crescita. La Legge di Bilancio non pare avere contribuito più di tanto a migliorare lo sviluppo potenziale. Se ci limitiamo a valutare gli aspetti più congiunturali, la correzione che si è avuta a seguito dell’Accordo con la Commissione ha certamente contribuito a limitare i danni. Riprendendo, dunque, il ragionamento di Blanchard la manovra risulta nella versione finale meno espansiva rispetto agli effetti moltiplicatori di finanza pubblica, con effetti più contenuti in termini di peggioramento del disavanzo (dall’1,2 allo 0,6 per cento del PIL nel 2019, dall’1,4 allo 0,8 nel 2020 e dall’1,3 allo 0,5 nel 2021). Ma, riponendosi sotto l’ombrello delle regole europee, attenua gli impulsi recessivi determinati dall’innalzamento dei tassi di interesse interni, fedelmente segnalati dall’andamento dello spread. Per uno sviluppo duraturo e sostenibile c’era forse bisogno di altro.
[1]Olivier Blanchard e Jeromin Zettelmeyer (2018), La manovra italiana: un caso di espansione fiscale restrittiva?, www.lavoce.info
[2]Ref (2018), Una crisi autoinflitta, “CongiunturaRef”, 23 ottobre