In Electrolux è stata raggiunta un’intesa condivisa da tutti e in primo luogo dai lavoratori che, tramite referendum a cui ha partecipato l’81% degli aventi diritto presenti in fabbrica, hanno validato l’ipotesi di accordo con l’80% di voti a favore; non è stato un percorso semplice, scontato o prevedibile ma il risultato di mesi di mobilitazione e di 150 ore di sciopero.
Da subito e per tutti c’è stata la consapevolezza che in Electrolux si era aperta una vertenza simbolo per tutti: per i lavoratori e il sindacato, per i territori coinvolti e le istituzioni, per le relazioni sindacali e per le imprese del settore a partire da quelle dell’indotto; l’attenzione e la rilevanza nazionale data alla vicenda non si è mai esaurita per tutti i nove mesi della vertenza.
A partire da settembre 2013, prima ancora di discutere di piani industriali, il problema che la multinazionale svedese ha posto al centro della investigazione aperta per stabilimenti italiani, come condizione per garantire un piano industriale e gli investimenti necessari al loro futuro e a sostegno del piano industriale, è stato quello della sostenibilitá e della competitivitá delle produzioni di elettrodomestici in Italia.
Quello della produzione di elettrodomestici è un settore che fa i conti con il calo (dimezzamento) dei volumi in tutta l’Europa dell’ovest, è esposto alla concorrenza del costo del lavoro dell’Europa dell’est, dove in questi anni tutti i produttori hanno istallato grandi capacità produttive, e che si misura con la presenza di nuovi produttori – turchi, cinesi, coreani.
Un settore che, per numero di addetti in Italia, è secondo solo all’automotive; tra grandi gruppi e indotto è insediato in quasi tutto il territorio del nostro paese e, per alcuni territori, rappresenta il settore deciso per l’occupazione se si tiene conto anche dell’indotto; le delocalizzazioni, i ridimensionamenti, le chiusure e i fallimenti si sono moltiplicati e, dal 2008, la perdita dei posti di lavoro e il ricorso agli ammortizzatori sociali hanno di volta in volta accompagnato le riorganizzazioni dei grandi gruppi.
Per l’elettrodomestico, da tempo e unitariamente, il sindacato dei metalmeccanici chiedeva al governo un tavolo di settore e interventi di politica industriale, avanzando anche proprie proposte a salvaguardia delle produzioni e dell’occupazione tra le quali anche il rifinanziamento della normativa che prevede la decontribuzione per le imprese che utilizzano in contratti di solidarietá.
Il 28 gennaio 2014, Electrolux ha presentato al sindacato e ai lavoratori un piano industriale pesantissimo: la insostenibilitá della produzione di lavatrici in Italia e quindi nessun piano industriale per lo stabilimento di Porcia nel Friuli, programmando il trasferimento delle produzioni e di fatto la chiusura; la riduzione del costo dell’ora lavorata per investire e dare continuità alle produzioni di frigoriferi a Susegana, di lavastoviglie a Solaro e di forni e piani cottura a Forlì.
Per Electrolux la condizione per investire in Italia era la chiusura di Porcia e per gli altri stabilimenti italiani una richiesta pesantissima su salari e condizioni di lavoro: un risparmio immediato di 3 euro per ora lavorata – con il taglio della contrattazione aziendale, delle pause, dei permessi sindacali e delle ore di assemblea retribuita – un ulteriore risparmio di 2 euro per ora lavorata per gli anni 2014/2017- realizzato con il congelamento degli scatti di anzianitá e degli incrementi salariali previsti dal Contratto Nazionale – oltre a interventi sulle velocizzazioni delle linee di montaggio finalizzati a incrementarne la produttività e l’efficienza.
La reazione delle lavoratrici e dei lavoratori, a partire dallo stabilimento di Porcia, è stata altrettanto determinata e ha messo in serie difficoltà l’azienda che non aveva messo in conto il conflitto per come si è manifestato.
Un esercizio del conflitto misurato e dosato per stabilimento, con il blocco e il rallentamento delle merci in uscita senza incorrere nella messa in libertà, con scioperi articolati per linea, per segmenti di linea e per reparto.
Più di cento ore di sciopero (negli stabilimenti di Porcia e di Forlì circa 150), articolate in fabbrica e fuori la fabbrica, con manifestazioni locali, regionali e nazionali; sono stati coinvolti sindaci, prefetti, presidenti di regione che si sono mossi sia nei confronti dell’azienda che nei confronti del Governo, a Milano è stato presidiato anche il Consolato svedese; abbiamo coinvolto il Ministero dello Sviluppo Economico e il Ministero del Lavoro, a febbraio abbiamo chiesto l’intervento diretto della Presidenza del Consiglio.
Un confronto e un conflitto segnato e anticipato, il 24 gennaio 2014, dall’iniziativa della Unione Industriali di Pordenone che proponeva Pordenone come laboratorio per una ” nuova ” (!!!!) competitività industriale e a Cgil Cisl e Uil chiedeva un accordo territoriale per tagliare salario e diritti. Per l’Unione Industriali di Pordenone la strada era già tracciata e, in altri territori, altre associazioni territoriali erano pronte a proporre l’istituzione di zone franche in deroga al contratto nazionale, cancellando la contrattazione aziendale.
Una vertenza accompagnata, il 6 febbraio 2014, da una richiesta sindacale esplicita di misure di politiche industriali nei confronti del Governo con una proposta, consegnata alla Commissione Industria del Senato, di decontribuzione dei contratti di solidarietá quale misura a sostegno dell’occupazione e alternativa alla riduzione del salario e dei diritti.
La mobilitazione ha prodotto un primo risultato: l’azienda ha capito e accettato una discussione che riguardasse il futuro di tutti gli stabilimenti italiani, quindi un piano industriale anche per Porcia, rinunciando a richieste sul taglio dei salari.
Il 17 febbraio 2014, Electrolux ha presentato un nuovo piano industriale, non condiviso ma sul quale è stato possibile avviare il confronto sindacale accompagnandolo con le mobilitazioni dei lavoratori.
L’accordo è sempre un equilibrio tra interessi diversi; un equilibrio più difficile da raggiungere tanto più sono difficili e complicate le situazioni e diverse le esperienze in campo.
La vertenza Electrolux ha affrontato la situazione complicata e difficile di oggi, come tutte le vertenze sindacali nazionali e locali: la crisi generale, la crisi del settore, le scelte della multinazionale, la difficoltà del rapporto con la politica e l’assenza di scelte di politiche industriali, un sistema di relazioni industriali segnato dalla crisi della rappresentanza, le divisioni sindacali, il tentativo di mettere in contrapposizione gli stabilimenti e i lavoratori tra stabilimenti.
Per costruire questo equilibrio i delegati e il sindacato ( io parlo per la mia organizzazione, per la FIOM) hanno messo al centro il rapporto con le lavoratrici e i lavoratori; il voto che ha validato l’ipotesi di accordo è un risultato prezioso per tutti e una vittoria per la democrazia.
Un accordo che ricorre al contratto di solidarietà, riduce gli orari di lavoro e mantiene i livelli occupazionali; salvaguardia il futuro degli stabilimenti e, prevedendo 150 milioni di investimenti, mantiene le produzioni nel nostro paese.
Salvaguardando occupazione e salario, diritti individuali e collettivi, le condizioni di lavoro a partire dalle pause con una intesa che risponde agli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori della Electrolux e risponde agli interessi della impresa che, con la decontribuzione dei contratti di solidarietà, realizza in parte la riduzione del costo dell’ora lavorata.
Per raggiungerlo abbiamo aperto un confronto con le istituzioni; è stata una necessità e una priorità in questa vertenza ottenere il loro sostegno e riuscire ad individuare strade e soluzioni condivise, indispensabili nel confronto con le multinazionali e con Electrolux.
Ministero dello Sviluppo economico, del Lavoro e Presidenza del Consiglio hanno rappresentato per il sindacato una interlocuzione e un punto di sostegno, attraverso la decontribuzione, senza il quale non sarebbe stato possibile trovare un’intesa con Electrolux.
Il confronto sindacale con l’azienda ha poi trovato un punto di equilibrio e, riducendo i permessi sindacali del 60% ( rimangono comunque superiori a quanto previsto dal CCNL e dalla legge 300 ) e riproporzionando la pausa aggiuntiva di Porcia da 10 a 5 minuti, si è raggiunto l’accordo.
Ci sono poi altri aspetti dell’intesa che rappresentano un risultato per tutti; a Porcia si prevedono attivitá aggiuntive nel sito per ulteriori 150 persone; con l’accordo, Electrolux si è impegnata a verificare la fattibilità di modifiche sulle linee idonee a reimpiegare lavoratori con ridotte capacità lavorative ( anche con il concorso di finanziamenti europei o regionali ); le velocizzazioni sulle linee di montaggio prevedono sia investimenti sugli impianti che interventi organizzativi per garantire il mantenimento e il miglioramento degli indici di affaticamento OCRA.
Questo è un risultato non solo delle lavoratrici e dei lavoratori della Electrolux ma di tutti.
La vertenza e l’accordo Electrolux sono stati indicati da più parti come un modello di relazioni industriali; è un giudizio condiviso e sul quale non ho sentito esprimere pubblicamente delle opinioni contrarie.
Nelle assemblee svolte per illustrare i contenuti dell’intesa abbiamo ( la Fim la Fiom e la Uilm) tutti sostenuto che il risultato è stato possibile grazie alla coesione e alla capacità di mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori.
Allora la vertenza Electrolux è anche il modello a cui riferirsi nel rapporto democratico con le lavoratrici e i lavoratori, sul loro diritto ad esprimersi e a validare piattaforme e accordi che li riguardano; un diritto di cittadinanza, di partecipare alla presa delle decisioni che spetta a chi vede messa in discussione la propria condizione e, con le proprie capacità e la propria lotta, cambia il corso degli eventi.
La democrazia nella nostra cultura non nasce e non cresce forse per rispondere alla domanda: chi ha diritto di cittadinanza e quindi, chi ha diritto a partecipare alla presa delle decisioni?
(*) responsabile del settore elettrodomestico per la Fiom-Cgil