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Una filiera di governo per smuovere l’inamovibile

Italiasicura ha ormai alle spalle tre anni di lavoro come struttura di missione di Palazzo Chigi – nata con il Governo Renzi e confermata dal governo Gentiloni – per il contrasto al dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche. 

La piena sintonia con i ministeri guidati da Gianluca Galletti (Ambiente), Graziano Delrio (Infrastrutture) e Claudio De Vicenti (Coesione e Sud), con la Protezione Civile guidata nel 2014 da Franco Gabrielli e poi da Fabrizio Curcio, con i Presidenti delle Regioni che operano da Commissari di governo e le loro strutture, con il team di professionisti di Invitalia, è un metodo di lavoro integrato che consideriamo un piccolo e utile segnale nella follia della frammentazione della pubblica amministrazione.

E’ la dimostrazione che un modello di riorganizzazione della filiera di governo è necessario e può sbloccare settori complessi e complicati dominati da ostacoli culturali prima che procedurali di varia natura, da un labirinto di titolarità e di burocrazie solo formali che hanno favorito nel tempo livelli di deresponsabilizzazione, molta rassegnazione e alibi.

Da dove siamo partiti tre anni fa e perché è nata Italiasicura? Dalla necessità di recuperare le prime due tra le cose più fragili nella nostra storia delle catastrofi da dissesto idrogeologico. La prima era la memoria degli eventi e delle loro cause. La seconda era il concetto di “piano”, disperso nelle nebbie calate sulla legge 183 del 18 maggio 1989 (“Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo”) che obbligava alla pianificazione a lunga scadenza di opere e di risorse da investire. Dovevamo recuperare quella “prevenzione strutturale” per aumentare e irrobustire le difese contro gli eventi naturali, e la coscienza del rischio con la capacità di reazione messa all’angolo dall’approccio segnato dall'”oscurità medievale del fatalismo”, come spiega Renzo Piano, e dalla molto bassa percezione nazionale della gamma di pericoli. 

Sappiamo che i rischi sono naturali. Naturale è l’aggettivo che deriva dal sostantivo “natura” poiché tali sono gli eventi in unapenisola dove la natura ha voluto esagerare con la geologia, la morfologia, l’orografia, plasmandola come una bellezza mozzafiato ma show room di fragilità impressionanti, amplificate da errori, urbanizzazioni selvagge, scarse cure e manutenzioni

Bisognava creare le condizioni per una grande opera pubblica collettiva. Sappiamo bene che non esistono bacchette magiche ma solo anni di lavori in corso. 

L’idea di creare una struttura di missione centralizzata a Palazzo Chigi nacque da queste constatazioni, dal fallimento della prevenzione, parola-simbolo presente in tutti i documenti ma mai resa politica di governo, e dall’urgenza di dover cambiare quasi tutto per non lasciare città e territori in balia non del “rischio residuo” – gestibile e governabile – ma di ogni evento meteo o geofisico, anche non importante. Lo dovevamo innanzitutto alle vittime in una Italia che vede oltre il 10% di aree abitate e con tesori culturali inestimabili inondabili, con  almeno 570mila frane censite che insieme sommano i due terzi dell’intero continente europeo, e il capitolo doloroso di 5.553 morti degli ultimi 70 anni in 4.419 località colpite da eventi in 2.458 Comuni in tutte le 20 Regioni, con una metropoli di circa un milione di sfollati, danni a infrastrutture pubbliche e abitazioni e aziende private risarciti con 3.5 miliardi di spesa l’anno in emergenze.

Iniziammo, tra lo scetticismo quasi generale, dall’applicare a noi stessi l’ABC della pubblica amministrazione: lo Stato è uno e non le tremilaseicento parti dell’incredibile spezzatino di competenze sul contrasto al dissesto, non la miriade di compartimenti stagno di uffici ministeriali e articolazioni periferiche di assessorati, enti, consorzi, strutture commissariali, aziende, società, soggetti vari. Scegliemmo un percorso trasparente e partecipativo, garantito poi anche dall’accesso al sito georeferenziato che permette a chiunque di poter controllare lo stato dei cantieri. Aggiornammo le “linee guida” tecniche e avviammo insieme al Ministero dell’Ambiente, e sono tuttora in corso, seminari regionali, sempre molto affollati, per aggiornare funzionari, dirigenti, professionisti sulle novità per progettazioni ed esecuzioni, un obiettivo scientifico raggiunto grazie al lavoro di un gruppo di esperti interdisciplinare. Nuove regole che restituiscono in pieno quelle dettate dalla Legge 183 che saldavano la “difesa dalle alluvioni” alla “conservazione del suolo” alla tutela delle acque agli effetti climatici al rispetto delle dinamiche fluviali e della qualità dei territori. Una rivoluzione culturale che ha visto entrare le azioni di manutenzione del “Contratto di fiume” a pieno titolo nel piano finanziario, garantite dal 20% dell’investimento complessivo.

Eravamo e siamo una piccola grande squadra, con professionisti di supporto tecnico della Protezione Civile, di Invitalia, dell’Autorità idrica nazionale, in rapporto costante con l’Agenzia per la coesione territoriale, l’Ispra, l’Anbi, e verifiche periodiche di una larga cabina di regia con rappresentanti di altri ministeri, regioni, comuni, Cnr, Istat, università, ordini professionali, sindacati e associazioni.

Con tutti loro rafforzammo il primo punto debole: il labirinto di ben 14 monitoraggi degli investimenti stanziati dallo Stato e inviati a Regioni ed enti locali, e sul loro utilizzo. Tanti numeri e dati ma sparsi in sedi diverse e giocoforza incompleti. Non è stato semplice l’uscita dal labirinto, ma oggi c’è un solo monitoraggio in un solo luogo, come peraltro prescriveva la legge. E non è stato semplice liberare i cantieri dall’intrico di freni di ogni tipo ai lavori urgenti: dal garbuglio interpretativo di leggi, decreti legge, decreti legislativi, atti, protocolli, codici, regolamenti a supporto di accordi, accordi di programma, accordi di programma quadro, intese, intese quadro e una infinità di ricorsi e contenziosi davanti ai Tar e al Consiglio di Stato alla clamorosa ridondanza di piani (di bacino, di gestione delle acque, per l’assetto idrogeologico, di tutela delle acque, d’ambito ottimale, territoriali, urbanistici, paesaggistici, di tutela delle aree protette e delle matrici ambientali, di bonifica, irriguo…) che facevano girare tonnellate di carta per strascichi legali ma non le betoniere dei cantieri utili. 

Una prima sforbiciata alle burocrazie è stata resa possibile dalle norme inserite nel decreto “Sblocca Italia” grazie alle quali un atto del Presidente di Regione Commissario di Governo per le opere di contrasto al dissesto con “dichiarazione di pubblica utilità”, velocizza “visti, pareri, autorizzazioni, nulla osta e ogni altro provvedimento abilitativo” ed è “variante agli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale”. I pareri, se necessari, si rilasciano in 30 giorni. E tanti lavori incatenati da ricorsi dopo una gara sono potuti ripartire grazie alla “norma Bisagno” che alle richieste di sospensiva rende prevalente “le esigenze di incolumità pubblica». Al primo posto c’è la sicurezza della comunità. Buon senso.

Affrontare concretamente il tema di una ordinata e ordinaria pianificazione ha significato anche rimettere in primo piano le Autorità di bacino, oggi ridotte nel numeri e diventate Autorità di Distretto. Grazie al loro lavoro e a quello della Protezione Civile nei territori e degli uffici regionali, siamo riusciti a costruire il piano del fabbisogno di opere (circa 9.000) e il piano finanziario (9,7 miliardi). E’ stata dura scoprire che il 90% degli interventi in elenco sono ancora da progettare. Ma oggi sono aperti tanti cantieri attesi anche da mezzo secolo: da Genova a Milano, da Firenze al Sud. Sono casse di espansione, allargamenti di sezioni di condotte sotterranee, canali scolmatori, sicurezza nei versanti franosi. Ed è disponibile il primo Fondo Progetti da 100 milioni predisposto dal Ministero dell’Ambiente per sostenere l’impresa delle progettazioni.

Sappiamo che è una corsa contro il tempo. Ma sappiamo anche che è assolutamente alla nostra portata l’impresa del rischio accettabile e gestibile. Sembra un ossimoro ma non lo è. E’ la consapevolezza che un livello di pericolo esisterà sempre per condizioni strutturali, ma possiamo affrontarlo con azioni adeguate. Soprattutto se ai nostri cantieri sarà affiancata un’opera di prevenzione a costo zero: salvaguardie e vincoli di inedificabilità assoluta nelle aree più fragili da apporre anche con un semplice “copia e incolla” con le migliori leggi regionali e i piani regolatori comunali “a mattoni zero”.

*Presidente Italiasicura

 

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