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Vlora 1991: Storia di emigrazione, integrazione e umanità

Il caos suscitato dalle vicende drammatiche di questi giorni riguardanti la forte migrazione dal Nord Africa verso l’Italia, riporta la memoria a più di vent’anni fa, quando ad inondare le coste meridionali Italiane erano i profughi in fuga dall’Albania. 

La memoria corre veloce a quelle immagini folli, alla Nave Vlora che fa il suo ingresso nel porto di Bari nell’agosto del 1991, con a bordo 20.000 disperati che non avevano più nulla da perdere. Stipati sulla nave mercantile, che loro stessi avevano invaso nel porto di Durazzo, occupandola e obbligando il capitano a condurli in Italia, scappando dalla catastrofe post-comunista in cui era caduto il loro Paese d’origine. 

Le immagini che ritornano in mente sono altresì quelle delle popolazioni pugliesi, delle province di Bari, Brindisi e Lecce, che da quel giorno compresero sulla propria pelle il concetto di integrazione. Le similitudini con i fatti di questi giorni sono molteplici, in quanto le difficoltà di regolamentare i flussi migratori erano al centro di un dibattito politico che fece discutere molto e lasciava spazio a numerose interpretazioni, che naufragavano però davanti alla forza delle disperazione e del bisogno. L’impossibilità di fermare, aldilà del porto di Bari, Vlora carica di richieste di aiuto e speranze è l’impossibilità constatata in questi giorni di mitigare i flussi migratori dalle tribune elettorali in prima serata. 

Il capitano della nave Vlora forzò allora il blocco portuale, tra Brindisi e Bari, sostenuto dall’emergenza e dalle condizioni disumane dei profughi. Le autorità italiane locali nulla poterono se non provvedere ad organizzare una forma di accoglienza dignitosa, in pieno periodo di ferie e di difficoltà logistiche. Furono accolti tra il porto e lo Stadio della Vittoria, invasero i giardini pubblici di Bari, fino all’organizzazione della distribuzioni dei profughi tra diversi volontari caritatevoli, con in testa Don Tonino Bello. 

Ricordo con immagini chiare la corsa di tanti miei cittadini, dai piccoli paesi della provincia di Lecce, per accogliere e offrire un aiuto. Aldilà di ogni visione politica, il mutuo soccorso umano superò il timore e la diffidenza verso il diverso che fomenta il razzismo e le campagne elettorali. Ho frequentato la scuola elementare e la scuola media, come tanti miei conterranei, con tanti bambini albanesi, che vissero l’infanzia nel Salento e posero le basi per una vita dignitosa. La vita che cercarono disperatamente imbarcandosi sulla nave Vlora. 

Credo sia superfluo sottolineare come nemmeno allora i profughi giunsero in una terra prospera e ricca di lavoro. Ciò non fu di intralcio a risolvere con il senso cristiano dell’accoglienza e dell’aiuto verso il prossimo un situazione drammatica a pochi passi dalla tragedia. Ricordo la disponibilità di abitazioni, l’accoglienze presso gli istituti religiosi, la distribuzione di alimenti di prima necessità, le coperte e le lenzuola, l’ospitalità offerta presso le case nelle località marine, le famiglie che si offrivano di pagare i canoni di affitto. 

Lo ricordo bene perché le ho vissute respirando straordinaria normalità e naturalezza. Non si percepiva né sacrificio né reticenza, ma buon senso e umanità. Lo stupore negli occhi nel vedere una vasca da bagno, un tagliaunghie, gli spaghetti, maternamente offerti dalle signore del posto, che spesso per la prima volta si interfacciavano con persone di origine straniera.  

Lo spirito di comunità, piccola e semplice, fu un laboratorio di integrazione tra popoli, che, anche in quel caso, fu oggetto di affari loschi ad opera della malavita locale. Negli anni ’90 la cospicua migrazione era accompagnata dal malaffare e dai traffici illeciti, che ovviamente si nutrirono della disperazione di quella gente. 

Il quadro che ne viene fuori dalla mia memoria trova conforto in coloro che anche oggi si adoperano con lo stesso spirito verso nuovi migrazioni, le quali subiscono ancora l’assenza delle istituzioni, dei governi e la mancanza di umanità di chi potrebbe e dovrebbe agire per colmare lo strazio della miseria e della disperazione. 

In quei giorni si constatò l’assenza del Ministro degli Interni e del responsabile della Protezione Civile, presi di mira da coloro che si sostituirono nella gestione dell’emergenza. Furono anni in cui gli sbarchi erano la quotidianità su quelle spiagge che oggi sono meta di turismo di massa e rinomato. All’improvviso, nelle sere d’estate tra le località di San Foca e Torre dell’Orso, nella riserva naturale de “Le Cesine” (Vernole), la corsa di disperati impauriti diventò routine, come lo è oggi sulle coste siciliane.  Dai Balcani, dalla Turchia e dalla Grecia, continuano a giungere migranti sulle coste pugliesi, ma non fanno più scalpore forse perché poco numerosi o forse perché è meglio non disturbare a ridosso dell’estate. 

 

 (*) Assessore al Comune di Vernole (Lecce)

 

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