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Un contratto di solidarietà e di produttività

Il Ministro Poletti ha annunciato di voler  rafforzare la possibilità di ricorrere ai contratti di solidarietà espansivi, previsti dal Jobs act, ma rimasti lettera morta per mancanza di reali incentivi al loro utilizzo. Non per questo fu ignorato nella lettura complessiva di quel provvedimento. Anzi, la sua previsione venne accolta con favore. Molti ebbero la sensazione che il Governo accogliesse la sollecitazione, soprattutto del sindacato, di andare oltre una visione tradizionale sia della tutela dell’occupazione esistente nelle imprese, che delle opzioni per allargare gli spazi occupazionali, specie per  i giovani. 

Nel frattempo, i fatti sono andati in altra direzione. Come è noto, al Jobs act si affiancò un provvedimento di forte incentivazione all’impiego a tempo indeterminato nel 2015 (attenuata per il 2016, con conseguenze depressive dei dati sulle assunzioni). Questo provvedimento non solo assorbì tutte le risorse disponibili, ma spedì nel dimenticatoio ogni discussione su come puntare ad una strategia di occupazione che non entrasse in conflitto con la necessità di spingere l’acceleratore sugli incrementi di produttività. Quest’ultima esigenza venne affrontata in modo parallelo, rilanciando i contratti di produttività ed ora a migliaia stanno giungendo al Ministero dello sviluppo per vedersi riconosciuto  l’incentivo fiscale previsto. 

Cito questi provvedimenti per sottolineare che – nonostante la buona volontà che non può che essere riconosciuta – ci si muove senza grande coordinazione. Sembra che si persegua, con una certa ansia, un qualche risultato positivo sull’uno (occupazione) e sull’altro (produttività) fronte, senza una visione complessiva. Come se la mano invisibile che scrive questi provvedimenti  sia più attenta ad esigenze e pressioni corporative, specifiche che a valutazioni generali, strategiche.

Anche gli studenti del primo anno di Economia e Commercio sanno che l’incremento dell’occupazione, se è soltanto una variabile dipendente dall’aumento del PIL,  si potrà vedere quando questo crescerà almeno del 2% annuo. E se poi le esigenze di produttività del sistema Italia sono da tutti riconosciute prioritarie, per cui – come ha ammesso il nuovo Presidente della Confindustria Boccia – le iniezioni di innovazione tecnologica, informatica ed organizzativa devono risultare massicce, si comprende che attendere buoni risultati occupazionali stabili è notizia per il medio e lungo periodo, non certo per il breve.

Temo che anche il rilancio sui contratti di solidarietà espansivi, almeno da come è stato anticipato alle parti sociali e all’opinione pubblica, sia fatto in questo contesto di scarsa visione complessiva. Infatti, sembra che si voglia incentivare l’utilizzo di questi contratti soltanto come prosecuzione o sostituzione dei contratti di solidarietà difensivi, per consentire di fare nuove assunzioni in vigenza di regimi di riduzione d’orario sovvenzionati da risorse pubbliche, relative agli ammortizzatori sociali. Probabilmente qualche azienda che è in questa situazione ma ha esigenza di nuove professionalità o di nuove leve potrebbe essere interessata, ma il campo resta ristretto molto.

Se veramente si vuole operare per predisporre una contestuale crescita dell’occupazione e della produttività, occorrerebbero tre iniziative. La prima è quella di una rapida ma completa disamina delle realtà che hanno usufruito finora dei contratti di solidarietà difensivi. Sarebbe interessante verificare se vi siano stati incrementi di produttività e come questi si sono ottenuti pur difendendo l’occupazione esistente. In caso affermativo, come alcune esperienze  suggeriscono, si potrebbe dire che i soldi pubblici impiegati sono stati ben spesi perché con la difesa dell’occupazione si è anche realizzata un’efficace riorganizzazione aziendale.

La seconda iniziativa, suggerita dalla prima, è quella di riorganizzare gli interventi di incentivazione fiscale e contributiva, in funzione del doppio obiettivo: da un lato difesa e crescita dell’occupazione, dall’altro sostegno alla realizzazione di più produttività. Il Governo dovrebbe vincolare i propri interventi a intese tra le parti sociali a livello aziendale che riguardino investimenti, formazione, riorganizzazione degli orari e dei turni e quant’altro possa essere utile allo scopo. In altre parole, il Governo dovrebbe spingere perché si affermi un nuovo “contratto” che assorba sia quello di solidarietà espansivo (anche nella versione di prosecuzione di quello difensivo), che quello di produttività.

Capisco che la logica “lombrosiana” è dura a morire, dopo tanti anni passati a inventare modalità lavorative sempre più di nicchia e spesso levatrici di “cattiva” flessibilità. Ma ora, che la questione occupazionale è alle prese con una uscita faticosa dalla crisi e però con risorse sempre scarse, dovrebbe venire la voglia di pensare in modo più strategico e solido.

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