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Un forte legame, al di la’ delle diverse visioni

Riflettevo, quando Raffaele Morese mi ha chiesto questo piccolo contributo, che la mia esperienza politica nazionale di parlamentare e dirigente di partito si è sempre intrecciata con la presenza di Franco Marini. Quasi sempre in consonanza, talvolta in dissenso o con angoli di visuale differenti. Ma sempre con un legame forte. 

Sono diventato parlamentare più o meno negli stessi anni in cui Marini lasciava il sindacato ed intraprendeva il suo percorso in politica, e di lì ho attraversato con lui le stagioni difficili della crisi della DC e della ricerca di forme nuove di presenza del cattolicesimo democratico e sociale. E’ in questo percorso, ricco di entusiasmi e di sconforti, che emergono i profili caratterizzanti del Marini “politico”. 

Franco Marini è stato tante cose: Presidente del Senato, membro autorevole del Governo, candidato alla Presidenza della Repubblica. Ma ha dato la prova più alta di sé nella guida di un processo che aveva a che fare con lo storico passaggio dall’unità politica dei cattolici alla ricerca di un loro ruolo nell’inedito bipolarismo italiano.

Anzitutto Marini è stato determinante per impedire la stabile collocazione a destra del Partito Popolare Italiano nei passaggi successivi alle elezioni del 1994. Aveva contribuito all’elezione di Rocco Buttiglione alla segreteria del PPI. Non tutti i suoi amici condividevano questa scelta, che per lui corrispondeva alla conferma di una vocazione “centrista” del Partito, che doveva essere capace di autonomia sia nei confronti della destra che della sinistra. Non ebbe dubbi nel denunciare il tradimento di questa linea da parte del Segretario, quando Buttiglione propose di collocare il Partito nella galassia Berlusconiana. 

Senza Franco Marini non ci sarebbe stata una maggioranza per impedire la svolta, ma soprattutto non ci sarebbe stata la ricostruzione di un progetto politico che univa tradizioni popolari diverse, politiche e sociali, che hanno contribuito a fare del PPI un partito radicato nella società, al di là dei risultati elettorali non sempre generosi. A ben guardare matura in quella scelta una stagione politica che condurrà alla nascita di un nuovo centro sinistra italiano capace di guidare il paese nel difficile passaggio della seconda metà degli anni ’90. Lo considero un merito storico da non dimenticare.

Al tornante del nuovo decennio, con la costituzione della Margherita, Marini fu il garante della presenza dei popolari nel nuovo soggetto politico che sanciva l’incontro tra la storia organizzata dei cattolici democratici e pezzi importanti della tradizione liberaldemocratica ed ambientalista. Fu una scelta travagliata per molti di noi, che non intendevano rinunciare ad una forma di presenza autonoma e fortemente caratterizzata sul piano culturale. 

Ci convinse. Capì che i popolari potevano essere protagonisti di una nuova fase se non rinunciavano ad attraversarla con il loro volto e con le loro idee, e si mise al servizio di questa domanda politica. Con qualche civetteria, ma anche con la concretezza che lo contraddistingueva, ritagliò per sé il ruolo di segretario organizzativo del nuovo partito. Sapeva che il nerbo di un progetto politico era costituito dal suo radicamento concreto nelle mille articolazioni della società italiana, e che in questo radicamento si esprimeva l’anima popolare della Margherita. 

Dal suo piccolo ufficio al Nazareno coltivò con successo mille relazioni sul territorio, rassicurò gli incerti, raccolse nuove energie, le fece contare nelle trattative, diede loro una prospettiva. Fu il vero leader di una cultura politica che cambiava pelle, e che pur nei tempi nuovi non intendeva rinunciare ad essere sé stessa.

 

*Direttore Fondazione Donat-Cattin 

 

   

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