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Una svolta ”laburista” nel PD?

All’interno del congresso costituente del Pd è emersa negli ultimi giorni la proposta di una svolta strategica del partito in direzione dell’assunzione del lavoro come asse centrale della stessa identità del partito. In coerenza con la scelta dei nostri padri costituenti di indicarlo come questione prioritaria tanto da dedicargli il primo articolo della Costituzione. In tal senso, è stato pubblicato, qualche giorno fa sul “Foglio” un lungo documento a firma di Marco Bentivogli e di una decina di dirigenti Pd appartenenti in prevalenza all’associazione “Libertàeguale”, che coerentemente si stanno battendo per una identità liberaldemocratica del partito. 

Un documento complesso e articolato, che si avvicina più a un programma di partito che a un manifesto identitario. Scegliere il lavoro significa fare i conti con una sfida impegnativa perché si tratta de “l’indicatore dello stato di salute della condizione umana”, decisivo per la qualità della propria vita e della sua relazione con gli altri uomini e con l’ambiente. Soprattutto in questa fase della nostra società, nella quale il lavoro sta subendo una grande trasformazione indotta dall’innovazione tecnologica, dall’evoluzione dell’impresa e dei mercati, e dalla stessa cultura del fattore umano. 

Una scelta di grande rilevanza e responsabilità che introduce nel cuore del futuro da costruire. Ma per uscire dalla retorica dell’obiettivo, e dar vita ad un congresso che faccia uscire il Pd dalla crisi identitaria in cui si è cacciato, con un programma che lo riporti protagonista della politica italiana, è necessario prendere atto di due seri problemi che si pongono sulla sua strada. 

Da un lato la cultura del partito sul lavoro ha bisogno di una nuova consapevolezza circa la complessità del compito. non risolvibile con la sola iniziativa di partito dati anche i limiti dei propri strumenti di intervento, dall’altro, le difficili condizioni di partenza del nostro mercato del lavoro. Circa il primo aspetto va tenuto presente che, nella situazione attuale, la conquista di un diffuso lavoro di qualità richiede la compresenza di diverse condizioni che vanno da uno sviluppo economico e sociale innovativo, fondato su un alto livello di innovazione e produttività, in grado di offrire occasioni di lavoro di qualità e sicurezza, e di un welfare in grado di realizzare cultura, competenza, salute e sicurezza in modo da realizzare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro all’altezza delle aspirazioni dei giovani. 

Un compito che tradizionalmente appartiene poco alla sinistra politica, e che richiede un ruolo protagonista delle parti sociali come diretti rappresentanti dei problemi e delle aspirazioni dei lavoratori e delle imprese, da realizzare attraverso la positiva mediazione dei conflitti tramite la contrattazione collettiva, dalla quale possono venire anche precise indicazioni per orientare il processo legislativo, per sua natura rigido ed esterno alla trasformazione del lavoro. 

Purtroppo, allo stato, sembra non venire oggi un grande contributo da quella parte. In secondo luogo, diventa essenziale il ruolo del sistema di scuola e università che, senza rinunciare alla finalità essenzialmente culturale ed educativa del suo compito sia in grado di dare un contributo per rendere effettivo il diritto soggettivo alla formazione in vista del lavoro. 

L’altro problema con cui fare i conti rimane lo stato insoddisfacente del nostro mercato del lavoro. Nonostante qualche recente segnale di ripresa dell’occupazione, anche a tempo indeterminato, il nostro mercato del lavoro presenta un tasso di occupazione pari al 60,5% che, pur essendo stato raggiunto in precedenza nel lontano 1977, rimane tra i più bassi d’Europa, avendo presente che la stessa Ue, ha indicato, già per il 2010. l’obiettivo del 70% da raggiungere per arrivare a una occupazione soddisfacente.  Questo nostro divario si spiega con la particolare crisi del lavoro giovanile, femminile, e la diffusione del lavoro irregolare, che derivano da un modello di sviluppo scarsamente innovativo, per cui rimaniamo, in Ue, nelle posizioni di coda nelle transizioni digitale, ecologica ed energetica, e con un welfare che non riesce ad intaccare la diffuse condizioni di povertà e di disuguaglianza. 

Acquisire matura consapevolezza di tali problemi potrebbe, da un lato, consentire al Pd di trovarsi nella condizione di poter giocare da protagonista le prossime partite decisive per il futuro del Paese, dall’altro partecipare realisticamente alla soluzione dei problemi sulla base della loro reale dimensione, secondo criteri di sintesi tra sviluppo, lavoro e giustizia sociale, che, a mio avviso, rimangono le caratteristiche essenziali di un moderno partito di sinistra riformista di governo, di segno laburista socialdemocratico. 

Rimane soltanto l’interrogativo circa la capacità del Pd di compiere, nei tempi stretti del congresso costituente, una scelta strategica di questa qualità, da completare e perfezionare in tempi successivi. Finora le premesse ancora non si intravvedono ma le prospettive del Pd consentono soltanto spazi limitati.

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