“La Pace sia con voi” un richiamo forte, esigente, un richiamo al Signore della storia che ha vinto la morte e ci ha resi tutti partecipi della vita contro ogni male. Parole che mettono Cristo al centro della nostra vita. Quel saluto ha aperto un nuovo pontificato che già dai primi tratti si mostra in continuità con il precedente sottolineando il principale impegno dei cristiani di questo tempo. La pace. Una “pace disarmata e disarmante, umile e perseverante”.
L’elezione del card. Robert Francis Prevost come nuovo Vescovo di Roma e Pontefice della Chiesa universale ha colto di sorpresa la maggior parte degli osservatori, perché effettivamente, sebbene il nome circolasse fra i “papabili”, non molti si attendevano l’elezione del primo Papa statunitense che però è anche un religioso agostiniano, un missionario, un docente, un Vescovo in Perù (e cittadino di quel Paese) e infine il titolare di un delicato ufficio nella Curia romana.
E poi ovviamente la scelta di questo nome, Leone XIV, che egli stesso, parlando con i cardinali, ha voluto immediatamente ricollegare a quella dell’ultimo titolare di quel nome, il Papa della “Rerum novarum”, puntando sulla centralità della nuova questione sociale che ha esplicitamente ricollegato alle nuove implicazioni sociali e morali derivanti dal diffondersi dell’Intelligenza artificiale.
Il Papa ha evidenziato un messaggio di continuità , sia pure con stile e toni diversi, rispetto al pontificato di Francesco esprimendosi di fronte ai cardinali con un esplicito richiamo alla Evangelii gaudium, ossia il documento programmatico di Bergoglio, citandone gli elementi salienti: “il ritorno al primato di Cristo nell’annuncio (cfr n. 11); la conversione missionaria di tutta la comunità cristiana (cfr n. 9); la crescita nella collegialità e nella sinodalità (cfr n. 33); l’attenzione al sensus fidei (cfr nn. 119-120), specialmente nelle sue forme più proprie e inclusive, come la pietà popolare (cfr n. 123); la cura amorevole degli ultimi, degli scartati (cfr n. 53); il dialogo coraggioso e fiducioso con il mondo”.
Il punto vero, però, è che cosa l’umanità si attende dal nuovo Papa, ed in particolare che cosa si attendono i credenti che si impegnano nella dimensione sociale, e che a maggior ragione si sentono sfidati dal richiamo all’enciclica che ha fondato non solo la dottrina sociale della Chiesa ma la stessa storia del movimento sociale cattolico.
Si tratta quindi di recuperare il filo rosso di una riflessione, che il Concilio Vaticano II e poi il magistero di Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco hanno progressivamente sviluppato, ordinandolo sistematicamente in una prospettiva che sia adeguata ai nostri tempi, per arrivare ad un nuovo disegno organico di riforma sociale che nasca dalla verifica delle attese delle persone.
Nessuno si attende che Leone parli ed agisca come Francesco, anzi è bene che egli coltivi la propria peculiarità umana e pastorale, ma certamente vi è un’aspettativa che egli cerchi di condurre ed in certi casi porti a compimento i numerosi processi che il Papa argentino ha aperto, soprattutto per quanto riguarda il ruolo dei laici nella Chiesa e l’insistenza sulle questioni della pace, dell’accoglienza del diverso (in particolare dei migranti), della promozione integrale della vita della persona. E che faccia tutto questo continuando quel cammino Sinodale che ha aperto strade nuove ed inedite di lavoro insieme Vescovi e popolo di Dio.
I molti cantieri che si sono aperti in questi anni, da ultimo con la Settimana sociale di Trieste del 2024, richiedono una capacità sistematica di lettura della domanda sociale e nello stesso tempo una parola che sia pregna di una dimensione spirituale, che non rimandi semplicemente alle esigenze materiali ma metta la persona umana in relazione ad un disegno più grande che ne esalti la profonda ed incedibile dignità.
“Pontefice” significa costruttore di ponti, e lo stesso Francesco ha ribadito più volte la necessità di costruire ponti e non muri, di cercare di superare le differenze e di non farne delle barriere insormontabili: è questo, al fondo, che ci si attende da Leone XIV e lui stesso ne è consapevole.
“Promuovendo il bene comune – ha scritto recentemente- la nostra responsabilità sociale trae fondamento dal gesto creatore di Dio, che dà a tutti i beni della terra: come questi, così anche i frutti del lavoro dell’uomo devono essere equamente accessibili. Aiutare il povero è infatti questione di giustizia, prima che di carità. “
Sono parole forti, che ci ricordano che, pur essendo necessario e lodevole l’impegno caritativo quotidiano di ogni credente, l’attività politica e sociale è la via principale per la rimozione di quelle barriere di ingiustizia che separano il ricco dal povero, e la lotta contro l’ingiustizia è parte integrante dei doveri (e della missione) del cristiano. L’aver portato ad esempio al clero romano le figure di don Milani, don Mazzolari e don Di Liegro, autentici esempi di parresia cristiana nella Chiesa e nel mondo, va sicuramente in questo senso.
Sta a noi essere capaci di seguire questo percorso.
*Presidente ACLI