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Una best practice: Luxottica

Negli ultimi mesi i media hanno dato grande risalto al tema delle esperienze di Welfare aziendale che numerose imprese hanno adottato a favore dei propri dipendenti. I casi della Ducati, della Luxottica, della Wind, della Lamborghini, della Coop Adriatica, della Tod’s solo per citare i più conosciuti, sono stati illustrati con dovizia di particolari e spesso additati come la nuova frontiera delle relazioni all’interno delle aziende.

L’attivazione di forme strutturate di concessione di benefit e facilitazioni varie nei confronti dei dipendenti non è però un fenomeno nuovo e ha alle spalle una lunga tradizione. Già a partire dalla seconda metà dell’800 imprenditori importanti come i Rossi e i Crespi prima e i Marzotto poi adottarono forme di sostegno nei confronti dei dipendenti (i villaggi operai, le cooperative di consumo, le scuole, gli asili, le colonie marine o montane). 

Tali forme furono definite dagli storici come “paternalismo industriale” perché avevano l’obiettivo di legare i lavoratori all’impresa. E’ indubbio però che, al di là del giudizio ideologico che gli storici formularono su queste esperienze, in genere esse trovarono una buona adesione da parte dei lavoratori. Con lo sviluppo dello stato sociale nel corso del ‘900 tali forme di intervento a favore dei dipendenti si sono progressivamente ridimensionate e in alcuni casi hanno finito per scomparire.

Nel corso del ‘900 tuttavia all’interno delle fabbriche hanno cominciato a nascere forme di sostegno ai lavoratori sui temi particolari come quello della sanità: sono sorte così le “mutue integrative” sia aziendali che territoriali finanziate in gran parte, ma spesso totalmente, dai contributi volontari dei lavoratori. Successivamente hanno preso quota, cosa discretamente diffusa, anche se non riportata dai media, altre forme solidaristiche come le “casse di solidarietà” con il compito di intervenire per sostenere i lavoratori sul tema della salute, ma anche per sostenere il bisogno sociale. In alcuni casi la contrattazione ha definito forme di finanziamento da parte delle imprese alle singole casse di solidarietà aziendali.

Quello che oggi chiamiamo Welfare aziendale ha quindi una lunga e articolata storia alle spalle.

Il fenomeno di sviluppo del Welfare aziendale come lo stiamo vedendo in questi anni prende origine nella seconda parte del decennio scorso. La base di partenza che portò le aziende a pensare di investire in questo settore era dettato da due evenienze molto acute che si stavano palesando in modo evidente: la difficoltà di molte famiglie di arrivare alla fine del mese (il tema allora veniva descritto con il termine dell’impossibilità ad arrivare alla quarta settimana) e il peso del fisco sul salario distribuito dalle imprese.

Fece scalpore e ottenne una grande evidenza mediatica, il caso di alcune piccole imprese che alzarono i salari. Per altre imprese la risposta non fu così immediata, ma si aprì una riflessione su come dare benefit ai propri dipendenti con un costo fiscale contenuto. A sostenere le soluzioni che andavano nella direzione di definire forme di Welfare aziendale concorrevano tre fattori principali: il forte elemento di fidelizzazione che questi strumenti permettevano, la flessibilità delle soluzioni con la possibilità di adattarle alle particolari situazioni dell’azienda, i vantaggi fiscali possibili per questo tipo di interventi (art. 51 e 100 T.U. entrate).

Le esperienze di Welfare realizzate negli ultimi 5-6 anni possono essere classificate in due grandi aree:

  1. a)Esperienze che rientrano nel grande alveo delle relazioni fra azienda e organizzazioni di rappresentanza del lavoro (caso Luxottica);
  2. b)Esperienze nate e gestite in modo unilaterale dall’impresa (caso Tod’s).

Meno facile è invece catalogare in grandi capitoli le tipologie di benefit. Se quasi tutte le forme di Welfare aziendale prevedono qualche forma di assistenza sanitaria integrativa (anche se non bisogna dimenticare che questo tipo di sostegno in alcuni casi è disciplinato dai contratti nazionali) molto diversificate sono le altre tipologie di benefit: dai carrelli della spesa, alle borse di studio, a buoni spesa, a sconti per servizi, a progetti di formazione culturale, a proposte per il tempo libero, agli asili nido, alle vacanze per i figli.

Per non restare nel generico è bene partire da un caso concreto e analizzare un caso paradigmatico: quello della Luxottica.

L’Azienda è leader mondiale dell’occhialeria e agisce nella progettazione, produzione e distribuzione degli occhiali. 

Nell’ultimo anno ha fatturato oltre 7,5 miliardi di Euro, occupa 80.000 persone a livello mondiale di cui ormai oltre 10.000 in Italia negli stabilimenti di Belluno, Treviso, Rovereto, Torino oltre che nel centro direzionale di Milano. L’Azienda sta attraversando da anni una fase di sviluppo che si traduce in grandi risultati in termini di fatturato e di utili ma anche in una forte pressione nei confronti dei lavoratori in termini di disponibilità sugli orari, di flessibilità, di mobilità interna e fra alcuni stabilimenti anche per mantenere alta la competitività nei confronti degli stabilimenti cinesi, brasiliani, americani.

I territori in cui opera l’Azienda sono diversificati e le istanze sociali dei lavoratori non sempre omogenee.

Nel 2009 la proprietà espresse (anche per una serie di fattori legati alla storia dell’azienda, alla collocazione territoriale degli stabilimenti originali) l’intenzione di realizzare un intervento per sostenere il reddito e le condizioni dei lavoratori.

Per ragioni proprie scelse (come sempre in questa azienda) di intervenire in tempi rapidissimi. L’intenzione della proprietà incontrò la disponibilità del Sindacato a definire congiuntamente un Protocollo sull’istituzione di un Welfare aziendale e in poche ore fu raggiunta un’Intesa Quadro in materia.

L’Azienda metteva a disposizione 2,4 milioni di Euro (oggi diventati 4 milioni) da ricavare da un processo di miglioramento della qualità del prodotto, e si impegnava a costituire un Comitato di governance del Welfare.

Tale Comitato, paritetico fra azienda e OO.SS., aveva il compito di definire gli interventi da attuare e di governare tutti i processi.

Entro la fine del 2009 vennero definiti tutti gli interventi di sostegno non monetario ai lavoratori e in particolare il carrello della spesa, il sostegno ai costi di trasporto, le borse di studio per i figli dei dipendenti, la distribuzione di libri di testo, un piano di assistenza sanitaria integrativa.

A partire dalla seconda metà del 2009 le varie iniziative cominciarono a trovare diretta applicazione. Le più facili da gestire furono quelle semplici come il carrello della spesa (attualmente lo ritirano oltre il 99% dei dipendenti) mentre quelle più complesse, come l’assistenza sanitaria, hanno visto un utilizzo dei lavoratori che è cresciuto di anno in anno con il crescere della capacità dei lavoratori di impossessarsi dei meccanismi per richiedere il rimborso delle prestazioni.

Una delle iniziative più significative messe in atto dal Comitato di governance è stata quella di un monitoraggio dei bisogni dei lavoratori e delle modifiche che questi subivano nel tempo. Ogni due anni viene preparato un questionario attraverso il quale viene richiesto ai lavoratori un giudizio sulle prestazioni, sul grado di soddisfacimento, sulle modifiche dei bisogni.

Leggendo i dati del questionario fatto nel 2011 e quello fatto nel 2013 è evidentissima tale evoluzione. La più evidente è quella che segnala come fra gli interventi di sostegno ci sia un’evoluzione dall’iniziale prevalenza di iniziative per il sostegno dei figli, alla necessità di avere maggiori interventi per la cura e l’assistenza degli anziani.

Anche sulla scorta di tali iniziative nel 2013 è stato definito un nuovo Accordo che ridefinisce le tipologie di intervento, mentre di anno in anno vengono aggiornate le prestazioni fornite dall’assistenza sanitaria.

Gli elementi forti del Welfare aziendale Luxottica sono quindi la qualità delle prestazioni, il sistema di governance e la capacità di avere uno strumento dinamico adattabile nel tempo.

Dopo 6 anni di funzionamento si possono trarre alcune conclusioni: lo strumento è  efficace, incontra l’apprezzamento dei lavoratori e riesce a realizzare, anche se questo dato non va enfatizzato, una maggiore fidelizzazione dei lavoratori e, essendo legato al raggiungimento di alcuni obiettivi qualitativi, impone un maggior coinvolgimento ai processi. Che questo sia un elemento su cui prestare attenzione è testimoniato dal fatto che l’Azienda sta proponendo di utilizzare il Welfare per riconoscere alcuni comportamenti individuali all’interno dei processi aziendali. 

La seconda questione è legata al fatto che non è facile essere presenti in un Comitato di Welfare se non si hanno persone dotate di professionalità specifiche. Quello della qualità dei rappresentanti sindacali in questi organismi è un problema che comincia ad emergere perché è chiaro che ci vogliono capacità e sensibilità diverse da quelle che derivano dalla rappresentanza del lavoro.

C’è il rischio che l’Azienda senta come suo questo strumento e quindi tenda a privilegiarlo rispetto ad altri strumenti di partecipazione sindacale. In particolare in Luxottica si sta creando una forma di concorrenza fra “Welfare” e “Cassa di solidarietà”.

C’è poi il problema del rapporto con il territorio in cui è situata l’Azienda. Per esempio la fornitura dei libri di testo gratuita ai figli dei dipendenti ha fatto emergere qualche problema all’interno degli Istituti scolastici dove convivono fianco a fianco figli di dipendenti Luxottica con ragazzi che non hanno nessun rapporto con l’Azienda.

C’è poi il rischio che dei benefit che vengono esclusivamente dall’Azienda, anche se collegati al raggiungimento di determinati obiettivi, non facciano crescere la responsabilità ed è per questo che riteniamo che vada salvaguardata l’esperienza della “Cassa di solidarietà” dove c’è il contributo dell’Azienda ma anche il contributo del lavoratore.

Infine l’esperienza del Welfare aziendale sta facendo emergere alcune contraddizioni più generali e in particolare quella che ha a che fare con gli sgravi fiscali.

Oggi le prestazioni di Welfare che rischiano di essere unilaterali godono di sgravi fiscali mentre le iniziative delle “Casse di solidarietà”, che sono invece solidaristiche, non godono di questi vantaggi se non in modo più indiretto.

Le esperienze di Welfare aziendale sono certamente una frontiera nuova, vanno realizzate, contrattate, implementate perché sono una grande opportunità. Ma forse è arrivato anche il momento di fare una valutazione complessiva più articolata non fosse altro perché non diventino una “cosa da ricchi” che si riesce a fare solo dove ci sono grandi margini.

 

 

 (*) Segretario Generale Aggiunto Femca Cisl

 

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