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Una controriforma dagli anni ”contati”

Quota 100 sembra essere divenuto un obiettivo militare, un fortilizio nemico da espugnare a tutti i costi. L’Inps fornisce quotidianamente – con la puntualità di un cronografo svizzero – i dati sulle domande presentate per ottenere la pensione, con una meticolosità statistica da lasciare a bocca aperta: la distribuzione territoriale fino alla provincia (per quanto ci riguarda non abbiamo ulteriormente approfondito); la suddivisione per genere e per età; l’appartenenza delle diverse gestioni; la scelta del canale d’accesso (Patronati, Sedi territoriali Inps, ecc.). Ogni pubblicazione viene salutata con una sorta di bollettino della vittoria dal peana dei due vicepremier, come se tanti lavoratori si fossero liberati dalle catene imposte dalla riforma Fornero e risalissero, con nuove speranze, le oscure valli in cui erano tenuti prigionieri. 

“Adesso si può”, è lo slogan menzognero, sbandierato in tv dalla Presidenza del Consiglio: come se prima fosse preclusa la possibilità di andare in quiescenza, anche in modo anticipato (questa tipologia, invece, raccoglieva, nei flussi, la maggioranza delle adesioni a un’età media alla decorrenza intorno ai 61 anni). C’è addirittura chi teme uno straripamento delle richieste rispetto alle previsioni (tav.1) e, quindi, anche agli stanziamenti effettuati.

È ovvio che l’operazione avrà successo, perché è normale che le persone colgano tale opportunità nel contesto di una legislazione a doccia scozzese, dove si passa dalla sera al mattino dal rigore al lassismo e viceversa. Non si dimentichi, poi, che la controriforma giallo-verde ha gli anni “contati”: quota 100 è una deroga sperimentale della durata di un triennio, mentre fino al 2026 rimarranno congelati i requisiti richiesti per il pensionamento anticipato previsti dalle norme del 2011. Ciò che verrà dopo è per ora immerso in una notte profonda in cui tutte le vacche sono nere. 

Ma se guardiamo i dati con un po’ di attenzione diventa facile supporre che, al momento di fare i conti, vi sarà bisogno anche di un po’ di pulizia. Molte domande sembrano presentate all’insegna del “non si sa mai”; altre che siano iscritte a quota 100 ma in realtà appartengano a differenti tipologie (la vecchiaia, per esempio). Ma confrontiamoci con i dati. 

Il numero delle domande aggiornato alle ore 12:00 del 28 febbraio era di 76mila unità (per l’esattezza di 75.997). Tra le diverse realtà territoriali vi sono evidenti squilibri. Ci sta sicuramente che Roma fosse la città in cui risultava il maggior numero di domande (per via del contributo del pubblico impiego), ma lascia qualche dubbio che a Napoli fossero state presentate più richieste che a Milano e a Torino. E che Cosenza se la vedesse alla pari con Bologna, Genova, Brescia e Bergamo; Reggio Calabria con Modena; Trapani con Vicenza e Treviso. Se poi prendiamo a riferimento l’età rimane qualche dubbio su come il requisito anagrafico si possa combinare con quello altrettanto indispensabile della contribuzione versata (38 anni), tanto da far ritenere che la nuova norma si proietti nell’ambito del trattamento di vecchiaia piuttosto che in quello dell’anticipo per anzianità. 

Infine, ci sono altri due aspetti interessanti. Uno riguarda la distribuzione di genere. Come ci si aspettava le domande presentate dagli uomini sono più del doppio di quelle delle donne. 

L’altra è la distribuzione per categorie e gestioni. 

Spicca a vista d’occhio (come era nelle previsioni) un primato nel pubblico impiego che nell’immediato determinerà parecchie difficoltà organizzative e “buchi” negli organici di importanti servizi; ma che a tempo debito potrà rappresentare uno sbocco per la disoccupazione intellettuale del Paese (anche se i profili professionali disponibili non riusciranno a qualificare la pubblica amministrazione liberandola dalla cultura normativa e burocratica e arricchendola di profili tecnici). Soprattutto, però, se si guarda al peso dei lavoratori autonomi, si ricava l’impressione che le nuove agevolazioni pensionistiche svolgeranno un ruolo di prepensionamento per i titolari di imprese in difficoltà economiche. Anche perché il divieto di cumulare reddito e pensione, a meno di non ricorrere a espedienti truffaldini, comporterà la chiusura di esercizi e aziende. 

Non sembra, pertanto, che ci si possa attendere molto, nel settore del lavoro autonomo, per quanto riguarda una maggiore occupazione. Non è un bel segnale che, al posto di una bottega o di un’azienda chiuse, ci siano dei pensionati con quota 100.

 

*il Sussidiario 05/03/2019

 

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