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Un dono, l’amicizia

Studente universitario in Giurisprudenza e lavoratore precario, nel 1960, a 20 anni, cominciai a scrivere articoli sul quindicinale Democrazia Socialistae fui sollecitato da sindacalisti della UILM, attempati ex operai del Silurificio di Baia, a scrivere articoli sulla condizione di lavoro nelle fabbriche napoletane. 

Mi intrattenevano per ore sui rapporti sempre difficili con i capi, sui ritmi di lavoro, sul cottimo, sui salari troppo bassi, sugli incidenti che accadevano con frequenza continua, sulle discriminazioni che subivano quanti si iscrivevano a un sindacato, sulla conflittualità dei rapporti tra le tre sigle sindacali.

Lessi libri e articoli di giornali che trattavano del tema del lavoro, diventai un frequentatore della biblioteca dello stabilimento Olivetti di Pozzuoli, che era aperta al pubblico e in cui trovai un gran numero di pubblicazioni sull’organizzazione del lavoro, oltre che la modernissima rivista Comunità.

Familiarizzai con membri di Commissione interna dell’Olivetti stessa, della Sofer di Pozzuoli, dell’Italsider di Bagnoli, della Mec Fond e della SEBN di Napoli, dell’Aerfer, dell’Alfa Romeo e della Magnaghi di Pomigliano, della FAG di S.Anastasia, della Selenia di Bacoli, dei Cantieri navali di Castellammare di Stabia, la Deriver di Torre Annunziata. Entrai in contatto con i segretari della FIM, Diego Barassi, della FIOM, Luigi D’Angelo, che mi accolsero con diffidenza iniziale, ma poi divennero amici.

Per non farla lunga, strada facendo, fui talmente attratto dai metalmeccanici e dal loro mondo che nel 1962 accettai di essere cooptato della segreteria provinciale della UILM di Napoli fondamentalmente come addetto alla stesura di volantini (oggi si direbbe alla comunicazione), che andavo anche a distribuire all’alba e a fine turno pomeridiano dinanzi alle fabbriche, facilitato dal fatto che ero riuscito a comprare a rate una splendida 500 blu. 

Nel frattempo sostenevo gli esami, svolgevo il lavoro e organizzavo le rivendicazioni dei giovani precari come me. Di lì a poco, all’indomani della stabilizzazione a seguito di una procedura selettiva, rassegnai le dimissioni e scelsi di fare il sindacalista a tempo pieno, certamente suggestionato dall’entusiasmo coinvolgente di Giorgio Benvenuto.

Diego Barassi, che aveva frequentato la scuola CISL di Fiesole, mi prese in simpatia e mi mise a disposizione materiali a sostegno della mia formazione.

Tra l’altro nel 1964 mi diede un numero di Dibattito sindacale, rivista che cominciai, più che a leggere, a studiare e che mi consentì di conoscere Pierre Carniti, sia pure a distanza. Mi abbonai e scrissi anche a Pierre, che mi rispose con una lettera in cui mi parlò della prospettiva dell’unità sindacale. 

Lo conobbi personalmente nel ‘69 in occasione della grande manifestazione romana della categoria e della trattativa al Ministero del lavoro per il rinnovo del CCNL.

Mi colpì il suo sorriso così penetrante, la capacità di usare parole semplici e stringate per spiegare concetti complessi, la fermezza delle posizioni che non scantonava mai nell’arroganza o nella saccenteria liquidatoria delle idee non convergenti con le sue, la straordinaria capacità di analisi cui seguiva sempre una proposta conseguente.

Nel 1971, quando fui eletto nella segreteria nazionale della UILM, lo ritrovai a Roma e iniziò un percorso che, oltre una profonda convergenza sul piano politico e sindacale, ha via via consolidato un’amicizia durata per 47 anni.

Straordinari furono gli anni della costruzione della FLM, che non fu certo una passeggiata, se consideriamo le diversità non proprio marginali tra FIM, FIOM e UILM sulla confederalità, le problematiche connesse all’autonomia dai partiti, la relazione tra regolazioni legislative e contrattuali. 

L’idea dello scioglimento delle tre Federazioni maturò tra lui e Giorgio Benvenuto e non fu facile trovare la quadra per avere anche Bruno Trentin sulla stessa posizione e alla fine la FLM non solo si strutturò, ma fece da spinta alla costituzione della Federazione CGIL-CISL-UIL.

Noi della UILM dovemmo, in un primo tempo, far fronte ad un’azione di contrasto tanto forte da parte della nostra Confederazione da dover subire un provvedimento di espulsione, che si concluse inevitabilmente dinanzi a un Tribunale con una sentenza che accolse tutte le nostre ragioni.

Per noi quel provvedimento fu un vero e proprio trauma, ma Pierre ci fu vicino umanamente e si fece promotore, con il consenso anche di Trentin, di un sostegno economico che ci mettesse in condizione di continuare ad operare.

La FLM proseguì il suo cammino e i passaggi successivi nelle rispettive Confederazioni prima di Carniti nel ‘74, poi di Benvenuto nel ‘76, infine di Trentin nel ‘77 lasciarono a Franco Bentivogli, a me e a Pio Galli l’onere di un’eredità straordinariamente impegnativa.

La crisi petrolifera con le sue ricadute sulla struttura produttiva e sulla vita del Paese, il fenomeno del terrorismo, che dal ‘69 in avanti aveva sparso sangue in tante città del Paese, resero la nostra gestione della categoria particolarmente delicata e complessa. Vi facemmo fronte con la forte coesione della segreteria (vi erano tra gli altri R. Morese, G. Italia, D. Paparella, T. Lettieri, A. Airoldi, O. Del Turco, S. Veronese, F. Lotito) e con l’appoggio costante dei nostri tre Maestri.

Li ritrovammo vicini anche nella vicenda FIAT dell’autunno “80 e continuo a essere convinto che, se non ci fossero state le interferenze politiche, collegate alla fine dell’esperienza della cosiddetta esperienza dell’unità nazionale, forse l’esito sarebbe stato migliore di quello che le circostanze imposero. Illustrai a lungo, infatti, l’effetto comunque sviante di prese di posizione del tipo “a Torino come a Danzica” o le accondiscendenze dinanzi ai cancelli di Mirafiori rispetto a una ventilata occupazione degli stabilimenti, espresse da un leader di prima grandezza come Enrico Berlinguer.

A inizio ‘81 lasciai la FLM per entrare nella segreteria confederale. La vicenda FIAT, però, mi aveva segnato e pubblicai un saggio sulla vertenza per i tipi della Rizzoli. Pierre fu tra i primi e tra i pochi sindacalisti ad attestarmi il suo giudizio positivo.

Non posso dimenticare neanche che, quando sempre nell’81, resi pubblici con un articolo su L’Avanti i miei convincimenti sulle avvenute intrusioni del terrorismo in alcuni Consigli di fabbrica, Pierre mi chiamò per darmi il suo appoggio nel profluvio di pesanti critiche che mi vennero addosso, perché ancora era corrente l’opinione che a sinistra vi fossero solo compagni che sbagliavano. 

Negli anni che seguirono il progetto unitario andò progressivamente perdendo la sua vitalità e maturai la decisione di lasciare il Sindacato, approdando al Parlamento europeo nelle elezioni del 1984.

Le frequentazioni con il mondo sindacale, inevitabilmente, si diradarono, ma non s’interruppero mai del tutto. Ripresero nel 1987, quando Pierre mi invitò a una riunione del Comitato di difesa del cittadino, organizzato da lui stesso, Giorgio Ruffolo, Carlo Caracciolo, Sabino Cassese, Giuliano Toraldo di Francia, Adolfo Gatti, Carlo D’Inzillo, Antonio Giolitti.

Partecipai con curiosità, ma non avrei immaginato di uscire dalla riunione con l’elezione a Presidente del Comitato, su proposta di Pierre. 

Nonostante le continue trasferte a Bruxelles e nel mio collegio elettorale che comprendeva tutto il Mezzogiorno continentale, mi impegnai a trasformare il Comitato in un Movimento con statuto e iscritti e mi impegnai affinché si desse piena attuazione a una legge del 1969 che introduceva l’autocertificazione per l’attestazione dei dati personali, che era rimasta totalmente inapplicata dal tempo della sua entrata in vigore.

Pierre e gli altri membri del Comitato ne furono molto soddisfatti. Tra l’altro a Bologna, l’allora sindaco Renzo Imbeni, sensibilizzato da me, inaugurò sotto i portici di palazzo d’Accursio il primo ufficio in Italia per i rapporti con i cittadini. 

Nell’89 ci furono le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo e fui rieletto. La novità fu che anche la candidatura di Pierre andò a buon fine e ci ritrovammo a Bruxelles.

Conoscevo luoghi, persone e procedure e mi dedicai ben volentieri ad aggiornarlo su tutto; cominciò da allora una frequentazione intensa e continuativa che rafforzò molto la nostra già solida amicizia.

Ognuno di noi doveva far parte di due Commissioni parlamentari; io restai nella Commissione economica e in quella per la coesione territoriale, lui andò a occupare il posto nella Commissione per le politiche sociali e si attivò subito per organizzare una rete collaborativa tra tutti i deputati dei vari Paesi con esperienze sindacali alle spalle. Si deve a lui se le questioni delle politiche del lavoro, che fino ad allora erano rimaste nella competenza degli Stati nazionali, cominciarono ad essere prese in considerazione a livello europeo.

L’attenzione in quei giorni e mesi d’inizio legislatura era, però, puntata verso Est, verso il rivolgimento che stavano azzerando i regimi dei Paesi satelliti dell’Unione sovietica e minando la sopravvivenza della stessa URSS.

Stava cambiando la storia e noi ci compiacevamo di trovarci in un punto d’osservazione privilegiato. Il 9 novembre del 1989 cadde il muro di Berlino ed entrambi ci recammo con il Gruppo socialista nell’ex capitale della Germania.

Non credo che nella mia come nella sua esperienza politica vi sia stato altro momento di maggior gioia per l’atmosfera di festa che si viveva nella città. In una serata, al tavolo multinazionale di una birreria ho sentito Pierre cantare il canto più unificante del Gruppo che era Bella ciao. Aveva anche un boccale di birra in mano, ma non ricordo se la bevve; io che non sono un buon bevitore, quella sera mi lasciai andare. Pensavamo che fossimo all’alba di un tempo e di un mondo migliori! Peccato che non sia stato così; lui se n’è andato portandosi dietro la delusione, capiterà per ovvie ragioni anagrafiche anche a me.

Nelle elezioni europee del 1994 non mi ricandidai, optando per la candidatura alla Camera dei Deputati. Fui eletto tra i Progressisti e continuammo a frequentarci, perché i neoeletti che non venivano dalle fila comuniste si ritrovavano nella sede dei Cristiani socialiin piazza Adriana.

Dall’impegno politico attivo mi sono allontanato nel 1996, ma, salvo il periodo immediatamente seguente al mio passaggio a funzioni manageriali, con Pierre mi sono ricorrentemente ritrovato dopo che, per iniziativa di Raffaele Morese, nacque l’associazione Koiné.

Chiudo con qualche altro piccolo ricordo di vita comune. Per alcuni anni abbiamo abitato abbastanza vicini e i nostri figli andavano nello stesso asilo. Ci incontravamo lì talvolta ad accompagnarli. Ho sempre pensato che quegli incontri abbiano reso più confidenziali i nostri rapporti in uno con il fatto che entrambi non nascondessimo il nostro cattolicesimo praticante. 

Gli debbo anche essere grato per avermi indirizzato nel ‘96 a uno straordinario cardiologo, il prof. Maseri, che diagnosticò la mia cardiopatia silente e mi indusse a sottopormi all’intervento per l’installazione dei bypass. Fin quando Maseri è rimasto a Roma, ci ritrovavamo per i controlli annuali, beccandoci entrambi i suoi garbati quanto fermissimi rimproveri per la protervia con cui lui non riuscì mai ad allontanarsi dal sigaro e io, ahimè, dalle sigarette.

Ho un grande rammarico: non aver potuto dirgli che ho riveduto la mia contrarietà alla sua idea di impegnarci per una nuova riduzione dell’orario di lavoro. A fronte dei profondi e imprevedibili mutamenti della IV rivoluzione industriale, ho maturato la convinzione che avesse ragione e che dobbiamo mettere all’ordine del giorno quell’obiettivo. Può essere uno degli assi portanti di una rivisitazione dei rapporti di lavoro per evitare che i valori dell’uguaglianza, della libertà, della solidarietà e della democrazia si riducano a materiali di archivio per il timore diffuso di misurarsi con i mutamenti profondi di contesto. 

 

*già Segretario Generale UILM 

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