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Vertice di Parigi sull’intelligenza artificiale, una débâcle europea

Una pagina nera per l’Europa, e per l’intera politica dell’Unione, a partire dalle forze progressiste. La giravolta con cui si è deciso di cancellare il regolamento sulle responsabilità dei proprietari dei sistemi generativi, dopo le roboanti dichiarazioni della presidente von der Leyen al vertice sull’intelligenza artificiale di Parigi, non lascia spazio a dubbi. Si tratta della brusca constatazione che ormai la comunità di Bruxelles è una realtà a sovranità limitata, come lo erano i Paesi satellite dell’Unione sovietica nel secolo scorso. Una sovranità limitata che coinvolge anche le principali testate giornalistiche, che in questi giorni hanno palesemente ignorato una decisione di grande portata: Bruxelles ha proditoriamente deciso di battere i tacchi dopo il diktat recapitato dal vicepresidente americano Vance sulle ambizioni regolatorie del vecchio continente. E ha così lasciato mano libera ai gruppi monopolistici della Silicon Valley, che potranno comportarsi come meglio credono anche in Europa.

Non siamo in presenza solo di un’ennesima prova dell’inconsistenza politica dell’Unione, che soprattutto sulle nuove tecnologie non riesce a contrapporsi al liberismo americano. Siamo in presenza di una rinuncia strategica a ogni ambizione di terza via fra il gigantismo privato di Washington e quello statalista di Pechino. Il regolamento elaborato dalle strutture dell’Unione apriva un varco a una logica negoziale, che permetteva a imprese o ai singoli cittadini di potersi rivalere sui grandi marchi tecnologici per un uso scorretto dei dati o per eventuali danni subiti dai comportamenti discriminatori degli algoritmi. Si sarebbe così concretizzata una prospettiva dialettica che avrebbe dato spazio a una nuova dinamica nel tessuto economico e culturale del vecchio continente.

Il vertice, convocato dal presidente francese Macron con il leader indiano Modi per fare il punto  sulle modalità di sviluppo delle risorse digitali, e in particolare dei sistemi di intelligenza artificiale, aveva reso chiaro il dualismo fra le sollecitazioni liberiste della Casa Bianca che, sulla scorta delle indicazioni del presidente ombra Musk, chiedeva all’Europa di uniformarsi a un regime di mano libera per le imprese, mentre l’Europa si presentava con una strategia complessa, basata, da una parte, sulla capacità di civilizzare il mercato digitale con norme che assicuravano un controllo pubblico dello strapotere delle grandi imprese d’oltreatlantico e, dall’altra, con l’attivazione di una politica di sviluppo, basata su un partenariato pubblico-privato per attivare investimenti consistenti – duecento miliardi di euro – per una competitività di aziende continentali.

Il dibattito era stato vivace, con polemiche dirette fra americani ed europei, ma anche con una discesa in campo dei grandi protagonisti della ricerca come Hinton, uno dei padri dell’intelligenza artificiale moderna, premio Nobel della fisica nel 2024, che aveva apertamente difeso l’opzione europea regolatoria come l’unica che consentisse una governabilità trasparente dell’evoluzione tecnologica. Una tipica scienziata della Silicon Valley, come la sino-americana Fei-Fei Li, l’inventrice del riconoscimento facciale da parte degli algoritmi, aveva a sua volta fatto notare che è indispensabile, per assicurare una reale innovazione, sia un ruolo pubblico nell’equilibrare le diverse spinte del mercato, sia un grande protagonismo delle procedure collaborative come l’open source.

Poi sono entrate in scena le ragioni geopolitiche e soprattutto i rapporti di forza, con lo scavalcamento, da parte di Trump, degli alleati europei nella trattativa con Putin sull’Ucraina e l’attesa dei dazi sulle merci dei Paesi europei da parte americana. Queste sono diventate esplicite minacce per i responsabili dell’Unione, che hanno creduto di contenerle omologandosi alle strategie digitali a stelle e strisce.

La portata di questa svolta negativa risulta ancora più preoccupante per via del silenzio con cui è stata accolta, oltre che dalla stampa, anche dalle forze di sinistra in Europa, che hanno ignorato completamente il dietrofront di Bruxelles. In particolare, in Italia, i partiti che si contrappongono al governo Meloni, con la sola eccezione dell’Alleanza verdi-sinistra, non hanno ritenuto di chiedere ragione all’esecutivo del suo comportamento a Parigi.

Infatti la delegazione Italiana, curiosamente guidata dal ministro per il Made in Italy, Urso, e non dai responsabili diretti delle strategie tecnologiche, aveva osservato un rigoroso silenzio, mentre infuriava la polemica fra la delegazione americana e i dirigenti europei. Silenzio che alla luce di quanto è poi accaduto, con la retromarcia forzata da parte dell’Europa, suona come un preventivo accodarsi di Roma agli ordini della scuderia americana. Un primato che dovrebbe essere contestato a Meloni non solo per motivi ideologici, ma proprio – come ha fatto notare l’interrogazione presentata dai vertici dell’Alleanza verdi-sinistra – perché in questo modo il governo sabota l’unica opzione che può permettere una crescita autonoma dell’Italia e dell’Europa nel settore dell’intelligenza artificiale, che è proprio la conseguenza di una sana regolamentazione antitrust, che apra gli spazi a una dinamica concorrenza. È una linea del fuoco su cui attendere che l’intera opposizione si ricomponga, sollecitando il sistema della ricerca e dell’imprenditoria nazionale a prendere posizione in difesa dei propri diritti e delle proprie reali e concrete possibilità di sviluppo.

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