Dopo l’approvazione della legge di stabilità, con i suoi punti interessanti e con i suoi limiti, occorre innanzitutto porre l’attenzione sulle modalità attuative dei provvedimenti contenuti in modo da evitare che i tagli previsti dalla manovra finiscano per scaricarsi, come purtroppo spesso accade, su chi occupa l’ultimo anello della scala sociale, i cittadini più deboli.
Stante l’attuale regime di austerità non ci si deve stupire del fatto che i governi usino criteri piuttosto sommari per decurtare i bilanci dei loro ministeri, questi ultimi poi si rivalgano con dei tagli sui trasferimenti agli Enti Locali e questi, a loro volta, alle imprese o alle cooperative che realizzano opere o servizi pubblici. Sarebbe interessante monitorare per ogni milione di tagli, quanto costituisce un effettivo risparmio, quanto incide su una migliore organizzazione e sulla riduzione degli spechi e quanto invece ricade come una tegola sulla testa di chi è nel bisogno, privandolo di servizi o di agevolazioni di vitale importanza.
Ciò che si avverte è che gran parte dei tagli, sostanzialmente trascurabili sulle fasce più forti, si traducono di fatto in pesanti sacrifici per i ceti medio bassi e in abbandono dei più poveri. Tutto ciò non fa che aumentare le disuguaglianze, senza peraltro giovare agli obiettivi contabili che le politiche austeritarie dicono di voler perseguire. Queste al contrario, oltre a soffocare l’economia, causano nel contempo un peggioramento dei conti pubblici. Non va dimenticato che il rapporto debito/pil in Italia è passato dal 116,4% del 2011 al 132,3 del 2014.
In questi tempi di austerità insensata ed irresponsabile, i governi europei sono messi nella condizione di fare a gara a chi riesce meglio a ridurre gli investimenti per lo sviluppo, per lo stato sociale, per il lavoro. Sono considerati virtuosi i governi che si inchinano davanti al feticcio della stabilità, ed invece sono guardati con sospetto quei tentativi di dare un po’ di ossigeno alle famiglie e alle imprese, stremate da politiche che producono deflazione, disoccupazione e prolungamento della crisi. Chi addirittura riesce a raggiungere ingenti avanzi di bilancio, che non utilizza per nessun tipo di investimento, e da cui non viene alcun bene, si considera il primo della classe e pretende di dare lezioni a tutti gli altri. Un comportamento sciocco e tragico nel contempo. Non si può che concordare con le riserve che l’ex presidente della Commissione Europea Romano Prodi esprime sulle politiche europee subordinate agli interessi tedeschi, che ha ribadito il 10 gennaio scorso in questi termini: «Anche i tedeschi dovrebbero tuttavia rendersi conto che la continuazione di questa politica di dominio finirà col distruggere l’Europa e quindi la stessa Germania».
Perché in tal modo si preclude all’Europa la via della ripresa, che passa attraverso la creazione di un minimo di inflazione e di un giusto indebitamento per un piano straordinario per il lavoro e per lo sviluppo. All’Italia, nel momento particolarmente critico del 2011, addirittura è stato imposto di inserire il pareggio di bilancio in Costituzione. Lo stesso mutamento del linguaggio per indicare la legge di bilancio dello Stato, da “finanziaria” a “legge di stabilità” è espressione di una intransigenza ideologica allarmante quanto inconsistente nel suo contenuto. Chi può mai pensare seriamente che lo scopo di una legge di bilancio possa essere di tipo meramente contabile? È una enorme assurdità che sta provocando delle conseguenze gravissime, impedendo agli stati di adottare politiche espansive. Proseguendo per questa via la ripresa non arriva, i consumi non salgono, i posti di lavoro non smettono di calare, non si riesce a riattivare un livello fisiologico di inflazione.
In questo quadro tutt’altro che propizio, vanno senz’altro riconosciuti i tentativi del governo per quantomeno attenuare l’austerità. Tentativi che in alcuni casi si sono tradotti in risorse a sostegno delle famiglie, del sociale, delle imprese, della ripresa dei consumi. Da qualche parte si è parlato di mance elettorali, ma i diversi tipi di bonus vanno comunque nella direzione di dare più reddito ai ceti medio bassi, anche se si sarebbero potuti attuare con maggiore equità, iniziando da chi sta peggio. Ma soprattutto va sostenuta l’iniziativa del nostro Paese nell’ambito dell’Unione Europea e dell’Eurozona per il superamento delle politiche di austerità.
Non sono infatti i populismi a minare l’Europa. Al contrario sono le attuali politiche tecnocratiche cieche ed insensibili sia alle istanze sociali che a quelle del mondo del lavoro e della produzione, a creare un crescente malcontento, a destabilizzare economicamente e socialmente l’Europa. I populismi sono prodotti dalla sostituzione del progetto di integrazione europea e dei suoi ideali di giustizia e di pace, con gli interessi delle èlites economiche e finanziarie transanzionali. Le banche d’affari che dettano le politiche economiche e monetarie all’Europa, sono la prima causa dei populismi.
In questo quadro, la legge di stabilità 2016 appare decisamente ispirata a criteri riformisti, anche se in misura insufficiente a quanto la situazione richiederebbe. Va riconosciuto che questo intento riformatore ha incontrato i limiti di una politica economica e monetaria europea che, se non verrà presto cambiata, trascinerà l’intero continente nel baratro.Fra questi limiti va ricordato l’assoluta arbitrarietà dei vincoli europei di bilancio. Non vi è infatti alcuna precisa ragione economica per la quale, ad esempio, il limite del rapporto deficit/pil debba essere fissato al 3% anziché al 2 al 4 o all’8%.
Vi sono poi delle politiche monetarie che appaiono principalmente preoccupate di gratificare la speculazione finanziaria trascurando la gravità in cui versa l’economia reale in Europa. Il piano straordinario di immissione di liquidità (quantitative easing) che la Bce continua a prolungare almeno fino al 2017, ha avuto sinora come beneficiarie solo le banche, le quali assorbono questi immensi aiuti anziché metterli in circolo nell’economia reale. Da un recente rapporto del Cer (Centro Europa Ricerche) sull’efficacia del quantitative easing risulta che a fine 2015 ben il 66% delle risorse erogate è stato ridepositato dalle banche piuttosto che essere utilizzato nell’economia reale. Pensiamo quali migliori margini di manovra avrebbe avuto il governo, se anche solo un terzo delle centinaia di miliardi di Euro immessi dalla Bce nei bilanci delle banche fosse andato direttamente agli stati dell’Eurozona, in termini di investimenti per il lavoro, di nuovo welfare, di riduzione della pressione fiscale. Un massiccio trasferimento di nuova moneta direttamente all’economia reale è ciò che si impone, se si vuole tentare una terapia d’urto contro la recessione in Europa prima che sia troppo tardi.
Un altro atto di miopia, nonchè di cattiveria, è stato compiuto dall’Europa sulle norme dei salvataggi bancari. É clamoroso che la Bce in questi anni abbia accettato qualunque tipo di titolo tossico, qualunque rifiuto prodotto dalla speculazione finanziaria a garanzia dei finanziamenti alle banche; in altri termini, che abbia salvato con immense quantità di denaro pubblico i grandi speculatori internazionali e poi pretenda che i piccoli risparmiatori sputino l’anima e il sangue, proibendo di salvare i loro risparmi. Queste sono scelte che minano il futuro dell’Europa, che hanno impedito all’Italia di attuare il salvataggio dei risparmiatori e che hanno costretto il Governo ad inserire opportunamente in finanziaria un fondo salva risparmiatori che tuttavia non risulta sufficiente a risarcire integralmente gli investitori delle quattro banche locali in crisi.
Un altro limite europeo all’efficacia di questa finanziaria viene indirettamente da elementi di politica internazionale. Colpisce il fatto che l’Europa pur di fronte ad una crisi economica e sociale tanto grave compia delle scelte tanto autolesioniste di dissipazione di risorse e di relazioni, come quelle costituite dal blocco del progetto del gasdotto South Stream, di vitale interesse per l’economia italiana, e quella del rinnovo per il prossimo semestre delle sanzioni alla Russia, che danneggia gli interessi commerciali dei Paesi europei in uno dei naturali e più promettenti mercati di sbocco dei loro prodotti. L’Italia non ha mancato di far notare in sede comunitaria la stranezza e l’insensatezza di queste decisioni. Dalle risposte che otterrà si misurerà il grado di influenza del nostro Paese ed insieme le possibilità di ripresa dell’intera Unione Europea.
Va da sé che questo quadro accidentato abbia finito per limitare i reali intenti riformisti di questa finanziaria. Come nel caso della lotta alla povertà per la quale la legge di stabilità accoglie il progetto di un Piano nazionale strutturale ed articolato in più anni, così come proposto dall’Alleanza contro la povertà. Va riconosciuto al Governo un cambio di passo e va nel contempo ricordato che è ancora troppo esigua la platea di quanti potranno beneficiare di tali interventi. Per questo sarà fondamentale il lavoro tra governo, enti locali, terzo settore con cui avviare questo piano di lotta alla povertà in modo da ampliare il più possibile il numero dei soggetti interessati.
Positiva l’attenzione particolare alla povertà minorile e alle famiglie con minori disabili e il nuovo Fondo di contrasto alla povertà educativa. Così pure il rilancio del servizio civile e il sostegno alla maternità. Inoltre viene proseguita la stabilizzazione del Fondo per le politiche sociali e del Fondo per la non autosufficienza (riportato a 400 milioni ).
Il merito maggiore di questa finanziaria appare quello di aver indicato dei chiari filoni per la ripresa economica e sociale ma che per essere seguiti e realizzati in pienezza necessitano di un deciso cambio delle politiche europee.
(*) Presidente nazionale ACLI