Nella notte tra il 20 ed il 21 giugno, all’età di ottantadue anni, è scomparso, nella sua Reggio Emilia, un grande sindacalista della Cisl e di tutto il sindacato italiano: Giuseppe “Pippo” Morelli.
Quello di Morelli è un nome forse non notissimo ai più giovani, anche nella Cisl, poiché, ormai oltre venti anni, fa il sindacalista emiliano fu colpito, di ritorno da un viaggio di cooperazione in Brasile, da una grave forma di ictus che ne aveva fortemente minato la capacità intellettuali costringendolo ad interrompere la sua instancabile attività sindacale e sociale.
Ma questa “spina nella carne”, per usare le parole di San Paolo citate durante i suoi funerali, fa parte di una vicenda umana che, anche se certamente divisa in due parti nettamente distinte della malattia, è un grande messaggio unitario di gratuità, giustizia e libertà.
Pippo Morelli, nacque a Reggio Emilia nel 1931. Si laureò nel 1955 all’Università Cattolica di Milano con Mario Romani, con una tesi sul rapporto tra mondo rurale e movimenti sociali nella sua provincia tra l’unità d’Italia e la prima guerra mondiale. Ma è nel 1957-58 che avvenne il suo incontro decisivo con la Cisl, grazie alla frequenza del primo corso nazionale per esperti di contrattazione al Centro Studi di Firenze.
La sua grande capacità negoziale fu immediatamente notata da Romani e Saba tanto che fu subito da loro inserito, insieme a Nicola Cacace, nell’Ufficio esperti confederale. Collaborò pertanto, tra la fine degli anni cinquanta e gli inizi degli anni sessanta, come assistente presso il Centro Studi, per poi trasferirsi a Milano, dove iniziò la sua attività presso la Fim e la Cisl milanesi. Fu tra i protagonisti del congresso nazionale della Fim del 1962 contribuendo, insieme ad Emanuele Braghini, a scrivere la mozione finale che segnò la prima grande svolta di cambiamento per l’organizzazione dei metalmeccanici cislini. Nel 1963 il contratto dei metalmeccanici conquistò il diritto alla contrattazione integrativa e Morelli cominciò ad assumere il ruolo di “stratega” dell’intensa attività contrattuale (in particolare aziendale) e formativa della Fim, prima e della Flm unitaria poi.
Pippo Morelli fu quindi, insieme a Luigi Macario, Pierre Carniti, Franco Bentivogli, Franco Castrezzati, Giovanni Battista Cavazzuti, Alberto Gavioli, Alberto Tridente (per citare le figure principali, ma l’elenco potrebbe continuare) uno dei protagonisti cruciali del profondo rinnovamento della Fim e della Cisl degli anni sessanta e settanta.
Non fu, come una scellerata lettura revisionista tende a voler comunicare, una rottura che tradiva la Cisl delle origini.
Come raccontò Morelli, nel suo ultimo intervento pubblico in Italia prima della malattia, svoltosi a Milano nel febbraio del 1993, la nuova Fim e la nuova Cisl si preoccuparono soprattutto di tradurre nella concretezza i principi di autonomia e contrattazione presenti nei principi forza e nei valori costitutivi del sindacato libero fin dalle origini.
Morelli ricordava, in quell’intervento, come la dura battaglia per l’autonomia sindacale eper l’incompatibilità tra incarichi sindacali e politici non si risolse nel mero distacco, ma nell’elaborazione culturale positiva per una maggiore autonomia. Così la contrattazione articolata praticata rimetteva la fabbrica al centro dell’elaborazione sindacale, facendogli riconoscere la propria base effettiva nei luoghi di lavoro. Non solo; in questo intervento, quasi una sorta di testamento intellettuale, il sindacalista reggiano raccontava ai giovani della Fim l’introduzione, ripresa dai sindacati del centro-nord Europa, di metodi partecipati per il dibattito interno, in particolare nelle commissioni congressuali e organizzative.
Certo ci furono elementi di piena novità, come l’ipotizzare, a partire dal 1964, un rafforzamento dell’unità sindacale che oltrepassasse anche l’unità di azione, allora per nulla scontata, e, per la Fim, come per le Acli, la scoperta dell’orizzonte socialista e la messa in discussione del sistema capitalista alla fine degli anni sessanta. Non va poi dimenticata la diffusione di uno strumento di rappresentanza diretta come il sistema dei Consigli di Fabbrica.
In Morelli si riscontravano certamente alcune specificità. Un’etica personale fortissima che spesso lo portava su posizioni di dissenso anche all’interno del proprio gruppo di riferimento.
Egli rivendicava la possibilità di usare la più ampia critica interna, anche se in maniera positiva. Si pensi, ad esempio, all’accordo separato sui temi previdenziali che fu firmato da Cisl e Governo nel 1968.
I rappresentanti della Fim, che era contraria all’accordo, si limitarono, nel Consiglio Generale Cisl, all’astensione. Fu Morelli a prendere posizione pubblica con un articolo su “Il Ragguaglio Metallurgico” inequivocabilmente intitolato: “Il dovere di dissentire” e a prendere carta e penna per dimettersi dalla segreteria della Cisl di Milano e per comunicare a Luigi Macario la propria indisponibilità ad entrare, a quelle condizioni, nella segreteria nazionale della Fim.
Egli ricordava però che quelli non erano atteggiamenti individuali. Quel gruppo dirigente, senza indulgere in moralismi, cercò di portare avanti un’etica collettiva e partecipata, si potrebbe dire quasi “francescana”, che era considerata pienamente parte dell’azione di ogni sindacalista.
Si pensi, ad esempio, alla regola ferrea che evitava che gli stipendi di segretari e operatori superassero quelli di impiegati e operai metalmeccanici ed anche l’attenzione ai tenori di vita personali: lo stesso Morelli ricordava, con il sorriso, la contestazione a Romei, segretario della Cisl di Milano, reo di aver acquistato, sia pur con soldi propri, una Fiat 124, considerata al di sopra degli standard possibili per un sindacalista.
Pippo Morelli seguì grandi vertenze nazionali, come quella dell’Italsider, dove, si racconta, riuscì a raggiungere un accordo importantissimo e quasi insperato, convincendo ostinatamente non solo l’azienda, ma anche un’inizialmente scettico Luciano Lama, che gli fece dono di una delle sue inseparabili pipe.
Morelli sarà un grande protagonista nella segreteria nazionale della Fim, fino a oltre la metà degli anni settanta, divenendo uno degli artefici, insieme a Bruno Trentin e a Bruno Manghi, della conquista delle 150 ore per il diritto allo studio, a partire dal contratto del 1973.
Negli anni settanta, in questo senso distaccandosi parzialmente anche dalla linea di Pierre Carniti, Morelli appartenne pienamente a quell’area, trasversale alle tre confederazioni, che viene definita “seconda sinistra sindacale”, per distinguerla dalla componente, più ampia, della seconda metà del decennio precedente, aderì anche a Democrazia Proletaria.
Terminata l’esperienza nella Flm entrò nel 1981 nella segreteria della Cisl Emilia Romagna di cui divenne segretario generale, carica che lasciò nel 1985 per tornare alle origini, al Centro Studi di Firenze. Tra il 1985 ed il 1989 egli assunse infatti l’incarico di direttore del Centro Studi Cisl nel quale si impegnò fortemente per valorizzare il ruolo della formazione sindacale, nel comprendere i processi di trasformazione ecambiamento che caratterizzavano la società italiana ed europea in quegli anni. Nel periodo della sua direzione, il Centro si caratterizzò in particolare per i corsi sulla contrattazione nell’impresa, le politiche internazionali e le politiche ambientali. Il tema della formazione come strumento di promozione umana ed emancipazione sociale fu al centro di un importante seminario da lui organizzato presso il Centro Studi con il pedagogista brasiliano Paulo Freire, teorico della “pedagogia degli oppressi”.
Nei primi anni novanta Morelli assunse anche la Presidenza del Parco del Gigante, nell’appennino emiliano, carica attraverso la quale mise in campo la sua forte sensibilità ambientale, figlia anche della sua antica formazione scoutistica. Dagli anni ottanta, fino al 1993, anno in cui fu colpito dal grave ictus, si impegnò fortemente anche nella cooperazione decentrata, in particolare in Brasile, dove, insieme ad Alberto Tridente, Enrico Giusti e Beppe Stoppiglia collaborò a lungo, anche attraverso l’Iscos, con il futuro presidente Lula. Di questo impegno è significativa traccia il libro, uscito per Edizioni Lavoro nel 1983, intitolato “Viaggio dentro il Brasile”.
Se si volesse tirare un filo rosso dell’esperienza di Pippo Morelli si potrebbe coniugare questa espressione: egli, al di là dell’estrema severità di vita che imponeva a se stesso e richiedeva agli altri, era una “persona ponte”. Ponte tra il mondo della cultura e l’attivismo sindacale, tra la piena appartenenza alla dimensione ecclesiale e la sinistra anche radicale (si veda, ad esempio, il suo intervento al Convegno nazionale di Bologna dei Cristiani per il Socialismo, settembre 1973), tra il Nord del mondo e quel Brasile dove, con lungimiranza, aveva avvertito un possibile percorso di emancipazione complessiva dei ceti popolari attraverso il sindacato, non senza avvertire le possibili contraddizioni.
Gli ultimi vent’anni, come detto, sono una storia diversa, ma non opposta. Il sindacalista che faceva, soprattutto nella forma scritta, un grande uso della parola, ha dovuto imparare la debolezza del silenzio, circondato dall’Amore della famiglia e degli amici.
C’è qualcosa di immenso e prezioso nella storia, in questo caso collettiva, della famiglia Morelli, una famiglia che ha dato tanto anche alla città di Reggio Emilia. La vicenda di Pippo, compresa l’inattesa seconda parte della sua vita, è ben sintetizzata dalle parole del Vangelo di Giovanni: “Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito”.