L’ Unione Europea ha sanzionato duramente Google, accusandola di continuare ad abusare “della sua posizione dominante nel settore della pubblicità su internet”. La multa è stata di 2,95 miliardi, ma soprattutto le ha concesso 90 giorni “per presentare una soluzione seria per risolvere i suoi conflitti di interesse e se non lo farà, non esiteremo a imporre misure correttive severe” (virgolettato dal comunicato emesso dal Commissario alla Concorrenza Teresa Ribera).
A sua volta, la Federazione Europea degli Editori (EPC) ha ribadito che “senza un rispetto forte e deciso delle norme, Google considererà questa sanzione come un costo aziendale, consolidando il proprio dominio nell’era dell’intelligenza artificiale, perpetuando la concorrenza sleale e indebolendo i media e le case editrici che dipendono dalla pubblicità” Ovviamente, la multinazionale ricorrerà, ma si è fatta precedere da veementi dichiarazioni di Trump, seguite da minacciosi annunci, tanto per cambiare, di ritorsioni daziali.
Su questa vicenda l’Unione Europea si gioca non solo la faccia ma anche il suo futuro. Molti sono stati i commenti e i giudizi critici sulle conclusioni della trattativa sui dazi condotta dalla Commissione Europea. Finanche Friedrich Merz ha speso parole non gentili nei confronti di Ursula Von der Leyen, al riguardo.
Personalmente, ritengo che abbia ragione Lorenzo Bini Smaghi che ha scritto: “ad essere irrilevante non è l’Europa, bensì i 27 Paesi che la compongono”. In effetti, essi non hanno un’idea comune e solida su cosa fare della loro forza economica e del loro potere politico. Così la questione dazi si è conclusa in modo pesante per il sistema produttivo europeo e la strategia sulla guerra in Ucraina è condotta in modo asmatico con un andamento divisivo e competitivo di fronte a Trump. In modo sarcastico, Prodi ha ricordato che mai era successo che una riunione di capi di Stato o di Governo si era svolta finora con uno dietro la scrivania e gli altri in fila davanti.
La vera prova della vitalità dell’Europa l’avremo con le conclusioni del braccio di ferro che si è innescato con gli USA sul rispetto sulle norme per la concorrenza. Se si terrà il punto, non solo la dignità sarà salva ma soprattutto, come dice il presidente Sergio Mattarella, le corporation mondiali non potranno comportarsi senza limiti “come se fossero nuove Compagnie delle Indie”.
Di giorno in giorno, ci stiamo rendendo conto che i grandi gestori delle piattaforme dell’Intelligenza Artificiale stanno facendo massa critica per ottenere quanta più libertà di movimento dei loro mercati, per accrescere la loro capacità condizionante in tutti i campi: dalla cyberguerra, ai sistemi informativi e pubblicitari, dalla sicurezza delle nazioni, agli orientamenti dei consumi privati.
Questo passaggio è anche importante perché si intreccia con i cambiamenti nella geopolitica mondiale. Se si consolidasse, attorno alla Cina, un blocco di Paesi per lo più autocratici – che complessivamente rappresenta più della metà della popolazione mondiale e che minaccia la improbabile costituzione di un sistema monetario che dovrebbe contare sulla solidità dello yuan – si delineerebbe un dualismo di fatto con l’altra metà del mondo, inevitabilmente guidata dagli Stati Uniti. Questo scenario non è dietro l’angolo, al di là della imponente scenografia militare e di presenze istituzionali, data nella Piazza Tienanmen di Pechino, alla parzialissima ricostruzione della sconfitta inflitta al Giappone nella seconda guerra mondiale (senza le bombe atomiche sganciate dagli Stati Uniti, chissà se la Cina avrebbe potuto intestarsi la vittoria in esclusiva).
Ma la prudenza non deve andare a scapito della lungimiranza. Una visione miope di ciò che sta accadendo, può provocare danni irreparabili. Se, infatti, l’opinione pubblica venisse sempre più disorientata dagli smottamenti delle alleanze storiche, dal ripristino di politiche economiche protezionistiche a vasta scala, da guerre predatorie di territori e di scempio delle vite umane, è inevitabile che si sfalderebbero le resistenze democratiche.
Se anche la società europea, che questo sistema delle libertà ha faticosamente costruito dalla fine della seconda guerra mondiale, si convincesse che la forza del diritto viene progressivamente corrotta dal diritto della forza, saremmo alla frutta. Allora sì, che prevarrà, per assicurare occupazione e crescita, la facile proposta di sostituire alle politiche che mirano al benessere della gente, il potenziamento delle produzioni di guerra. Allora sì, si affievoliranno le difese delle libertà individuali per consegnarle nelle mani dei manipolatori delle opinioni prima e delle coscienze poi. Allora sì, la gerarchia dei valori si stravolgerebbe e il richiamo della foresta varrebbe anche per i destini di popolazioni che fini ad ora hanno privilegiato i ponti e non i muri.
Per questo, l’Europa non deve spostarsi di un millimetro dalle politiche di tutela dei cittadini, rispetto allo strapotere che pretendono i nuovi signori delle tecnologie, chiedendo mano libera nella gestione dei loro mercati e nella scelta dello Stato più accondiscendente per quanto riguarda il loro contributo tributario. I Governi dell’Unione Europea sono messi alla prova decisiva della loro visione del futuro dell’Unione. Dare un senso di alto valore politico alla lotta contro le pretese del tecnocapitalismo è fondamentale per dimostrare con i fatti e non con le chiacchiere che serve l’Europa unita. Per meglio dirla con Draghi, “L’Unione Europea deve mutare la sua organizzazione politica, che è inseparabile dalla sua capacità di raggiungere i suoi obiettivi economici e strategici” (discorso al Meeting di Comunione e Liberazione di Rimini 2025)
Ma anche le organizzazioni della società civile devono sensibilizzare le persone sulla gravità del momento; non devono favorire un malato quieto vivere e l’allergia alla discussione complessa che è fondamentale per spiegare quelle strategie. C’è bisogno di visioni ampie e prospettiche, non di frantumazione delle questioni sociali aperte, cercando di edulcorare la situazione che si vive. Non si tratta di mettere in piedi una o tante manifestazioni di consenso europeistico, sempre utili e necessarie, ma la creazione di una robusta cultura della costruzione dell’Europa come terzo interlocutore mondiale, forte della propria capacità di dare priorità democratica al governo della economia, della scienza, del benessere economico e sociale dei popoli del mondo.
In definitiva, le “sberle” di Trump, l’aggressività di Putin, la sorniona scalata egemonica di Xi e soprattutto l’avanzata di un capitalismo rapace di ogni rispetto della democrazia hanno prodotto un “disordine mondiale” che per i Governi e le società dei 27 Paesi dell’Unione deve risultare come la campanella dell’ultimo giro, durante il quale o si vince tutti insieme, o si campicchia facendo i vassalli da nuovo medioevo.