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Un valore collettivo in un luogo e per un luogo

Vado a trovare El Rojo per avere una sua opinione sulle “comunità energetiche”. Sono interessata ad ascoltare le considerazioni di chi gestisce un’azienda agricola con energia prodotta da fonti rinnovabili, che usa forme avanzate di ciclo e riciclo delle produzioni e degli scarti che, nei periodi di minor consumo e maggiore produzione, vende le eccedenze al Gestore dei Servizi Energetici. 

Sono venuta per sapere che cosa ne pensi delle comunità energetiche. Mi interessa raccogliere le considerazioni di chi tratta agricoltura e zootecnia come settori capaci di produrre oltre all’energia alimentare anche altre forme di energia (elettrica, gassosa, concimi, carbonio …) dai cicli produttivi e dal riciclo degli scarti. Il tuo casaletto è un ecosistema in equilibrio capace di esportare prodotti ed energia pulita, importando quasi nulla. Che cosa mi dici?

Delle comunità energetiche, della loro filosofia e del loro essere presupposto dello sviluppo sostenibile, legato alla produzione di energia da fonti rinnovabili, penso tutto il bene possibile. Per chiarezza, vista la seconda parte della domanda, devo dirti che non possiamo né dobbiamo confondere le comunità energetiche con quello che ho realizzato nel mio casaletto. È vero che qui uso quasi esclusivamente energie da fonti rinnovabili (traguardo che raggiungerò quando disporrò di un trattore a trazione elettrica) ma l’ho realizzato in solitudine, come un qualsiasi imprenditore che, partendo dalle sue appartenenze culturali, ha valutato le convenienze realizzando impresa e processi. Purtroppo non ho trovato compagni di strada e non sono riuscito a creare con nessuno sinergie su obiettivi comuni.

Ora i vicini cominciano ad affacciarsi e vedono i vantaggi di un’azienda che offre prodotti nati in un ecosistema in equilibrio; non devo neanche scrivere prodotti biologici, ecc.; chiunque venga, vede e capisce rapidamente. La mia condizione gode di un importante favore di mercato che sta commuovendo i vicini, facendoli avvicinare. Mi dispiace che la vera scintilla dell’interesse siano i vantaggi del mercato, ma tanto è, e la cultura che lo racchiude ne uscirà rafforzata e socializzata.

Mi sembra molto chiaro, ti promuovi come imprenditore ma ti rammarichi per la non riuscita come uomo sociale capace di costruire obiettivi e azioni comuni?

Esatto. Le comunità energetiche sono un luogo in cui più soggetti si danno come obiettivo comune (e da qui il termine comunità) quello di usare i paradigmi dello sviluppo sostenibile, inizialmente nella produzione di energia e poi con l’uso dell’economia circolare.

Per il casaletto devo confessare che sono molto contento di essere arrivato all’autonomia energetica in una situazione di (relativi) alti consumi data la vastità e la molteplicità di coltivazioni e allevamenti. Ripeto però che le comunità energetiche sono altra cosa, hanno valore collettivo e sono realizzate in un luogo e per un luogo che comprende molti soggetti.

Quello che è stato realizzato al casaletto è una sorta di coitus interruptus che non genera nulla se non vantaggi personali, non genera comunità con l’obiettivo collettivo di raggiungere un altro sviluppo con un altro modo di produrre energie.

Vuoi dire che le comunità energetiche possono essere un avamposto dello sviluppo sostenibile?

Esatto, ma per ora il casaletto lo è nelle tecnologie ma non nella sua organizzazione e appartenenza sociale. Sono solo, e le eccedenze produttive non le cedo alla comunità e alla società, quindi non ne faccio un atto di solidarietà sociale ed ecologica. In questo modo sono un avamposto misero, bello da vedere, ricercato dal mercato e dagli avventori, ma somiglio più all’avamposto di Balla coi lupi; per carità, è bello e curato ma isolato socialmente e culturalmente (almeno dalla cultura delle lobby che governano i processi e non mollano né reti, né fonti fossili, né GSE).

Certo, nessun individuo è una comunità per cui è giusta la differenza che poni. Costruirsi la propria autonomia energetica è un dato imprenditoriale, incide sui comportamenti e le economie individuali, non entra nella formazione di valori e ricchezze collettive. Purtroppo l’interpretazione sociale prevalente non è univoca e i pochi interventi fino ad oggi realizzati sono più simili alle azioni individuai.

La confusione non è solo nella società; abbiamo anche incertezze e confusioni normative e istituzionali. Per capire dove e come si possono ottenere i finanziamenti, servono i cani da tartufi. Non è un caso che sia solo di questi giorni l’annuncio da parte del Ministro riguardante un decreto legge. Spero solo che lo facciano presto.

Ma secondo te dove risiede il motivo di questi ritardi?

Ti ricordi la storia che “a pensar male si fa peccato ma …” ?; il dato è semplice e lo accennavo prima: le comunità energetiche entrano in conflitto con i valori delle reti e il sospetto che i ritardi derivino proprio da questo, c’è. Le comunità energetiche appartengono allo sviluppo sostenibile e quindi al cambiamento radicale di quanto espresso dalla storia di questi ultimi secoli. I cambiamenti storici non si improvvisano e non si devono improvvisare. Cambiare il modo di produrre ricchezza colpisce i ricchi che detengono i processi, ma anche i tanti che vivono di questi processi e che devono essere accompagnati nel cambiamento. Avanti tutta quindi, ma coinvolgendo, creando occupazione e vantaggi; niente proclami e medagliette al merito ma un lavoro culturale e propositivo che si produce e soprattutto si riproduce attraverso il raggiungimento delle convenienze, della salute del pianeta, della salute degli individui, dell’occupazione con la cultura e la bellezza dell’equilibrio.

Chiaro. Ma giacché hai nominato il GSE, le eventuali eccedenze dove andranno? E i fabbisogni energetici aggiuntivi delle Comunità (come per te il carburante del trattore) dove saranno presi?

Superata la fase di abbrivio, le Comunità Energetiche entreranno senz’altro in un regime di autonomia rispetto alle attuali reti energetiche. Ed è chiaro che è anche questa l’ipotesi che crea conflitto.

Per le regole dello sviluppo sostenibile, realizzato anche con la crescita e la diffusione virtuosa delle Comunità Energetiche, si arriverà più facilmente alla marginalizzazione delle reti, a un loro nuovo peso e nuova presenza sul territorio, a ruoli ad oggi inediti nella governance territoriale, sociale e dei processi. Mentre gli eventuali fabbisogni aggiuntivi troveranno meccanismi interni o consortili di compensazione, le eccedenze, che oggi vengono date al GSE, troveranno mille  occasioni per essere vendute o scambiate in loco. Pensiamo solo allo sviluppo della mobilità elettrica e alla necessità di dotare i territori con colonnine di ricarica per utenti in transito. E questo è solo un esempio dei tanti che possono essere legati agli accumulatori, ai contratti di scambio, ai consorzi e a tutte le iniziative che un altro modo di gestire il territorio può suggerire e favorire. E perché non creare una rete di comunità o meglio ancora una rete di solidarietà? Lo sviluppo sostenibile è tale anche nella distribuzione della ricchezza e delle eccedenze.  

Il disegno è importante. Del resto la storia dell’uomo, nel suo rapporto con le trasformazioni territoriali, è scritta nei parametri uomo-energia.

Nulla di più vero. Prima dell’uso dei fossili e della successiva costruzione delle reti per l’energia e la mobilità (e quindi al netto di quella umana e animale), la dimensione dell’abitato era legata indissolubilmente alla possibilità di approvvigionamento degli alimenti, delle fonti per riscaldamento, dello smaltimento (rifiuti e liquami). Non era indifferente la localizzazione di campi e boschi; tutto doveva essere trasportato da uomini e animali coadiuvati da poche tecnologie collaborative. Lo stesso carbone vegetale nasce per trasportare una fonte energetica più efficiente, meno pesante e meno deteriorabile del legno. Stesso discorso vale per gli alimenti essiccabili e conservabili (graminacee, cibi proteici essiccati o affumicati, ecc.) che possono essere stivati e trasportati con carri da territori lontani rispetto ai luoghi dell’abitare.

Mi stai dicendo che prima delle reti energetiche e della mobilità meccanica il mondo insediativo era un susseguirsi di Comunità Energetiche?

Certamente. Gli studi su questi argomenti sono molti e molto interessanti. Solo per riportare alcuni dati sappiamo che i luoghi dell’abitare avevano un intorno per produzioni energetiche mediamente di 50/60 volte il loro raggio. Anche il lavoro e la divisione del lavoro era formata e misurata in gran parte su questo.

Chi fa entrare in crisi il tutto sono i boschi che non si rigenerano con velocità.

È chiaro; i grandi agglomerati urbani nascono con lo sviluppo industriale e quindi con l’energia prodotta da fossili che rompe il vincolo dimensionale del legno?

Mi prendo il tempo della risposta per due precisazioni. La prima è che l’abuso del carbone per uso urbano e industriale crea rapidamente problemi d’inquinamento circoscritti ma identici se non superiori a quelli che conosciamo oggi, per cui le città industriali devono adottare contromisure per le aree più colpite. La seconda è che le Comunità Energetiche pre-industrializzazione hanno creato anch’esse molti problemi ambientali ed ecologici legati alla deforestazione prima dell’intorno e poi di aree vastissime (l’Islanda è l’esempio che in genere si porta).

Quindi?

La risposta è facile. Quando parliamo delle Comunità Energetiche dobbiamo essere certi di costruirle sul valore dell’equilibrio ecosistemico, su obiettivi comuni, su fonti rinnovabili e, grazie alle tecnologie oggi in uso, sull’economia circolare.

*Intervista redazionale a Ninni El Rojo (ecologista di Toledo), 18/12/2021

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