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Sovranismo sconfitto, Europeismo incerto

Uno sconfitto certo e un vincitore incerto. Ecco (a mio parere) l’esito del complesso processo negoziale iniziato con il Consiglio europeo del 17​-21 luglio e che proseguirà con la trattativa tra quest’ultimo e il Parlamento europeo fino al prossimo ottobre. Lo sconfitto certo è il sovranismo, il vincitore incerto è l’europeismo.

Spiego perché.

Cominciamo dallo sconfitto. Il sovranismo continua a non comprendere il funzionamento di un sistema ad alta interdipendenza come l’Unione europea (Ue). Una volta abbandonato l’indipendentismo nazionalista (e non avrebbe potuto essere diversamente dopo l’esperienza drammatica di Brexit), i sovranisti non sono riusciti a definire una loro strategia comune per cambiare direzione al processo di integrazione. Ogni leader sovranista guarda all’Ue dal buco della sua serratura nazionale. Per i sovranisti al governo nei Paesi dell’Europa dell’est, si tratta di preservare la quota di aiuti europei che ricevono, per gestirli in piena autonomia. Per i sovranisti all’opposizione nel resto dell’Europa, si tratta di denunciare ogni accordo come tradimento degli interessi nazionali. Incapaci di capire l’interdipendenza, ritengono che il rapporto tra il proprio Paese e l’Ue sia necessariamente a somma zero, in cui l’uno vince e l’altra perde (o viceversa), Un semplicismo analitico che giunge al punto di denunciare, come ha fatto Matteo Salvini, i 200 e più miliardi di cui l’Italia beneficerà con Next Generation EU come «una fregatura» ovvero un’operazione per rafforzare i partiti di governo a danno di quelli di opposizione. Probabilmente, si pensa che a Bruxelles ci sia un Grande Vecchio che distribuisce finanziamenti a discrezione.

Interdipendenza significa piuttosto che l’esito di un negoziato, che coinvolge una pluralità di attori nazionali, dipende dalle alleanze che si costruiscono per raggiungere obiettivi convergenti. Nel negoziato dei giorni scorsi, un governo sovranista italiano come il Conte I non avrebbe potuto attivare nessuna alleanza per giungere all’esito che si è avuto, condannandosi (per la propria eccentricità) alla marginalità. Non basta la forza elettorale interna per governare un Paese interdipendente. Non è bastata ai comunisti italiani nei tre decenni postbellici del secolo scorso, quando l’interdipendenza (con l’occidente) era molto meno istituzionalizzata rispetto ad oggi (nell’Ue). È necessario che i sovranisti italiani si liberino del paradigma populista per poter ricostruire una democrazia italiana dell’alternanza all’interno dell’interdipendenza europea. In questo modo, invece di denunciarci fondi ricevuti dall’Ue, potrebbero sfidare il governo a perseguire priorità e modalità alternative nel loro utilizzo e gestione.

Vediamo ora il vincitore. È indubbio che il Consiglio europeo dei giorni scorsi sia giunto a conclusioni impensabili fino a pochi mesi fa. Ma è anche indubbio che tali conclusioni abbiano lasciato indefinita la natura dell’Unione che emergerà dalla risposta alla crisi pandemica. Dopo le misure della Banca centrale europea adottate subito dopo l’epidemia e le prime risposte intergovernative, il Consiglio europeo ha deciso un massiccio programma di rilancio che dimostra in positivo il valore dell’interdipendenza. Quest’ultima vincola, è vero, ma offre anche opportunità formidabili che nessun Paese, da solo, potrebbe acquisire. Tuttavia, come ha messo in chiaro la Risoluzione approvata a larghissima maggioranza dal Parlamento europeo giovedì scorso, dietro i 750 miliardi di Next Generation EU non mancano ambiguità. Limitiamoci a quelle finanziarie e istituzionali. Sul piano finanziario, la riduzione della quota delle sovvenzioni e il relativo incremento della quota dei prestiti, insieme all’azzeramento di programmi comuni, potrebbero ostacolare il processo di ricostruzione di un “campo da gioco equilibrato” tra Paesi del nord e del sud. La forza del mercato unico dipende dalla sua coesione che, a sua volta, dipende dall’equilibrio tra le economie nazionali che lo costituiscono. Se alcuni Paesi si indebitano più di altri (per ripagare i prestiti), quell’equilibrio si altera. Sul piano istituzionale, come recita la Risoluzione al punto H2, «la base giuridica scelta per l’istituzione di Next Generation EU non attribuisce un ruolo formale ai deputati eletti al Parlamento europeo». Così, anche se quel programma verrà finanziato da debito europeo, garantito da nuove risorse proprie dell’Ue, l’istituzione che rappresenta i cittadini europei resta esclusa dalla gestione dei fondi che influenzeranno la vita di quei cittadini. La Commissione europea si vede supervisionata esclusivamente dal Consiglio dei ministri economico-​finanziari (Ecofin), attraverso il Comitato dei loro direttori generali, il quale potrà chiedere al Consiglio europeo di discutere le scelte di un Paese nell’uso dei fondi ricevuti (se ritenute inadeguate). Pur trattandosi di risorse che non provengono dai bilanci nazionali, i governi nazionali dei Paesi “frugali” hanno rivendicato l’ultima parola nel loro utilizzo. Sono la Commissione e il Parlamento europeo, prima ancora che l’Italia o i Paesi del sud, gli avversari dei Paesi “frugali”. Questi ultimi, con il sostegno dei Paesi sovranisti dell’est, cercano di estendere la governance intergovernativa dell’Ue, nonostante quest’ultima si sia dimostrata inefficiente, non trasparente e divisiva.

Insomma, contrariamente a ciò che ritiene il primitivismo sovranista (per il quale la scelta è tra “Europa sì”o “Europa no”), la vera battaglia in corso a Bruxelles riguarda la natura istituzionale e le responsabilità di policy dell’Ue. Di qui, l’incertezza del vincitore. L’europeismo ha vinto perché ha dimostrato che l’interdipendenza può essere utilizzata per rispondere a sfide esistenziali come la pandemia, tuttavia la sua vittoria è ancora incerta per l’insistenza di alcuni governi nazionali a vincolarne il carattere sovranazionale. L’Ue dovrà dipendere dai governi nazionali o potrà addomesticare questi ultimi all’interno di una governance sovranazionale? Ecco la domanda che la prossima Conferenza sul futuro dell’Europa dovrebbe porsi.

 

*da Il Sole 24 Ore, 26/09/2020

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