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Sviluppo, università, tecnologia

Sviluppo, università, tecnologia: titolo troppo importante per parlare di formazione a distanza, più comunemente rattrappita nella dizione e.learning? Non credo. Tutti sappiamo (anche se molti faticano a riconoscerlo) che dobbiamo cambiare i paradigmi dello sviluppo, e con questi cambiare molte categorie e termini consolidati: territorio in ecosistema, economia di settore in economia circolare, sviluppo come crescita del PIL in sviluppo sistemico. Queste variazioni potrebbero orientare il patrimonio degli investimenti e del lavoro verso lidi in cui gli squilibri (almeno i principali) potrebbero tendere verso un ri-equilibrio sistemico e sociale dello sviluppo e della ri-organizzazione (da parte dell’uomo) del rapporto uomo-natura.

Questa variazione strutturale si potrà realizzare con la cultura e la conoscenza e si potrà attuare con la formazione del mercato del lavoro, della ricerca applicata, della progettazione, della cultura amministrativa e gestionale; sono tutti questi elementi che a loro volta entreranno in un dialogo input-output formando politiche e gruppi dirigenti.

Se le variazioni strutturali hanno bisogno per realizzarsi di un forte legame culturale e quindi con il mondo della ricerca teorica e applicata, hanno anche bisogno di formazione e di un cambio di attenzione sia rispetto alle fasce di età di chi deve formarsi, sia rispetto al binomio formazione/ri-formazione. Alle scuole curriculari, cui siamo abituati per contenuti e fasce di età, dobbiamo aggiungere la formazione delle fasce adulte e di quanti sono già presenti (o sono stati presenti) nel mercato del lavoro.

Questi cambiamenti hanno bisogno di strumenti formativi capaci di mettere in relazione il globale con il locale, i luoghi fisici della realizzazione con i non luoghi propri della cultura, della conoscenza e dell’informazione.

È proprio per questa considerazione che il titolo perde la sua ampollosità e diventa una giusta conseguenza gerarchica di sostantivi, sintesi di categorie su cui fino ad oggi si è costruita la storia umana.

Fino ad oggi il rapporto tra luoghi di esercizio e non luoghi della conoscenza si è realizzato con la mobilità della conoscenza realizzata con la mobilità degli oggetti (i libri ad esempio) o delle persone (Erasmus da Rotterdam sempre come esempio).  Oggi abbiamo uno strumento che meglio di altri garantisce sia la mobilità istantanea della conoscenza, sia la capacità di raggiungere in un nuovo rapporto spazio-tempo i destinatari: la magnifica e.

Non dico nulla di nuovo quando affermo che negli ultimi 150 anni la categoria interpretativa e conoscitiva, fisica, filosofica e artistica che più si è modificata è quella che si riferisce allo spazio-tempo.

Prima sono comparsi treno e telegrafo, poi radio, telefono, televisione; “l’opera d’arte” è entrata “nell’epoca della riproducibilità tecnica”, la quarta dimensione è entrata a pieno titolo nelle arti figurative e in architettura; abbiamo visto l’altra faccia della Luna, Marte è a portata di missile e già si vendono crociere nello spazio.

Nel mondo della mobilità delle idee, della conoscenza e dell’informazione l’ultimo grande salto nell’annullamento dello spazio fisico e nella trasmissione dell’informazione lo dobbiamo alle nuove tecnologie informatiche.

La e. davanti a molti sostantivi (posta, insegnamento, governance, ecc.) è la matrice dell’ultimo, profondo e utile cambiamento di questa categoria.

Le domande che dobbiamo porci sono: i nuovi rapporti spazio-tempo quante modificazioni comportano nei comportamenti umani e in particolare nell’organizzazione sociale e del lavoro, nell’accesso alle banche dati, nell’informazione? Con quale e quanta scienza e coscienza potrebbero e potranno incidere sui processi formativi, nel dialogo della conoscenza, della ricerca, dell’informazione? Come potranno contribuire alla definizione del modello di sviluppo globale e locale, dell’arte (compresa la formazione professionale e artigianale)?  Come si strutturerà la didattica quando la formazione curriculare e professionale non saranno più rinchiuse nei confini spaziali della nostra quotidianità ma saranno definite e immediatamente raggiungibili e dialoganti con l’uso della e.

E ancora, l’introduzione della e. nello scambio culturale, formativo e informativo tra individui residenti in luoghi diversi, può essere la garanzia per costruire processi formativi multiculturali applicabili all’insegnamento, alla ricerca, alla progettazione?

Potendo mettere in relazione diretta i luoghi fisici in cui si studiano e si realizzano le buone pratiche con i luoghi della domanda culturale attraverso i non luoghi propri dell’informatica, possiamo godere dei valori aggiunti propri di tutti i processi di cooperazione nazionale e internazionale?

In pratica come e quanto la e. può influire, migliorandolo, sul rapporto sviluppo locale e globale, università, ricerca, partecipazione? 

Basta pensare alle stampanti 3D che, mettendo in dialogo informatico progettista, attuatore, consumatore avviano la realizzazione di un oggetto (una sedia, ad esempio) con un click che prescinde dalla distanza dei tre soggetti.

Potendo attuare con i tempi immediati dell’informatica la relazione contemporanea tra domanda e offerta, vengono acquisiti anche valori aggiuntivi eliminando stoccaggio di produzione (consumo di suolo + lavoro), trasporto (consumi energetici + lavoro) e magazzino di vendita (consumo di suolo + lavoro).

Non serve farla lunga, lo sappiamo tutti e tutti usiamo questa magnifica e.

Data la giovinezza del processo, per ora usiamo la e. più come vantaggio tecnologico che non come nuova condizione per organizzare forme (nuove) di costruzione dello sviluppo (locale e globale), del sapere (ricerca e didattica), del lavoro e dell’arte.

Per spiegarmi bene, devo introdurre (e me ne scuso) una pedanteria: se si modifica la categoria di relazione spazio-tempo, non si modificano necessariamente le caratteristiche e le proprietà proprie dello spazio (inteso come luogo) e del tempo. Queste nella loro soggettività rimangono inalterate con tutti i valori storici che le caratterizzano e le definiscono come i luoghi fisici del sapere.

Se con l’uso della e. si mettono in comunicazione visiva, fonetica e culturale docente e discente, si crea un non luogo informatico in relazione con più luoghi fisici del sapere. È questo non luogo che, nell’indifferenza della distanza, può privare i soggetti impegnati nella formazione a distanza del corredo formativo, conoscitivo e documentale che è alla base della comunità scientifica e della valorizzazione del sapere attraverso la comunità.

In altri termini, possiamo dire che è stata proprio la preminenza del non luogo informatico sui luoghi delle comunità scientifiche la matrice di molte criticità fino ad oggi registrate.

Purtroppo queste criticità non si riferiscono solo all’improvvisato e.learning del periodo del coronavirus ma alla storia dell’e.learning negli ultimi decenni.

È evidente che, pur con tutti i suoi limiti legati all’improvvisazione e allo scarso parco tecnologico a disposizione della struttura e dei singoli, l’e.learning attuato nel recente lockdown sia stato il benvenuto.

Tuttavia non dobbiamo confondere l’auspicabile introduzione strutturata della formazione presenza-distanza con quanto è stato realizzato nell’emergenza in cui si è fatto uso solo di trasmettere l’informazione curriculare con buona pace di famiglie volenterose che hanno supplito a ciò che avrebbe dovuto dare la comunità scientifica.

Il vuoto più evidente da colmare è quello della relazione tra luoghi fisici in cui risiedono docenti, discenti e ricercatori con il non luogo informatico. Lo svolgimento della didattica deve realizzarsi attraverso presenze (informatiche e fisiche) svolte attraverso il dialogo e il confronto costante come richiesto dai valori della comunità scientifica. 

Se il rapporto si dovesse svolgere stabilmente tra soggetti che dimorano in luoghi fisici non preposti, il non luogo informatico non parteciperebbe alla formazione innovativa dei luoghi in cui storicamente si è formata, organizzata e trasmessa la conoscenza: scuola e università.

In altre parole, ed entrando nel merito dell’innovazione,è vero che lo strumento tecnologico che unisce i due soggetti è anche collegato con un’infinità di biblioteche e banche dati, ma non ha la caffetteria, le tovaglie di carta su cui disegnare e prendere appunti, i viali dove passeggiare con colleghi vecchi e nuovi commentando novità e risultati.

Il nodo quindi è questo: la e. collega solo individui, o anche individui nei luoghi? O meglio, come possiamo fare perché i non luoghi colleghino individui e strutture senza privare l’individuo del valore del luogo? I plus che si hanno quando si collega un docente con un discente che si trovano nelle loro abitazioni sono principalmente quelli legati alla mobilità fisica degli individui (tempo e consumi energetici); i minus sono quelli legati alla perdita dei valori propri della comunità. 

Per introdurre i valori della formazione a distanza e non perdere i valori della partecipazione alla comunità scientifica, dobbiamo costruire la rete dei luoghi, usando la presenza nelle quantità che il tipo di studi e di ricerca dimostrerà necessaria. È così che la giunzione informatica tra soggetti non priva gli stessi dei valori presenti nell’esercizio della comunità; nel gergo si chiama: formazione in presenza-distanza.

Mantenere e garantire il valore della comunità è fondamentale soprattutto (e non c’è nessun allarmismo in quello che sto scrivendo) in una società che spesso sembra ritrovare i suoi principali momenti di socializzazione in azioni assimilabili alla movida; è quindi importante, quando trattiamo i temi formativi, sapere se stiamo contribuendo a costruire un mondo di isolati oppure se contribuiamo a costruire i valori della comunità e della partecipazione.

Con l’uso della magnifica e. inserita nei valori propri dell’appartenenza e della comunità, realizziamo tre plus fondamentali: 

  • Usufruire delle condizioni presenti all’esterno della propria enclave (classi di discienza, collegi di docenza, gruppi di ricerca costruiti sulla contiguità scientifica e non fisico-geografica);
  • Partecipare con facilità al dialogo sia con i non luoghi informatici sia con i luoghi fisici nei quali confluiscono gli interessi scientifici o si attuano le buone pratiche;
  • Ampliare la sfera di azione ai processi formativi necessari al rinnovamento del mercato del lavoro presente.

Questi plus diventano fondamentali dovendo ridefinire i paradigmi dello sviluppo, abbandonare i disvalori del consumo, usare i valori dell’interpretazione ecosistemica del territorio e della circolarità nell’economia.

Quello che sto proponendo è un nuovo patto università-lavoro, visto nelle sue molteplici accezioni (mercato, formazione professionale, impresa) e che abbia come riferimenti storici i Politecnici (rapporto università-impresa nel triangolo industriale nel momento del decollo dello sviluppo manifatturiero italiano) e le 150 ore.

Ma i riferimenti non bastano; oggi ci sono studi, insegnamenti, buone pratiche distribuite nel mondo, che possono e devono essere correlate proprio con l’uso della magnifica e. costruendo la rete dei luoghi con l’uso del non luogo informatico. 

La formazione curriculare, professionale e di progetto, realizzata con l’ausilio della magnifica e., ci permette non solo di entrare nelle nuove categorie che definiscono il rapporto spazio-tempo, ma di praticarle costruendo solide basi di cooperazione scientifica e territoriale con il mondo della cultura, della formazione, della professionalizzazione, della progettazione e della divulgazione.

L’attuale scarso amore scientifico e sociale per la formazione a distanza nasce da situazioni concrete, che hanno mostrato la formazione a distanza come una semplice capacità sottrattiva dei tempi di mobilità e una sottintesa diminuzione del rigore formativo; non ha giovato certo il proliferare negli ultimi decenni d scuole private alla ricerca di una validazione che, con troppa facilità, si sono tramutate in esamifici o in corsi di recupero.

Anche la recente esperienza legata al lockdown non ha giovato perché nata con soluzioni non sufficientemente studiate e strutturate. È chiaro che nell’emergenza si fa quel che si può, ma nel tempo ritrovato? Perché non ri-pensare l’esperienza con le categorie del ben-essere e del futuro senza rimanere ancorati alle giuste critiche del tempo trascorso?

Nell’insegnamento a distanza la modificazione del rapporto distanza-tempi-costi permette di organizzare tre processi culturali importanti:

  1. Creare la rete di istituti culturali, di ricerca e formazione capaci di offrire corsi di laurea e post-laurea con collegi di docenza nazionali e internazionali; 
  2. Costruire, sulle necessità della ricerca (teorica e applicata) e della progettazione, piani di studio e di lavoro che coinvolgano le migliori specificità a prescindere dal luogo di residenza e dipendenti solo dalla volontà e disponibilità a partecipare;
  3. Attuare la sintesi progetto locale – pensiero globale progettando, con la cooperazione scientifica nazionale e internazionale, piani di sviluppo locale che superino il localismo e si avvalgano di scienza, esperienza e buone pratiche presenti nella rete e disponibili al confronto.

La grande scommessa innovativa è quella di poter costruire una rete di istituti fisici e strutturati che, utilizzando il non luogo informatico, costruiscano dialoghi di ricerca, didattica e progettazione. La cultura e la formazione culturale hanno bisogno dei loro habitat; per questo vanno mantenuti come luoghi e messi in relazione. Se questa relazione viene attuata attraverso il non luogo informatico strutturato e calibrato sulle necessità della ricerca e dell’insegnamento, anche le fasi (alcune e non tutte) in cui la discienza si troverà lontana dai luoghi istituzionali coincideranno con la parte autonoma e individuale presente da sempre nei processi formativi e di ricerca.

Pensiamo ai vantaggi nella ri-professionalizzazione del mondo del lavoro e in particolare degli occupati. Poter diminuire alcune mobilità aumentando il ventaglio dell’offerta formativa, non sono vantaggi da poco e sono vantaggi significativi quelli che possono permettere di conoscere la realtà in cui si svolgeranno i nuovi lavori e contemporaneamente formarsi sui nuovi lavori, partecipare alla progettazione di luoghi e strutture nei quali si svolgeranno le nuove occupazioni.

Il binomio sviluppo locale – pensare globale ci dice che il futuro apparterrà alla cooperazione (scientifica e territoriale), all’integrazione, alla multiculturalità distante dalla globalizzazione che conosciamo e che ha prodotto un’iniqua distribuzione delle risorse e della ricchezza.

Forse è arrivato il momento di legare il rapporto binomiale sviluppo locale – pensare globale a quanto ci insegnò Odum negli anni cinquanta: la natura è formata da “sistemi di ecosistemi”. Se questo è vero, ed è vero, ogni essere è sistema di un ecosistema che funziona con le regole dell’equilibrio.

È mettendo in rete cultura, conoscenza e formazione, che possiamo costruire una nuova relazione spazio-temporale nella quale entrano in dialogo diretto il luogo di intervento, l’insieme di conoscenze (teoriche e buone pratiche), i formandi e i formatori. È in questa nuova relazione che l’insieme delle conoscenze è utile a formare i progetti locali e nel contempo ad accogliere, come verifica e buone pratiche, ciò che è stato realizzato globalmente.

Se l’ecologia ci parla di ecosistemi, equilibri ecc. e le nuove economie di fonti rinnovabili, misurazione del benessere sulle qualità ecc., è chiaro che l’obiettivo a cui tendere è la globalizzazione della conoscenza e l’integrazione nella formazione del sapere.

Se consideriamo lo sviluppo come sintesi armonica tra crescita, qualità, equilibrio, allora non può che essere figlio della cultura, della conoscenza e quindi non può che avere come primo riferimento le università.

 

Ma quanto vale una rete di università se non si collega al mondo del lavoro?

È per questo che pur essendo certo dell’espansione di una scuola senza confini, penso che la prima vera grande accelerazione che dobbiamo dare alla formazione distanza-presenza è quella legata al mondo del lavoro, ai disoccupati, ai sottooccupati e alla ri-professionalizzazione di occupati in bilico,perché impiegati in cicli e settori produttivi vetusti storicamente, socialmente e culturalmente.

Sicuramente la formazione distanza-presenza può favorire la promozione di un grande piano del lavoro che riqualifichi lavoro e investimenti nell’attuazione del binomio sviluppo locale – pensare globale.

È evidente che un nuovo modello di sviluppo passa per nuovi lavori, nuove imprese, nuovi investimenti. Ma tutto questo nuovo avrà bisogno di un nuovo mercato del lavoro, nuova cultura, nuove ricerche di base e applicate: o no?

E allora?

Continuo a essere certo che il nuovo modello si costruirà con interventi strutturati e progettati sia sui princìpi generali della qualità e dell’equilibrio sia sulla specificità e struttura dei luoghi, ma sempre con la cultura.

Enti Locali, organizzazioni territoriali del lavoro e della produzione pensino e promuovano lo sviluppo locale e partecipino alla formazione e alla professionalizzazione del mercato del lavoro.

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