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La Milano di domani

La primavera ci porta verso le elezioni nelle aree metropolitane, da Torino a Napoli passando per Milano, Bologna e Roma. L’epoca che viene avanti ha come nodo territoriale le smart cities, ove precipita la conoscenza globale in rete. Più che guardare al dibattito politico, certamente importante, mi pare utile cercare di capire se dai mondi dell’economia e della società si diano voce e segnali alla politica. Segnali forti, se guardiamo “alla grande Milano supermetropolitana”, così definita dal presidente di Assolombarda Gianfelice Rocca nella prefazione del libro Milano Metropoli possibile, che raccoglie studi e progetti della rappresentanza di impresa. Partendo da una botta di orgoglio comunicativo sostenuta dai numeri: 123 imprese con fatturato superiore al miliardo di euro, ben più che Monaco e Barcellona, ben 3.100 sedi di multinazionali estere e, nel raggio di 60 km supermetropolitani, in quella che avevo definito la città infinita, si realizza un quarto del valore aggiunto manifatturiero e dell’export italiano. Ma, a proposito di conoscenza globale in rete, non ci si ferma a rappresentare il peso dell’industria, si guarda ai saperi della città universitaria ove risiedono più di 200 mila studenti. E’ un cambiamento di ruolo della rappresentanza di impresa, si va oltre il ‘900 della contrattazione tra capitale e lavoro e si assume il territorio, la città, come bene competitivo per produrre per competere. Da qui l’urgenza segnalata di mettere in cantiere “progetti bandiera” pubblico-privati nell’area del dopo-Expo, si guarda agli ex scali ferroviari, 1 milione di metri quadri in trasformazione, alla nascita del polo della città della salute, al futuro dell’ortomercato milanese, il

più grande d’Europa. Andando oltre la rappresentanza manifatturiera, si guarda alla logistica, all’agricoltura evoluta e al welfare. Scavando nell’antropologia socio- economica di Milano che è sempre stata un mix tra il fare impresa ed essere “città anseatica” dell’Europa dopo le Alpi. Un Giano bifronte nel suo sincretico essere tra nord e sud. Un po’ Barcellona e un po’ Monaco e Francoforte, non a caso le città più citate nella comparazione competitiva. La Milano supermetropolitana ha bisogno di reti di logistica funzionali per innovare la smart city di area vasta. Da qui l’attenzione ai grandi player delle società pubbliche locali, del trasporto (ATM, MM, Trenord), sino ad A2A, leader nei servizi ambientali, dell’energia e dell’acqua. Il tutto dà voce al piano strategico di Assolombarda per “fare volare Milano” che, partendo dal suo scheletro manifatturiero, si declina nelle cinque città che stanno in una: la città dell’innovazione, della bellezza, del fare, del benessere e della creatività. Questa è la smart city. Visione di una metropoli “possibile” che ritroviamo nel piano strategico metropolitano milanese elaborato dal PIM, che parte dalla metropoli reale istituzionalizzata, perimetrata urbanisticamente e socialmente. Tre milioni e 200mila abitanti, di cui mezzo milione stranieri, 288mila imprese, 533 start up, che attrae 13 milioni di visitatori e che mette al lavoro nell’intraprendere 2 milioni di addetti. Quello che colpisce è che sia Assolombarda, partendo dagli interessi, sia il PIM dal vivere e abitare la metropoli possibile, si ritrovano nelle parole chiave che per il PIM sono: una città agile e performante, creativa e innovativa, attrattiva e aperta al mondo, intelligente e sostenibile, veloce e

integrata, coesa e cooperante. Fossimo nel ‘900, ai tempi della società verticale, il microcosmo potrebbe finire qui. Segnalando alla politica i documenti del piano strategico confindustriale e del territorio metropolitano che verrà. Ma le smart cities, nel secolo della sharing economy, della società circolare, si basano nel loro divenire su una condivisione degli interessi e delle pratiche sociali, oltre che istituzionali. Non basta consegnare in alto piani e progetti, occorre capire quanto sono socialmente condivisi. Mi fa ben sperare un lavoro di inchiesta e mappatura dal basso, da microcosmi, realizzato nel tessuto carsico della città metropolitana da Avanzi, think tank sociale, presentato in Triennale. Sono state censite 174 pratiche sociali che tracciano segnali di futuro, che si possono scomporre e ricomporre in tre “grappoli” e che rimandano alla risposta mutualistica a bisogni sociali e problemi che il pubblico non è più in grado di risolvere, agli spazi per produrre e promuovere cultura, a cavallo tra impresa e partecipazione volontaria, alla produzione di beni e servizi innovativi, con capitale low cost basati su istanze collaborative di sobrietà e sostenibilità. Certo dai numeri potenti citati da Rocca nella supermetropoli si precipita nei casi degli orti urbani, dell’associazione culturale Banlieu, del CO+Fabb (spazio di collaborazione produttiva), delle social street, sino al ristorante in galera al carcere di Bollate. Sussurri da comunità di cura, si dirà, rispetto alle grida della comunità operosa. Ma la smart city che verrà, quella della sharing economy, non si dà che tenendo assieme le due polarità della città che viene avanti. Con un’attenzione in più. Presentando il progetto Segnali di futuro ho segnalato

che manca un atlante e una mappatura dei tanti casi di chiusure e rinserramento rispetto al nuovo che avanza. Nella sharing economy e nella società circolare che mettono in circolo piani, progetti, e pratiche sociali collaborative, ci sono tanti che sono e si sentono esclusi, si rinserrano nella paura del futuro e nel rancore. E’ il problema a tutti noto dei grappoli di disagio, di esclusione, del tema poco smart e molto hard della casa, delle periferie urbane e del lavoro. Sarebbe bello se il sindacato, la Confcommercio, gli ordini professionali e le rappresentanze dell’impresa diffusa, nella loro metamorfosi, oltre alle start up e ai fablab che fanno associazioni come Milano In, presentassero le loro idee della “città che viene” alla politica. A cui tocca, impresa difficile, tenere assieme le tante città che stanno in una: la smart city che verrà.        bonomi@aaster.it

 (*) Sociologo, fondatore e direttore dell’Istituto di ricerca Aaster

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