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Un DPFP prudente e preelettorale

Il DPFP presentato dal governo è un documento molto prudente nello stile di Giorgetti, stile che tanto è piaciuto alle agenzie di rating e che tanto ha contribuito al buon nome della Meloni a livello europeo e internazionale. Nella conferenza stampa il ministro ha detto “Confermiamo la linea di ferma e prudente responsabilità che tiene conto della necessità della tenuta della finanza pubblica nel rispetto delle nuove regole europee!” 

Bruxelles e agenzie di rating, se presenti, avrebbero applaudito. Avere i conti in ordine, tranquillizzare i mercati, contenere lo spread con i titoli tedeschi, anzi farlo diminuire, risultati da far invidia a Gentiloni. Sotto questo aspetto difficile criticare il governo Meloni e infatti a livello europeo nessuno lo fa. 

Vincendo le elezioni nel 2022 la Meloni aveva un problema, tra gli altri. Rendersi credibile a livello economico rispetto a Bruxelles, alla BCE, ai mercati, a fronte delle dichiarazioni fatte quando stava all’opposizione. In Giorgetti ha trovato il ministro del Tesoro in grado di assicurarle questo riconoscimento.

Azzardo un paragone provocatorio. I dirigenti del PCI postberlingueriani avevano l’esigenza di rendersi credibili di fronte alle classi dirigenti occidentali e fecero una rapida conversione economica al centro. 

La Meloni ha fatto la stessa cosa dall’altra parte, basta confrontare le sue dichiarazioni quando stava all’opposizione con gli atti di governo.

Certo vi sono stati i regali necessari ai ceti di riferimento – condoni, rottamazioni, flat tax – ma il problema base era farsi accettare, tranquillizzare l’Unione e i mercati e rendersi credibile. 

La critica principale che viene fatta al DPFP è di essere privo di un’idea di sviluppo del paese e che la manovra indicata nel documento avrà un effetto minimo sulla crescita del PIL.

In effetti se confrontiamo i tassi di crescita programmatici nel quadro tendenziale e in quello programmatico, vediamo che la differenza è minima. Il quadro tendenziale prevede una crescita reale annua dello 0,5% nel 2025, dello 0,7% nel biennio successivo e dello 0,8% nel 2028; quello programmatico è praticamente identico, solo uno 0,1% in più, rispettivamente, nel 2027 e 2028.

Insomma dopo la crescita post-Covid siamo di nuovo alla crescita zerovirgola. Tutta l’attenzione del documento sembra accentrata sulla stabilità dei conti pubblici.

Vi sono naturalmente ragioni valide in questo: l’ampiezza del nostro debito pubblico, l’incertezza della situazione internazionale, i dazi di Trump, ma certo l’’immagine è quella di un paese fermo, che non prende decisioni, e quindi misure, capaci di imprimere una svolta decisa sul sentiero di crescita.

Uno dei motivi di fondo in questa mancanza credo stia nella scadenza elettorale del 2027. La Meloni si è ormai consolidata, ha raggiunto una sua credibilità internazionale. Ora il suo obiettivo è quello di vincere le elezioni del 2027. Fondamentale a questo scopo sarà mantenere le finanze pubbliche in ordine e avere spazi disponibili da utilizzare per la manovra finanziaria per il 2027. Rischiare con misure che potrebbero essere impopolari e prese alla fine di una legislatura non è certo da questo governo.

Ho riportato nella tabella seguente alcuni numeri contenuti nel DPFP riferiti alla dinamica della Spesa netta, il nuovo indicatore assunto dalle regole europee, e a quella dell’indebitamento netto.

Tasso di crescita annuo della spesa netta20242025202620272028







Nello scenario tendenziale-21,31,71,31,5
Raccomandazione del Consiglio-1,91,31,61,91,7
Stime di consuntivo/previsioni       programmatiche-21,31,61,91,6







      
Indebitamento netto in % di PIL20242025202620272028







Tendenziale-3,4-3-2,7-2,4-2,1
Programmatico-3,4-3-2,8-2,6-2,3

Osservate le differenze tra il 2026 e il 2027. Il punto di partenza sono le raccomandazioni del Consiglio sulla spesa netta, come detto il nuovo vincolo europeo.  Sono valori concordati con il governo nel Piano strutturale di bilancio (PSB). Nel 2026 il tasso di crescita è pari a 1,6%, nel 2027 a 1,9%.

Nello scenario tendenziale, quello cioè derivante dalla legislazione vigente, il dato è invece rispettivamente di 1,7% e di 1,3%. Nel programmatico, ossia in quello che diventerebbe in base alle misure assunte dal governo i valori diventerebbero conformi a quelli raccomandati dal Consiglio, 1,6% e 1,9%. Nel 2026 sarà quindi necessario tagliare la spesa di un decimale di punto, nel 2027 si aprirebbe uno spazio di aumento della spesa di 6 decimali di punto.

Passiamo all’indebitamento netto. Qui in vincolo esplicitamente riaffermato è lo stare sotto il 3% per uscire stabilmente dalla procedura per disavanzo eccessivo. Il tendenziale indica un -2,8% nel 2026 un -2,4% nel 2027. Il programmatico porta l’indebitamento rispettivamente a -2,8% e a -2,6%. Apre così uno spazio di spesa in deficit di 0,1 pp nel 2026 e di 0,2 pp nel 2027.

Insomma nel 2026 di fatto, tra necessità di rientrare nel sentiero concordato della spesa netta e spazio dato dall’utilizzo dell’indebitamento non vi sono risorse per finanziare misure nella prossima finanziaria e si dovrà fare ricorso a tagli di spesa o a maggiori entrate. La legge di bilancio per il 2027 invece potrà godere di spazi lasciati sia dalla possibilità di aumentare la spesa netta, sia dalla possibilità di una maggiore spesa in deficit.

Come supporto alla campagna elettorale del 2027 non è male. Probabilmente alla Meloni interessa questo, avere spazio per interventi in chiave elettorale, la crescita è rimandata alla prossima legislatura. Del resto ci sono idee di sviluppo del paese che vengono dall’opposizione?

Il DPB e la manovra di bilancio 

Nelle loro audizioni sul DPFP sia Banca d’Italia, sia UPB hanno rilevato che, diversamente da quanto stabilito da due risoluzioni di identico contenuto approvate dai due rami del Parlamento, che impegnano il governo a includere nel DPFP “l’articolazione delle misure di prossima adozione nell’ambito della manovra di finanza pubblica e dei relativi effetti finanziari”, questa articolazione non c’è. Il motivo lo abbiamo visto sui giornali ogni giorno, la maggioranza deve trovare l’accordo sulle misure da adottare e ancora nel CdM del 14 ottobre il quadro non è del tutto definito ma è rinviato alla presentazione del D.D.L. di bilancio. 

Nel DPFP troviamo delle indicazioni di massima. Nei prossimi tre anni le misure contenute nelle leggi di bilancio dovrebbero essere finanziate con interventi per un ammontare medio annuo pari allo 0,7% del PIL, ossia pari a 16 miliardi di euro.  L’unica certezza si ha rispetto alla intenzione proclamata di correggere il disallineamento dello 0,1 rispetto al target della spesa netta (risorse da trovare, 1 miliardo circa) e l’utilizzo di uno 0,1 di deficit dato che l’indebitamento programmatico è fissato al 2,8% in luogo del 2,7% tendenziale.

Più esplicito è invece il DPFP sul versante qualitativo della manovra. L’intervento sarà attuato, oltre con un limitato ricorso al deficit, attraverso una rimodulazione delle spese e delle entrate, in particolare le spese concorreranno per il 60% dell’importo complessivo.

Il CdM del 14 ottobre ha approvato il Documento programmatico di bilancio (DPB) da inviare a Bruxelles che fissa le cifre complessive della manovra, ma il testo non è ancora stato pubblicato. La novità che si apprende dal comunicato stampa di Palazzi Chigi e dalla nota del Mef è che la manovra sale di circa due miliardi, da 16 a 18, rispetto a quanto indicato nel DPFP. L’aumento delle coperture a disposizione è dovuto secondo il Mef «oltre agli effetti di miglioramento del quadro di finanza pubblica anche dovuti allarimodulazione del Pnrr, concorrono sul versante delle entrate, le risorse reperite a carico degli intermediari finanziari e assicurativi e, dal lato della spesa, interventi sugli stanziamenti di bilancio».

Comunicato del CdM e nota del Mef non indicano la ripartizione tra taglio di spese e        maggiori entrate nella manovra, ripartizione che sarà indicata nel DPB. Nel DPFP il 70% della manovra doveva essere assicurato da tagli alla spesa il resto da maggiori entrate.

Non vi sono nei comunicati indicazioni sui settori nei quali saranno operati tagli di spesa. È probabile che ci sia una “pulizia” nei vari capitoli di spesa del bilancio dello stato e un ennesimo giro di vite nei programmi di spesa dei ministeri.

Per quello che riguarda le entrate un contributo fondamentale dovrebbe arrivare dalle banche che dovrebbe superare i 4miliardi. 

Sul versante della spesa gli interventi indicati dopo il CdM del 14 ottobre sono i seguenti: un intervento sull’aliquota Irpef del 35% ridotta a 33% per i redditi da 28.000 a 50.000 euro. Lo stanziamento previsto è di 9 miliardi nel triennio (ricordo che per un lavoratore dipendente o un pensionato il vantaggio in termini di retribuzione o di pensione netta che ne deriva va dai 20 euro annui all’inizio dello scaglione ai 440 euro annui al massimo dello scaglione.

Vi è poi l’indicazione di uno stanziamento di 2 miliardi “al fine di favorire l’adeguamento salariale al costo della vita” che è difficile capire cosa significhi dato il rapporto tra la cifra stanziata e l’ammontare dei salari. È possibile che queste risorse siano usate per aumentare il trattamento fiscale di favore dei premi di risultato o dei fringe benefits.

Sono stanziati 3,5 miliardi nel triennio per la famiglia ed è rivisto. l’Isee. Sono misure tuttavia che possono essere giudicate solo nel testo della legge di bilancio.

Per la Sanità vengono stanziati ulteriori fondi pari a 2,4 miliardi per il 2026 e a 2,65 miliardi per il biennio successivo. In Pratica si mantiene inalterato il rapporto spesa sanitaria/Pil.

Sono previsti interventi finalizzati al sostegno delle imprese per circa 4 miliardi.

Non mancano naturalmente misure a favore dei ceti di riferimento elettorale, nei comunicati si afferma infatti che nella manovra saranno definite anche le iniziative di pacificazione fiscale rivolte ai contribuenti.

Comunicato del CdM e nota del Mef hanno il pregio di far cadere ipotesi fantasiose affacciate come la sterilizzazione dell’Irpef sulle tredicesime o altro che ovviamente non facevano i conti con le coperture necessarie. Così come non fanno i conti con le coperture necessarie visto i vincoli europei le varie piattaforme sindacali presentate senza alcun ordine di priorità.

Tuttavia le misure indicate sono solo titoli di paragrafi di cui manca lo svolgimento. In mancanza delle tabelle del DPB, mancano le cifre effettive dei vari interventi di entrata e di spesa; in mancanza del D.D.L. di bilancio manca il dettaglio degli interventi ed è nel dettaglio che solitamente ci sono i problemi.

Nulla si dice rispetto alla spesa per la Difesa. 

La Spesa per la difesa nel DPFP

Difficile capire dal DPFP quanto spendiamo e quanto spenderemo per la difesa. Già la spesa indicata al 2%, dopo che Crosetto a dicembre scorso l’aveva stimata all’1,6% è sorprendente. A quanto pare è il frutto di diversi criteri contabili non di un aumento di spesa effettiva.

Per quello che riguarda il futuro e gli impegni assunti dal governo, +0,5% entro il 2028. L’Italia ha fatto ricorso ai prestiti SAFE per un importo di 14,9 miliardi di euro. Entro il 30 novembre dovrà indicare i programmi da finanziare e la Commissione Europea deciderà entro il 31 dicembre quali e quanti accettare.

Tuttavia nonostante il ricorso a questi prestiti e l’impegno ad aumentare la spesa per la difesa dello 0,15% del Pil ogni anno nel biennio 2026-2027 e dello 0,2% nel 2028, fino a una spesa cumulata in più nel 2028 pari allo 0,5% (circa 12 miliardi), nel documento si afferma che per ora «non si ritiene possibile riuscire a definire puntuali programmi di spesa già nella prossima legge di bilancio» e questa spesa addizionale per la difesa non è considerata nel quadro programmatico 2026/28. C’è quindi un impegno del governo, c’è un prestito richiesto, ma tutto questo non trova riscontro nel bilancio dello stato.

Il governo appare quindi molto prudente perché l’aumento della spesa per la difesa potrebbe portare la spesa netta a crescere al di sopra della traiettoria obiettivo fissata nel Piano. In questo caso il Governo italiano dovrebbe richiedere l’attivazione della clausola di salvaguardia nazionale (National Escape Clause, NEC) per evitare di restare o ritornare in procedura di infrazione. Nel Documento si afferma, quindi, che prima si procederà al perfezionamento del programma Safe, poi si valuterà l’effettiva necessità della Clausola, tenuto conto dell’obiettivo di uscire dalla Procedura per i deficit eccessivi.

Come affermazione finale, il Governo afferma che lo sviluppo delle capacità di difesa e sicurezza non comporterà riduzioni delle voci di spesa più orientate alla crescita e al benessere economico e sociale degli italiani, come il sostegno alle famiglie e la sanità.

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