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Tony Atkinson, una vita contro la disuguaglianza

Con Tony Atkinson scompare l’economista che più di chiunque altro ci ha aiutato a capire come misurare, analizzare e contrastare povertà e disuguaglianza. Tutta la sua vita professionale è stata contraddistinta dall’esigenza di tradurre l’analisi economica in dibattito pubblico e prassi politica.

Il profilo scientifico

Nelle prime ore del 2017 è morto Sir Anthony Barnes Atkinson, uno dei grandi economisti dell’ultimo secolo. Tony Atkinson ha insegnato allo University College a Londra, alla London School of Economics e nelle Università di Essex, Cambridge e Oxford. Ha diretto per 25 anni il Journal of Public Economics, contribuendo a farlo divenire la principale rivista di scienza delle finanze al mondo. Presidente delle maggiori associazioni accademiche britanniche e internazionali, Knight of the British Empire e Chevalier de la Légion d’Honneur, ha ricevuto una ventina di lauree honoris causa e numerosi premi. Per l’impegno nella lotta alla povertà, nel 2016 gli è stato conferito il Dan David Prize, insieme a James Heckman e all’amico e coautore François Bourguignon. Gli è mancato solo il riconoscimento dell’Accademia svedese delle scienze. Per quasi trent’anni ho avuto il privilegio di conoscerlo e frequentarlo, come supervisor, coautore, amico.
Con Tony scompare l’economista che più di chiunque altro ci ha aiutato a capire come misurare, analizzare e contrastare la povertà e la disuguaglianza, in teoria e in pratica. In un articolo del 1970, Tony ha gettato le basi della moderna teoria della misurazione della disuguaglianza, riportandola ai suoi fondamenti etici: la sua misurazione è inestricabilmente connessa con i giudizi di valore e non è un esercizio puramente statistico, perché a ciascun indice di disuguaglianza è, implicitamente o esplicitamente, associato un insieme di preferenze collettive. La ricchezza analitica di questo lavoro ha ispirato interi nuovi campi di ricerca teorica ed empirica sulla distribuzione dei redditi, dei patrimoni e del benessere.
Sarebbe però limitativo confinare il contributo di Tony solo alla ricerca sulla disuguaglianza. Ha scritto innumerevoli articoli su tassazione, protezione sociale, disegno e ruolo del welfare state: le sue Lectures on Public Economics, scritte con Joe Stiglitz, hanno rappresentato il libro di testo avanzato per intere generazioni di studenti. I suoi primi due articoli accademici sono di macroeconomia. In uno osservava come nei modelli di crescita non si prestasse attenzione alla velocità della convergenza all’equilibrio di lungo periodo, nonostante che questa fosse una delle predizioni significative dei modelli: “se gettiamo l’informazione sulla dimensione temporale”, notava, “riduciamo ancor più la nostra limitata comprensione della relazione tra questi modelli e il mondo reale”. Nell’altro suggeriva come il progresso tecnico non muovesse uniformemente la funzione di produzione, come abitualmente postulato, ma riguardasse solo alcune tecnologie; lo sviluppo tecnico è un processo storico che dipende dalle condizioni di partenza. Daron Acemoglu ha ricordato come quest’idea precorresse i tempi, sfidando l’ortodossia nella formalizzazione del progresso tecnologico. I due articoli, pubblicati nel 1969 quando Tony aveva solo 25 anni, mostrano alcuni tratti salienti della sua ricerca futura: lo sforzo di elaborare tutte le implicazioni dei modelli teorici, la predisposizione a esplorare soluzioni analitiche diverse da quelle canoniche, la consapevolezza dei limiti dei modelli. “Troppo spesso gli economisti sono prigionieri di mura teoriche che essi stessi hanno eretto”, scriverà nel 2014 discutendo le politiche di austerità, “e non riescono a vedere che importanti considerazioni sfuggono alla loro analisi”.

Dall’analisi economica alle decisioni politiche

Quest’attitudine ha portato Tony a rifuggire dalle spiegazioni mono-causali e dalla ricerca di una grande teoria unificante, un carattere che probabilmente lo distingue da Thomas Piketty. Tony ha rilevato che la disuguaglianza dei redditi si muove in modo irregolare, configurando una sequenza di episodi più che trend ben definiti di lungo periodo. Le cause su cui spesso ci si concentra – progresso tecnologico, globalizzazione, evoluzione demografica – non possono essere separate da fattori nazionali specifici quali le scelte fatte dai governi per i sistemi fiscali e di protezione sociale. Già nel 1999 Tony ammoniva che non è ineluttabile che globalizzazione e progresso tecnico aumentino le disuguaglianze: i governi mantengono uno spazio d’intervento che può contrastare queste tendenze.
Tale conclusione si fonda su un’analisi approfondita dei dati. L’attenzione scrupolosa alla loro qualità, un aspetto che non riceve sempre la dovuta attenzione nella professione, ha permeato la ricerca di Tony. Anche uno sguardo fugace ai suoi studi rivela la cura con cui ha scavato gli archivi e documentato caratteristiche e limiti delle statistiche utilizzate. Questa cura si ritrova nelle oltre trecento pagine di appendici della Rodolfo Debenedetti Lecture sulla distribuzione delle retribuzioni nei paesi dell’Ocse o nella costruzione delle statistiche sui top incomes intrapresa con Piketty e altri coautori. Tony ha costantemente messo in guardia i ricercatori che la comparabilità dei dati è una condizione imprescindibile per derivare conclusioni affidabili. È questo un punto centrale del rapporto finale della Commission on Global Poverty, pubblicato a ottobre 2016, in cui ha delineato i criteri per la stima e il monitoraggio della povertà che saranno di guida alla Banca Mondiale negli anni a venire. Il riguardo per la produzione statistica gli ha guadagnato il rispetto degli statistici professionali, come testimoniato dall’influenza della Atkinson Review sulla misurazione dell’output delle amministrazioni pubbliche.
L’altissimo profilo scientifico di Tony è intimamente connesso con il fine ultimo della sua ricerca: l’economia è uno strumento per comprendere il mondo e giungere a una decisione informata sulle politiche; ma l’economista deve sforzarsi di comunicare i propri risultati oltre la cerchia ristretta dei decisori politici, rendendoli accessibili per una discussione pubblica. Ha intitolato Public Economics in Action un libro del 1996 sui pro e i contro del reddito di cittadinanza e per trent’anni ha partecipato alla costruzione di modelli di microsimulazione fiscale, prima per il Regno Unito e poi per l’Unione europea. L’esigenza di tradurre l’analisi economica in dibattito informato e prassi politica ha contraddistinto tutta la sua vita professionale: dal suo primo volume su povertà e riforma della sicurezza sociale nel Regno Unito, scritto a 25 anni, fino a Disuguaglianza. Che cosa si può fare? In questo libro, cui si è dedicato quando già la malattia l’aveva colpito e che per molti versi è il suo testamento intellettuale, illustra un pacchetto di misure concrete per ridurre le disuguaglianze che abbraccia tutti i campi dell’azione dei governi, dagli investimenti pubblici alle politiche per l’innovazione, dalla garanzia di un rendimento minimo per gli investimenti dei piccoli risparmiatori alle politiche redistributive di reddito e ricchezza. Si può dissentire da queste proposte, concludeva nelle presentazioni del libro, ma se si crede che la disuguaglianza sia un problema, vi è allora il dovere di formulare realistiche proposte alternative.

(*) Banca d’Italia, Dipartimento Economia e Statistica. Le opinioni qui espresse sono esclusiva responsabilità dell’autore e non impegnano la Banca d’Italia e l’Eurosistema.

Articolo già apparso su www.lavoce.info n.10/2017

 

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