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Salari: Caratteristiche di lungo periodo, prospettive di soluzione

A chiusura di questo scritto è opportuno richiamare brevemente i principali aspetti evidenziati. L’analisi delle caratteristiche istituzionali di regolazione della contrattazione salariale nell’economia italiana ha mostrato che, se esse hanno bene o male garantito dal 1993 (Protocollo Ciampi) la tenuta del potere d’acquisto delle retribuzioni attraverso regole di “rigidità verso il basso” della dinamica salariale, la possibilità di aumento delle retribuzioni reali si è invece fortemente indebolita nel corso del tempo, a causa tanto della difficoltà di sviluppo della contrattazione decentrata, quanto dell’abbandono delle pratiche di concertazione sociale dell’inflazione e della politica dei redditi. L’abbandono si è spinto sino alla rinuncia allo stesso strumento del tasso di inflazione programmato con il coinvolgimento delle parti sociali in favore di un tasso semplicemente previsto da un’istituzione tecnica terza e all’esclusione del prezzo dei beni energetici importati dall’indicatore statistico di riferimento (l’indice armonizzato dei prezzi al consumo Ipca). 

A questi elementi di impedimento istituzionale di ogni possibile crescita del potere d’acquisto delle retribuzioni si sono sommati: a) nel ventennio tra i censimenti del 1991 e del 2011, l’ingente spostamento delle aziende italiane verso la dimensione della piccola (10-15 addetti) e soprattutto della microimpresa (0-9 addetti), dove la contrattazione decentrata è estremamente difficile se non impossibile; e, b), negli anni successivi, lo sviluppo di forme di dumping salariale ad opera della “contrattazione pirata”, mentre il lavoro precario, irregolare e sommerso ha mantenuto se non accresciuto la sua diffusione. In questo quadro, alla rigidità verso il basso delle retribuzioni reali si è venuta a sommare una loro speculare rigidità verso l’alto nel lungo periodo, con fasi di vero e proprio ridimensionamento che, come segnalano tanto l’OCSE quanto l’OIL, costituisce un vero e proprio unicum tra le economie sviluppate. 

Degli aspetti istituzionali a più immediato contenuto economico, fa poi parte il tenet teorico che ha contraddistinto buona parte della contrattazione collettiva, riassunto nell’affermazione che i salari non possano aumentare se prima non sia cresciuta la produttività. A confutazione di questo principio generale l’articolo sintetizza i risultati di vent’anni di studio di Paolo Sylos Labini sulla crescita della produttività, evidenziando che un aumento dei salari influenza la crescita della produttività sia quando esso rende conveniente il prezzo dei macchinari (effetto Ricardo), sia quando il costo del lavoro per unità di prodotto cresce più del prezzo del prodotto (effetto organizzazione); e molto probabilmente anche quando l’aumento è motivo di espansione del mercato dei beni di consumo (effetto Smith). 

L’ultimo argomento affrontato è quello del ruolo macroeconomico del potere d’acquisto dei salari. A questo proposito è stato esaminato per contrasto il modello paradigmatico “delle riforme strutturali” di Blanchard e Giavazzi (2003), che si può interpretare come caratterizzato da un’impostazione macroeconomica che tende a coincidere con la teoria della necessità di sottoporre l’economia ad un “vincolo esterno”, autorevolmente proposta sin dagli anni ’80 come rimedio alle difficoltà dell’economia italiana . In quella prospettiva, al cui interno i salari costituiscono essenzialmente un elemento di competitività del prodotto nazionale a fronte dell’impetuoso sviluppo dei mercati esteri (europei o globali), principale elemento di crescita dell’economia globale, Blanchard e Giavazzi suggeriscono che la flessibilizzazione del mercato del lavoro affianchi e rafforzi la liberalizzazione del mercato del prodotto. Tuttavia, se sotto il profilo teorico questa indicazione è stata frontalmente contraddetta da quella della necessità di una ripresa, in particolare nelle economie europee, di un modello di sviluppo wage-led (ad esempio, Lavoie e Stockhammer, 2013; Onaran e Obst, 2016), nel caso italiano la scelta di tenere a fondamento della crescita una competitività internazionale le cui radici si fondano sui bassi salari ha mostrato di favorire semmai il ristagno degli investimenti e della domanda interna netta e, quindi, il declino della crescita anche a fronte di una dinamica significativamente positiva della bilancia commerciale.

In conclusione, di fronte ai deludenti risultati economici conseguiti dall’economia italiana (anche a confronto con gli altri paesi che hanno adottato l’euro) in questa lunga fase di rigidità dei salari reali verso l’alto ancor più che verso il basso, si segnala l’urgenza di una riconsiderazione della questione salariale dal punto di partenza, da parte della politica quanto del sistema delle relazioni industriali. Un profondo ripensamento appare ancor più necessario a fronte della ripresa dell’inflazione, interna e internazionale. L’applicazione concreta della lezione di Tarantelli da parte di Ciampi nella seconda metà degli anni ’90 ha mostrato la concreta percorribilità di un processo di concertazione sociale dell’inflazione e della politica dei redditi (occupazione, crescita, fisco, prezzi e salari), con risultati molto rilevanti in termini di disinflazione, crescita e occupazione. Nel nuovo contesto, caratterizzato tanto da un’alta inflazione di origine esterna quanto da un’allarmante crescita della povertà anche tra gli occupati, appare urgente riconsiderare quel modello e valutarne la possibilità di una riedizione. Se il punto di partenza può essere offerto da una ripresa della programmazione dell’inflazione concertata trilateralmente, che miri ad annullare gli effetti di impoverimento delle retribuzioni conseguenti alle ondate inflazionistiche generate dalla pandemia e dall’invasione dell’Ucraina, il sistema delle politiche del lavoro e delle relazioni industriali può aggiornarsi sino a comprendere altri aspetti, finora trascurati, che però rientrano nei fondamenti della Repubblica, così come definiti dalla Costituzione. 

Si tratta, in particolare, di dare almeno una prima attuazione agli articoli 36 (efficacia erga omnes dei contratti collettivi nazionali siglati dalle organizzazioni più rappresentative), 39 (giusto salario) e 46 (partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese) che, insieme alla concertazione della politica economica, disegnano il quadro delle misure fondamentali necessarie ancora mancanti all’attuazione del secondo comma  dell’articolo 3 (partecipazione dei lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese).

Se l’introduzione nel contesto normativo italiano di un salario minimo, concepito in modo da dare finalmente attuazione tanto all’art. 39 quanto all’art. 36, può finalmente rompere la gabbia della “rigidità verso l’alto” del potere d’acquisto dei lavoratori italiani, una norma che dia attuazione al diritto di collaborare alla gestione delle imprese (art. 46) potrebbe, tra gli altri risultati, sostenere il reddito dei lavoratori attraverso strumenti di profit-sharing, diretti a premiare le iniziative di miglioramento di processi, prodotti e organizzazione delle imprese. 

Infine, con riferimento al tema della crescita salariale nella piccola e nella microimpresa, nel quadro di una nuova fase di concertazione sociale dello sviluppo si potrebbe finalmente aprire il capitolo di quello che Tarantelli chiamava il “modello neocorporativo decentrato”, con riferimento non solo al rafforzamento della contrattazione aziendale – e soprattutto territoriale –, ma anche all’indirizzo di quest’ultima alla realizzazione delle transizioni digitale ed ecologica del sistema produttivo che costituiscono l’obiettivo di impiego delle risorse previste dal PNRR. Una nuova stagione di concertazione decentrata dello sviluppo, peraltro, si riallaccerebbe alla visione olivettiana della comunità locale come ambito sociale, culturale e valoriale al cui interno coinvolgere, in una prospettiva comune di crescita equa e sostenibile, imprese, amministrazioni locali, forze sindacali e del terzo settore, centri universitari e di ricerca, banche e finanza.

*Conclusioni tratte dall’articolo pubblicato da Sinappsi n.2, 2023 e riportato integralmente su:

Il presente articolo è pubblicato nel n.2/2023 della rivista Sinappsi dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche al link.

https://oa.inapp.org/xmlui/bitstream/handle/20.500.12916/4065/INAPP_Crisi-lavoro_Sinappsi_2-2023.pdf

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