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Un cambio di passo necessario

Sebbene in Europa si rilevino segnali di crescita, per altro differenziati fra le varie aree, il calo della domanda aggregata e la distruzione della base produttiva continua ad avere forti ripercussioni in termini occupazionali e di esclusione sociale. Ai dati positivi dell’economia Usa si associano aggiustamenti al ribasso delle economie emergenti, che implicano evidenti ripercussioni sull’intero sistema. 

L’obiettivo di crescita globale del 2,5% affermato nell’ultimo G-20 evidenzia non solo l’esigenza di crescita globale, ma di una sua attuazione oltre mere dichiarazioni di principio. 

Ai segnali di ripresa, insomma, non corrisponde l’uscita dalla crisi. Da più parti vengono evidenziati i rischi di una ripresa senza occupazione. In Europa le criticità strutturali della UE, esacerbate dalla crisi, evidenziano ancor più la frequente inadeguatezza delle politiche poste in essere.

 

La governance europea 

L’Europa si trova ad affrontare le sfide del rilancio del proprio progetto all’interno di una fase di profondo ripensamento politico-istituzionale. Gli eventi politici di quest’anno condizioneranno fortemente il futuro dell’UE e il ruolo della Presidenza italiana al semestre europeo sarà centrale: può essere l’occasione per tornare ad un ruolo primario, proprio di un Paese fondatore del progetto comunitario, che può contribuire radicalmente al necessario cambio di prospettiva.

Un cambio di passo è necessario non solo per il rilancio dell’UE ma, in realtà, per la sua sopravvivenza: non solo perché, mai come ora, il suo cammino sembra esser messo radicalmente in discussione (come recentemente dimostrato dalle elezioni francesi e ungheresi), ma per l’esigenza di competere in un contesto geopolitico ed economico internazionale in rapida evoluzione.

La crisi ha posto la necessità ormai non più rinviabile di collocare la governance economica all’interno del quadro istituzionale dell’UE: più integrazione politica per un rilancio democratico ed economico. L’asimmetria istituzionale ha generato i grandi gap di competitività, la cui persistenza è, come ricordato anche dal nostro Presidente della Repubblica, frutto di anacronistiche chiusure nazionali in campi ormai europei o globali. È questa la prima e vera priorità.

Per tali ragioni ribadiamo la necessità di intraprendere da subito, e con azioni concrete, il cammino federale dell’Unione europea, che conduca alla costruzione degli Stati Uniti d’Europa. È necessario un impulso risoluto e univoco per un’Europa più integrata politicamente quale precondizione di un progetto che garantisca democraticità, stabilità e competitività dell’intero sistema. 

 

Governance economica e politica industriale

Da una rinnovata architettura istituzionale occorre realizzare una governance economico-finanziaria adeguata, che spezzi il circolo vizioso tra politiche restrittive di finanza pubblica e recessione economica. Oggi da più parti viene evidenziato il rischio di deflazione che precipiterebbe l’Unione Europea in un circolo vizioso di bassa crescita. Il progetto comunitario deve tornare ad essere percepito come promotore di sviluppo e non come creatore di ostacoli e vincoli. 

Su questi presupposti si dovrà realizzare una politica di investimenti in grado di generare crescita e occupazione, invertendo la rotta recessiva e ri-orientando le politiche da un esclusivo approccio rigorista a uno più dinamico, che sappia rilanciare tutti i fattori della crescita, conciliando produttività e competitività in maniera socialmente inclusiva. 

La creazione di un contesto capace di attrarre investimenti (che rispetto alla media pre-crisi hanno subìto una forte riduzione, stimata attorno al 15%) in un’ottica sistemica europea (non con pratiche nazionali di dumping, fiscale o salariale) è una priorità, anche al fine di ripristinare la competitività del nostro continente sul panorama internazionale.

Le linee strategiche riformatrici devono essere finalizzate: a ridurre il cuneo fiscale; a livelli di tassazione omogenei per aumentare la domanda aggregata; al taglio strutturale dei costi energetici; a implementare l’efficienza della pubblica amministrazione e della giustizia; a individuare chiari progetti infrastrutturali.

La politica industriale è centrale anche a fronte dei processi di deindustrializzazione e della forte correlazione con il sistema dei servizi. Il Piano europeo, proposto dalla Commissione, di portare al 20% del Pil il peso del manifatturiero (in Italia, seconda potenzia manifatturiera europea, si pone al 15%) deve essere condotto coerentemente, agendo su tutte le leve di promozione del settore: dall’innovazione alla riduzione dei costi energetici. Ciò sarà possibile solo attraverso una politica industriale realmente europea, che vada oltre lo scambio di pratiche. Un politica che gestisca adeguatamente la transizione climatico-demografica, ponendo la strategicità del tema ambientale (in coerenza con la proclamazione del 2014 Anno europeo dell’economia verde) per rilanciare l’occupazione e favorire processi innovativi di sistema anche attraverso percorsi di educazione ambientale e di formazione professionale. Di qui una rinnovata attenzione ai nuovi settori quale importante sostegno sia in termini di efficacia dei sistemi di welfare, sia per una nuova occupazione. 

Anche in tal senso diventa imprescindibile investire in ricerca e sviluppo. In tale ottica è fondamentale  sollecitare solidi legami tra ricerca di base e innovazione industriale; valorizzare i fondi UE e integrarli con quelli nazionali; agire anche su altri elementi, quali nuove tipologie di finanziamento e di valutazione dei progetti; evitare inutili dispersioni amministrative.

Altro obiettivo prioritario: investire nel mercato interno. La strategicità di una simile opzione è confermata dai dati della UE: 500 milioni di consumatori, 20 milioni di Pmi, 7% della popolazione mondiale, ma il 20% delle esportazioni e importazioni mondiali con il Pil superiore a quello di tutte la altre economie  mondiali.  

Appaiono prioritarie, pertanto, le iniziative volte al completamento del mercato interno dell’energia (infrastrutture, diversificazione e sicurezza degli approvvigionamenti, efficienza energetica e relativi prezzi e costi); l’agenda digitale, in grado anche di promuovere l’efficienza della PA; la tutela culturale (conservazione, gestione e fruibilità dei beni culturali). 

Strettamente connessa è la necessità di un adeguato sistema infrastrutturale,immateriale e materiale,che assicuri crescita e coesione al sistema (passando dalle reti di trasporto a quelle delle telecomunicazioni e dell’energia) e che utilizzi strumenti innovativi di finanziamento a lungo termine, come ad esempio i project bond, prevedendo il pieno coinvolgimento della Bei.

In questo contesto è ormai  inderogabile la creazione di un vero mercato del lavoro europeo che stimoli i veri fattori di competitività di sistema costituiti da capitale umano, professionalità e innovazione (e non certo da meri aggiustamenti salariali) e che sviluppi tutti i livelli di partecipazione dei lavoratori e il protagonismo delle parti sociali in dimensione europea. Fondi e iniziative UE dovranno, pertanto, valorizzare percorsi di formazione e di transizione aumentandone l’efficacia e la partecipazione collettiva, specie di giovani e donne. 

La valutazione delle politiche occupazionali in sede europea dovrà poi basarsi non solo ed esclusivamente su parametri di spesa ma di sostenibilità e inclusione sociale.  

 

Regolamentazione dei Mercati finanziari e Politica estera

La lotta all’evasione fiscale e la regolamentazione dei mercati finanziari, inoltre, sono fondamentali per l’efficienza e l’equità del sistema e per fare della UE uno spazio competitivo e integrato e non di competizione tra membri. A tal fine, oltre ad adeguati meccanismi di contrasto all’evasione, occorre rilanciare l’economia reale e l’accesso al credito con normative di sistema (autorità di vigilanza, separazione tra banche commerciali e d’investimento, nuovi poteri a Bei e Bce in senso federale) e promuovere sistemi di tassazione omogenei, anche attraverso strumenti come la Ttf. L’Unione bancaria è indubbiamente una delle priorità per regolamentare il sistema, evitare distorsioni e ridare slancio all’economia reale. 

La politica estera è forse il settore dove si evidenziano in maniera più visibile l’approccio intergovernativo e le miopie nazionali. Occorre una gestione più integrata, una pianificazione strategica che rilanci la validità del progetto europeo oltre i nostri confini, anche nelle sue articolazioni di politica commerciale. Ciò sarà possibile solo mediante l’uso sinergico di vari strumenti (diplomatici e di cooperazione e assistenza tecnica e finanziaria) e con una politica del fenomeno migratorio che integri i programmi di cooperazione e sviluppo dei paesi di provenienza con il contrasto alla tratta e allo sfruttamento. Il progressivo esaurimento della propulsione della politica di allargamento e le criticità mostrate dalla politica di vicinato (mediterraneo e fronte orientale) rendono necessario un posizionamento più integrato sul contesto internazionale, riportando, anche nei territori più critici, la centralità del lavoro e del welfare quali strumenti d’integrazione, protezione e stabilità.  

Appare chiaro, in ogni caso, che le politiche menzionate non possono prescindere da un assetto politico integrato e da un sistemain grado di far leva sulle potenzialità dell’Unione Europea assicurandone coesione. 

 

Conclusioni

Occorre, dunque, rilanciare non solo l’importanza di una dimensione sociale europea integrata, spesso oggi trascurata, ma della coesione economica e sociale quale parametro di riferimento delle politiche europee stesse. Il trattato di Lisbona pone il principio di un’“Europa basata su un’economica sociale di mercato”, in cui la competizione si gioca sulla qualità e l’innovazione e non sui costi. Il ruolo delle Parti sociali nella realizzazione di tale dimensione è fondamentale. Occorre rilanciare la soggettività e la centralità dei lavoratori nei processi economici e sociali. Quando si parla di governance economica e del tentativo di considerare gli andamenti salariali come mere variabili macroeconomiche sarà importante proporre l’esempio della capacità e responsabilità delle Parti sociali italiane di considerare l’insieme dei problemi economici senza venir mai meno al loro dovere di rappresentanza, facendo della contrattazione e democrazia economica lo strumento per conciliare competitività e coesione sociale. 

In un conteso di forte disaffezione è indispensabile far comprendere la necessità e l’urgenza di una maggiore integrazione, non intesa come mero irrigidimento di regole ad applicazione immediata nel contesto di un impianto intergovernativo, ma come attribuzione di competenze e poteri più forti a livello sovranazionale. Un simile processo deve necessariamente comprendere istituzioni democratiche, e pienamente legittimate, in grado di garantire la stabilità dell’Europa e di correggere gli squilibri che la minacciano. Ciò è possibile, è bene ribadirlo, solo attraverso la costruzione di un percorso federale. 

Rafforzare le disciplina comunitaria, insomma, non è sufficiente: è necessario costruire una vera e propria capacità fiscale europea, ovvero una capacità di assorbimento  degli shock asimmetrici che possono colpire i singoli Stati e di facilitare riforme per migliorare competitività e promuovere la crescita, ivi inclusa la facoltà di emettere titoli  europei (eurobond). Una capacità di bilancio a cui dovrebbe associarsi un sistema di incentivi in grado di sostenere politiche economiche realmente efficaci.

La Presidenza italiana che subentrerà a luglio, dopo le elezioni del Parlamento europeo, sarà l’occasione per accompagnare il cambio di passo necessario, rendendo le politiche europee competitive e sostenibili nel rispetto delle singole responsabilità. Ma per esercitare questo ruolo dovremo dimostrare in primis stabilità e determinazione nell’affrontare i problemi del nostro Paese. 

L’Italia dovrà quindi promuovere con fermezza la necessità di convertire l’ordine delle priorità, ripartendo dalla politica per occuparsi di finanza e moneta. Un messaggio forte per la creazione degli Stati Uniti d’Europa che integri tutte le politiche, con strutture e capacità decisionali in grado di assicurare efficacia e legittimità di azione e ripristini la fiducia dei cittadini verso un progetto di promozione e crescita comune a vantaggio delle generazioni presenti e future. 

 (*) Segretaria Confederale Nazionale della Cisl

 

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