Anche il turismo è un flusso. E che flusso! Si stima una moltitudine affluente di un miliardo e quasi duecento milioni di turisti che sorvola il globo per atterrare nei luoghi e nei territori della bellezza e del loisir. Altra moltitudine da quella della diaspora dalla fame e dalle guerre, tanto per evidenziare le polarità sincretiche della globalizzazione ipermoderna.
Gli affluenti si muovono sull’onda delle interconnessioni dell’economia digitale usando e attivando il capitalismo delle reti soft ed hard per visitare i luoghi. Anche l’economia del turismo è in metamorfosi. Forse con più velocità di quella delle imprese manifatturiere. Per il turismo vale ancora di più quello che vale per la manifattura: non si compete solo tra imprese, ma tra sistemi territoriali. Che si quotano nel mercato globale per accaparrarsi quote di moltitudine affluente. Quindi si parte dai territori del sistema paese con le sue eccellenze, il suo ambiente, il suo paesaggio e la qualità della vita e del vivere. Lo spazio di posizione è fondamentale, ancor più che per le imprese manifatturiere, ed è la filiera territoriale che si fa spazio di rappresentazione nel mercato globale. Filiera che parte dal basso, dalla terra, dall’agricoltura, che ancor prima di diventare agriturismo, fa manutenzione del paesaggio ed alimenta la tipicità, l’enogastronomia e la qualità del food. Expo docet.
Così si produce l’ambiente dell’Italia borghigiana che si fa bellezza nelle nostre 100 e 100 città d’arte, con i parchi, che non sono solo conservazione ma rappresentazione di un ecosistema da turismo sostenibile. Partendo dalla terra si arriva al territorio, che è la costruzione sociale e storica, non solo delle città d’arte e dei borghi, ma anche del nostro fare artigianìa e distretti industriali, la cui mappa intrecciata nei territori della bellezza fa il made in Italy.
Così raccontato tutto si tiene. Ma sappiamo che spesso è stata aspra la tensione tra le company town dell’acciaio nel fordismo e poi capannoni proliferanti del capitalismo molecolare, con il fare turismo diffuso, manutenzione dei borghi e della loro bellezza. Anche se oggi, la cultura del fare impresa nel postfordismo, sia delle multinazionali tascabili che dell’impresa diffusa, ha incorporato il valore del territorio, non fosse altro che per il valore del brand del made in Italy nell’export.
L’Istat ha elaborato una mappa di 70 sistemi della “grande bellezza”, nei quali ricadono territori che hanno valore elevato e ben coniugato nella filiera agricoltura-patrimonio artistico e culturale- paesaggio e territorio produttivo. Ne ha censiti altri 138 connotati da «potenzialità del patrimonio e dei beni culturali» e 194 che definisce «volano per il turismo per le bellezze naturali». Ci sono anche 71 sistemi della «perifericità culturale», quelli che definiamo aree interne. Un margine che può diventare centro se si parte dalla convinzione del poeta Franco Arminio, che ogni anno organizza il festival della Paesologia. Non ci sono solo città d’arte e borghi della grande bellezza, ma anche il «resta lassù il paese» che oggi è un bene culturale vivente.
Se la rappresentazione del territorio è elemento fondante nel competere nei flussi turistici, emergono due questioni: quale governance e quale rappresentanza. Il rapporto nella rappresentazione del sistema Italia tra governo centrale e regioni, per fare diventare i distretti della grande bellezza il paese della grande bellezza, è questione a tutt’oggi aperta. Nella filiera territoriale sono coinvolte le rappresentanze dell’agricoltura, del commercio, delle imprese e del terziario. Occorre andare oltre una rappresentanza corporativa degli interessi realizzando coalizioni di territorio che riescono a fare rappresentanza e rappresentazione dei distretti della grande bellezza. Il che rimanda anche all’individuare le autonomie funzionali di questi territori nel rapporto tra economia dell’esperienza e il turismo. Che, sarà bene ricordare, è quel fattore per cui se beviamo un caffè in piazza San Marco a Venezia lo paghiamo ben oltre il bar sotto casa. Ben contenti di esserci bevuti con il caffè, il campanile di San Marco.
Ecco, le autonomie funzionali del turismo oggi sono i beni culturali che la lunga deriva della storia ci ha regalato come patrimonio competitivo. E anche il fare musei aperti ai tempi del locale che si rappresenta nel globale. Tutti punti della rete territoriale che va interconnessa, per fare sistema-paese competitivo, da una logistica hard e soft con ferrovie, porti, aeroporti e banda larga che la tengono assieme. Interrogandosi sui flussi di reti come AirB&B che ci fa diventare tutti albergatori, provocando opportunità e proteste nella fase che ormai in gergo chiamiamo dell’uber izzazione.
Pare che questa complessità di quadro, necessaria per fare turismo dei territori nella cornice del sistema paese, sia nell’agenda della politica. In questi giorni si è tenuta una prima convention sul turismo sostenibile che rimanda al territorio: una maratona dei soggetti necessari per camminare nei territori. Sono importanti i giovani ritornanti in agricoltura, nelle aree interne, nei parchi; gli smanettoni della creatività, eventologi nella rappresentazione dei borghi e delle loro bellezze che fanno un imponente lavoro di marketing dei territori con i Comuni, le Regioni, e le rappresentanze dell’agricoltura e del commercio che tengono assieme Km 0 e reti lunghe del turismo. Gli spazi commerciali di qualità nei centri storici vanno tenuti e ristrutturati assieme alle imprese del territorio che hanno capito che la grande bellezza veste la qualità dei prodotti industriali. C’è effervescenza dal basso e nei territori. Alle Regioni e al Governo toccherà portare il protagonismo dei soggetti nella modernità del fare turismo all’epoca della moltitudine affluente.
(*) da bonomi@aaster.it