Ho conosciuto Franco Marini durante la mia attività sindacale. Dal 1985 al 1991 Franco Marini fu segretario della Cisl. Io ho fatto parte della segreteria confederale della Cgil dal 1987 al 1993. Ci incontravamo nelle riunioni unitarie, anche se un segretario generale gioca in un campionato diverso di quello di un semplice segretario. Ma occupandomi di welfare, pensioni, sanità avevo sempre un piccolo momento di gloria in occasione dei confronti con il governo sulle leggi finanziarie. Marini succedette a Pierre Carniti, di cui era stato “aggiunto”. Il tandem aveva riunificato, dopo anni di scontri, l’organizzazione. Poi l’elezione di Marini la riportò in area democristiana. Diversamente dal suo predecessore, Franco Marini era estremamente pratico, non aveva né esprimeva “visioni” che andassero oltre i prossimi sei mesi. Le sue relazioni congressuali erano intessute più o meno del medesimo spessore di un discorso conclusivo ad una riunione del Consiglio generale di un’Unione di provincia. Nei confronti con il governo – in occasione appunto delle leggi finanziarie – Marini non aveva remore a proclamare degli scioperi a sostegno di qualche misura a favore del lavoro o per modificare qualche norma giudicata troppo severa. Una volta Bruno Trentin gli diede, indirettamente, del “venditore di tappeti”. Marini non se la prese. Si presentò ad un incontro tra le segreterie confederali omaggiando Trentin di un lussuoso volume illustrato… sui tappeti. La vicenda si chiuse così (ma Trentin per tutta la durata della riunione sfogliò il volume con un interesse così finto da sembrare vero). Mentre ancora dirigeva la Cisl, intervenendo ad un Congresso della Dc, irritò Ciriaco De Mita che lo apostrofò con durezza. La mossa del segretario determinò un coro (un po’ strumentale) di critiche e di manifestazioni di solidarietà per il leader sindacale tanto che De Mita dovette fare marcia indietro. Alla morte di Carlo Donat Cattin, Franco prese il suo posto alla guida della corrente di Forze nuove e, poco dopo, entrò a far parte, come ministro del Lavoro, dell’esecutivo, chiamato da Giulio Andreotti interessato a ristabilire un equilibrio, nella sua compagine, tra le diverse correnti del partito. Marini non aveva intenzione di cercare guai nel suo (promettente) esordio in politica. Inoltre, la fine della legislatura era ormai in vista e un politico accorto doveva pensare al dopo. Si mise di mezzo, però, un altro “patriarca” di quei tempi: niente meno che Guido Carli, guru della finanza pubblica, titolare del Tesoro, che si impuntò: «O la riforma delle pensioni, magari per decreto o me ne vado»: tuonò il custode dei conti pubblici e di quel poco di credito che ci era rimasto sui mercati internazionali. Tutti si precipitarono a rabbonirlo, ma per convincerlo dovettero (era il mese d’aprile) incaricare Marini di presentare entro metà giugno un disegno di legge in Consiglio dei ministri. Franco rispettò il mandato, ma inaspettatamente si scontrò con l’opposizione di Bettino Craxi che non voleva concedere ad Andreotti quel risultato in vista delle elezioni politiche. Così Marini – divenuto per caso il principale avversario del leader del Psi – finì sugli allori della base democristiana e del compiacimento del Pci. Ciò gli consentì una clamorosa elezione alla Camera nel Lazio nel seggio lasciato libero da Andreotti nel frattempo nominato senatore a vita. Dopo aver ricoperto il ruolo di Presidente del Senato, la vera partita della vita Franco Marini se la giocò nella elezione del Capo dello Stato. Pd, Pdl, Scelta Civica e Lega, unico oppositore Matteo Renzi («Non siamo franchi tiratori ma ci opponiamo a questa scelta»), pensarono a lui per il Quirinale nell’aprile 2013, ma il mancato voto di parte del Pd lo bloccò a 521 voti contro i 672 necessari (nella prima votazione, ma più che sufficienti in un eventuale quarto scrutinio). Ma la sua candidatura venne ritirata.
Di Franco ho un ricordo personale. La nostra amicizia si realizzò quando Marini era ministro del Lavoro. Ad avvicinarci furono proprio le pensioni. Ho già ricordato le circostanze in cui cercò di cimentarsi con la ‘’bestia nera’’ della previdenza grande killer delle migliori prospettive politiche. Per dar corso all’incarico ricevuto dal Divo Giulio Marini diligentemente tolse dall’archivio il progetto Formica (che lo aveva preceduto all’inizio della Legislatura), lo ridusse all’essenziale (oltre al superamento delle pensioni baby del pubblico impiego, l’unica misura rigorosa rimase l’innalzamento dell’età pensionabile a 65 anni per uomini e donne) e pensò di avercela fatta. All’improvviso, l’allora segretario della Uil Giorgio Benvenuto scatenò contro il suo ex collega una campagna polemica durissima, una guerra senza quartiere. Si pensava anche senza motivo, visti i contenuti moderati del progetto; quando ci si accorse che Benvenuto faceva da battistrada (inconsapevole ?) a Bettino Craxi, il potente “signore” del Psi, il quale – come ho ricordato – chiedeva di sopprimere l’unica norma seria relativa, appunto, all’innalzamento dell’età pensionabile.
Andreotti difese Marini a (caute) parole, ma non ebbe un attimo di esitazione a sacrificare i propositi del suo ministro per i favori del suo più forte alleato. Così, ai primi d’agosto, il Consiglio dei Ministri approvò, more solito, il progetto Marini “nelle sue linee generali”, come dire col Poeta, “dalla cintola in su”. Oggi si sarebbe detto ‘’salvo intese’’. A settembre venne rimandata (non si uccidono così anche i cavalli ?) la messa a punto degli articoli. Ovviamente, al suo veto Bettino non rinunciò mai, dando prova di un’irriducibile ostinazione, fino al punto di sconfessare lo stesso Claudio Martelli, capo delegazione socialista nel governo, quando tentò in autunno una mediazione che sbloccasse l’impasse. Poco alla volta, le pensioni tornarono in apnea in attesa di tempi migliori. Il tema servì alla campagna elettorale di Franco Marini, al quale lo scontro con Craxi aveva dato grande popolarità nella base democristiana. Marini ebbe un gran successo a Roma e nel Lazio, puntando ad ereditare la dote elettorale di Giulio Andreotti nel suo stesso Collegio, dopo che l’uomo politico era stato nominato senatore a vita. Non sapeva ancora che quel patrimonio era ormai scritto sull’acqua. Quella vicenda, peraltro, procurò, in seguito, qualche sorpresa ad altri protagonisti. Bettino Craxi aveva incaricato due dirigenti socialisti di coordinare la guerra contro il progetto Marini : uno era Francesco Forte al quale era demandato il lavoraccio più sgradevole dell’attacco frontale; l’altro era Giuliano Amato. Quest’ultimo tentò di imbastire spiegazioni più raffinate, approcci culturali a volo radente, riciclando tanti luoghi comuni del dibattito previdenziale, tutti incentrati sulla necessità di rendere “volontario” (e non obbligatorio) l’innalzamento dell’età pensionabile. Quanto successe a pochi mesi di distanza è la prova che Dio esiste, che applica con severità la legge del contrappasso. Ma questa è tutta un’altra storia. Che cosa ebbi a che fare io in questa vicenda? Io allora ero responsabile delle politiche sociali della Cgil ed avevo già iniziato la mia battaglia (ancora in corso) per la riforma delle pensioni, prendendo di mira la questione dell’età pensionabile. Allora gli uomini andavano in pensione di vecchiaia a 60 anni le donne a 55, mentre il trattamento di anzianità lo si conseguiva a qualunque età facendo valere 35 anni di contributi. Non ci vuole molto a capire che si trattava di norme assurde a fronte dell’allungamento della aspettativa di vita combinata con l’età precoce in cui si entrava sul mercato del lavoro in occupazioni stabili e continuative tanto da poter andare in ‘’quiescenza di giovinezza’’ e restarci a lungo. Senza pensarci due volte mi schierai con Marini e mantenni quella posizione (la Cgil stette a guardare) anche sotto gli attacchi di Benvenuto e di Craxi. Fornendo così una copertura a Marini sul fronte socialista. Ricordo che in quell’estate Marini mi portava con sé ai Festival dell’Unità, dove venivamo accolti con grande benevolenza proprio perché il leader del Psi era clamorosamente e rumorosamente contrario. Franco non si è mai dimenticato di questa ‘’strana alleanza’’ anche durante il suo successivo e prestigioso cursus honorum.
*Gia’ Segretario Confederale CGIL