Il paradosso dei figli nella società contemporanea aiuta a capire il problema della famiglia. I figli sono visti spesso come un ostacolo insopportabile a carriera e opportunità di scelta, da aggirare a ogni costo quando si è giovani. Diventano un desiderio tardivo e spesso vanamente perseguito da adulti quando la fertilità crolla più rapidamente che in passato. Gli studi sulla soddisfazione di vita aiutano a capire. Gli intervistati dichiarano che i figli contribuiscono in modo decisivo a ricchezza e senso della vita, e in misura crescente man mano che l’età avanza.
Nella fascia tra i 20 e i 35 anni però paradossalmente riducono la soddisfazione perché si fa fatica a conciliare famiglia e lavoro. I giovani italiani non hanno perso il desiderio dei figli perché come ci ricorda nelle sue ricerche Alessandro Rosina ne vorrebbero almeno due. Ma la povertà di tempo, denaro e sicurezze lavorative rende molto difficile la realizzazione del progetto. Aggiungiamo a questo la scomparsa di un’educazione sentimentale che aiuti i giovani a capire che le relazioni sono un investimento e non un bene di consumo usa e getta che ci lascia più insoddisfatti di prima e possiamo capire perché in tutti i Paesi ad alto reddito (ad eccezione di Israele) i tassi di natalità sono inferiori al tasso di riproduzione della popolazione.
In campagna elettorale la natalità è stata di nuovo una bandiera per tutti, a cominciare dai sovranisti. Ed è stata agitata spesso in alternativa all’idea che potessero essere i migranti a evitare il progressivo invecchiamento della popolazione e tutte le conseguenze negative, sociali ed economiche, di questo processo.
La storia europea recente dimostra che per aiutare la famiglia ci vogliono politiche specifiche e non basta una generica ridistribuzione del reddito. In un recente articolo Massimo Calvi ricordava gli esempi francese, tedesco, polacco e scandinavo. Dove con un mix di interventi come fondi per il quoziente familiare, bonus bebè, politiche di conciliazione lavoro-famiglia, assegni familiari e politiche per gli asili nido si è in qualche modo tentato di invertire la tendenza (con successo nei casi delle politiche più decise come quella francese fino a qualche tempo fa).
Per questo il governo in carica non può pensare di realizzare uno dei propri punti di programma politico con generiche politiche ridistributive (se e quando saranno realizzate) come la flat tax e il reddito di cittadinanza. La politica per la famiglia ha una propria specificità, è insostituibile e ormai non più rinviabile. Certo, poiché viviamo sotto la spada di Damocle del vincolo di bilancio, l’abilità sta nel trovare soluzioni non velleitarie che possano passare il vaglio del Tesoro. Sarebbe pertanto il caso, per cominciare, di riprendere il progetto del voucher universale per i servizi alla famiglia e alla persona contenuto in una proposta di legge completata e mai approvata.
Proposta che utilizzava la stessa logica del bonus per le ristrutturazioni edilizie per favorire con una robusta politica di detrazioni spalmate nel tempo l’emersione dal nero di una serie di attività (in quel caso ristrutturazioni edilizie in questo servizi alla famiglia) riducendone il costo e favorendone lo sviluppo. Un’altra idea a costo zero è quella di dare uno stimolo ulteriore allo sviluppo dello smart work, il cosiddetto lavoro agile.
Come è noto la rivoluzione della rete ci consente di superare la necessità di essere nello stesso luogo, nello stesso istante di tempo per poter lavorare insieme. Nella stragrande maggioranza di lavori senza attività “a sportello” è assolutamente possibile lavorare uno/due giorni a settimana a distanza eliminando quei costi di spostamento che aumentano l’inquinamento e sono tempi morti non graditi che riducono le possibilità di conciliazione famiglia-lavoro. Con una spinta gentile (ad esempio un contributo per l’acquisto di computer portatili in azienda) o ancor più decisamente, con qualche elemento coercitivo, il governo potrebbe accelerare questa importante rivoluzione.
Altrettanto importante non cadere nella tentazione di una semplificazione delle misure ridistributive (per esempio nella costruzione del nuovo Rei allargato) e fiscali che non riconosca i bisogni e le urgenze maggiori dei nuclei familiari in una visione che mette al centro l’individuo e non la persona e le sue relazioni familiari. Siamo tutti consapevoli che le difficoltà di natalità e famiglia hanno radici profonde nello smarrimento del valore della generatività (in senso biologico e in senso più ampio) che è la vera fonte di ricchezza di senso della nostra vita. E nella mancanza di un’educazione a coltivare con pazienza la vita di relazioni. Gli aspetti sociali ed economici però contano, eccome, e dobbiamo interrogarci su come possiamo volgerli in positivo a partire dai vincoli e delle opportunità della situazione corrente.
(*) Ordinario di Economia Politica presso la Facoltà di Economia dell’Università di Roma “Tor Vergata”;
da Avvenire, 01/07/2018