Segno dei tempi. Lo scorso 5 febbraio è stato sottoscritto il rinnovo del contratto nazionale dei lavoratori metalmeccanici tra la Federmeccanica e FIM, FIOM, UILM. E’ il contratto più importante del settore privato dell’economia. Trafiletti sui giornali del giorno dopo, comunicatini televisivi, sui social niente che potesse creare dialettica e quindi quattro righe. Certo c’è il Covid che ci ossessiona; c’è la crisi di Governo da traghettare verso una soluzione tranquillizzante; c’è da capire come concretamente si svolgerà il Festival di Sanremo senza pubblico e giù di lì verso le questioni più banali.
Eppure riguarda 1.600.000 persone sparse per tutta Italia, che hanno atteso 10 mesi dall’apertura delle trattative, che hanno anche scioperato sia pure con garbo e prudenza data la situazione sanitaria ed economica. E dal lato delle centinaia di migliaia delle aziende che hanno problemi di ogni tipo, da quelle che fanno tonnellate di straordinari per assicurare beni e strumenti per gestire la pandemia, a quelle che rischiano di portare i libri in tribunale. “Contratto difficilissimo” ha detto il Segretario Generale della FIM Roberto Benaglia e non ci vuole molto per capire che non esagerava. Anche in considerazione che è stato realizzato in una situazione di vuoto di Governo.
Segno dei tempi. Anche perché non è uno dei soliti rinnovi di routine. E’ un rinnovo contrattuale, ricco di contenuti innovativi (inquadramento professionale riscritto dopo 48 anni – ero alle prime armi della mia vita sindacale – con l’occhio rivolto al futuro delle competenze; buona enfasi su welfare aziendale, formazione, parità di genere, in scia con il rinnovo precedente del 2016), di strumenti partecipativi (con un serio rafforzamento delle relazioni industriali a livello aziendale e un potenziamento del fondo pensione integrativo, specie per i giovani), di un ragionevole aumento contrattuale (sia pure scaglionato lungo l’arco di vigenza del rinnovo). Sarà sicuramente approvato dai lavoratori, anche perché l’unità tra le organizzazioni sindacali è stata molto forte e il messaggio di fiducia che incorpora, in una fase di grande incertezza, è credibile.
Ma il fatto più significativo, che nessuno ha colto, è che tutto ciò è avvenuto controcorrente. Scrive un commentatore attento, anche se sconsolato, come Sergio Fabbrini: “Nel nostro Paese, non c’è un gruppo d’interesse (nemmeno uno) che abbia uno sguardo più largo del proprio interesse” (Governo del Presidente per un Paese confuso, 24 Ore 07/02/2021). E’ vero, il particolarismo è dilagante da tempo e spesso tracima verso il corporativismo e coinvolge corpi intermedi e partiti. Ma l’intesa contrattuale dei metalmeccanici dimostra che c’è ancora chi osa guardare lontano, si pone obiettivi strategici, orienta i comportamenti con una visione dal respiro ampio.
A mia memoria, la Federmeccanica non ha mai commentato il rinnovo contrattuale come questa volta. “Il rinnovo del contratto deve fondarsi su una visione del mondo in cui oggi un’impresa che opera all’interno di un Paese scommette sul proprio futuro industriale” (dal comunicato finale della trattativa, 05/02/2021). Qualcosa si muove nella direzione giusta. Si incomincia ad abbandonare le posizioni difensivistiche in favore di più realistici scenari da realizzare per non affrontare una fase completamente nuova, a mani vuote. Sta emergendo nel Paese reale la consapevolezza che poco ritornerà come prima, molto sarà del tutto inedito e che è meglio gestirlo che subirlo.
La vicenda dei metalmeccanici, come di altre significative categorie industriali, è una conferma concreta. Vecchi lavori e consolidate modalità di lavoro cederanno il passo a nuovi lavori e ad avveniristici processi produttivi. La mansione va in pensione, come criterio di valutazione della professionalità. Conteranno sempre di più le abilità partecipative e le competenze acquisite in continuità che verranno messe insieme e non parcellizzate nei cicli produttivi. Il contratto nazionale si riconferma bussola insostituibile del divenire, non fotografia dell’esistente. Altro che salario minimo legale. E’ il contratto nazionale, integrato dalla contrattazione di secondo livello, che va riconosciuto erga omnes.
Questa pagina significativa delle relazioni sindacali italiane ci deve convincere sempre di più che bisogna animare e sostenere tutto ciò che parla al futuro in termini di modernità e di solidarietà. Come è in crisi il sovranismo politico, così sta entrando in crisi il corporativismo sociale. E questo è un bene per il Paese. Chi si attarda a non afferrare il toro per le corna, illudendosi e illudendo che tutto possa tornare come prima, è come quel guidatore che dirige lo sterzo guardando lo specchietto retrovisore.