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Dalle comunità energetiche alle comunità sociali

Mai come in questo momento è stato attuale l’aforisma o battuta, a seconda che la si attribuisca a Eugene Ionesco o Woody Allen, “Dio è morto, Marx pure e anche io non mi sento molto bene”.

L’esito del voto del 25 settembre ci ha dato un governo di destra che dalla sicumera iniziale sta virando verso la prudenza con l’affioramento di non pochi segni di insofferenza nei rapporti tra i soggetti fisici e politici che lo compongono. Il fronte di opposizione è, a sua volta, diviso come non mai da astiosità umorali, preoccupato più di dare segni di vita che non di costruire una comune strategia di confronto/scontro, e assorbito, soprattutto il PD, da problemi di selezione di un gruppo dirigente, che potrebbe anche esser nuovo in termini di esperienze pregresse, ma è di sicuro vecchio in termini progettuali.

La società civile, per parte sua, si rinchiude sempre più in un pantano di ostilità e indifferenza verso le Istituzioni e chi le governa, talché è più che plausibile prevedere che l’area del 40% di astensione dal voto nell’appuntamento elettorale del 25 settembre scorso oggi si sia ampliata, mentre l’area dei votanti, anziché farsi parte attiva a sostegno o contro i provvedimenti in fieri, annunciati o attesi,si arrovella in un chiacchiericcio social sempre più ridondante e confuso.

In un contesto del genere è facile che fioriscano qui e là azioni di protesta; al momento la più idiota è quella di alcuni giovani che vanno a spruzzare coloranti sui quadri in un museo o su qualche statua, ma potrebbero venirne fuori di ben più gravi.

Il grosso di queste iniziative può essere neutralizzato, adottando una buona volta la strategia del silenzio, tenuto conto che le sortite idiote e forse anche le aggressioni ai danni di donne ed emarginati hanno come fattore motivante il bisogno di chi le compie di conquistare uno spazio di visibilità televisiva e social.

Le trasgressioni individuali sono, però, solo un aspetto del disagio sociale; ben più preoccupante è la cesura del rapporto di fiducia tra un’area sempre più vasta di cittadini e cittadine e le Istituzioni, perché potrebbe dar luogo a un movimentismo confuso e, forse, anche al risvegliodel fenomeno della violenza armata.

Per contenere al massimo questa deriva occorre ricostruire l’impegno civile su obiettivi di interesse diretti dei singoli cittadini, quali che siano le loro diversità di latitudine, genere, età, razza, religione, livello di scolarizzazione e cultura.

Nella dimensione italiana il vuoto maggiore che si riscontra sempre più ricorrente è la mancanza di spirito comunitario, il NOI, la condivisione delle gioie e dei dolori, il confronto, la solidarietà, la determinazione a promuovere iniziative finalizzate all’interesse comune e non individuale.

L’ideazione di un grande progetto strategico di ampio respiro è di sicuro auspicabile, ma è opera che richiede tempi lunghi sia nella fase ascendente dell’ideazione e della verifica del consenso, sia in quella discendentedell’esecuzione; si pensi solo al paradosso dell’idea balzana di una parte di mondo politico nazionale, che pretende di imboccare la strada della produttività dei procedimenti e degli apparati del sistema pubblico, partendo dall’autonomia regionale differenziata, che cristallizzerebbe il divario economico tra l’Italia Centro-settentrionale e quella meridionale e spaccherebbe socialmente il Paese o la Nazione, che dir si voglia.

Su tematiche ormai mature, quali quelle dell’indispensabile riduzione della dipendenza dai combustibili fossili e di alleggerimento del carico dei costi energetici sui bilanci familiari, sembrano, invece, più che maturi i tempi di un colpo di reni del protagonismo sociale soprattutto a livello territoriale, nei comuni minori, nei quartieri delle città. Si tratta di dar vita ad un Movimento costruito su contenuti fortemente propositivi e su momenti di mobilitazione diffusa.

Se riflettiamo sul fatto che la media di installazione degli ultimi tre anni di impianti a fonti rinnovabili è stata pari a soli 0,56 GW, l’obiettivo del PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia Rinnovabile) di raggiungere entro il 2030 l’installazione di 70 GW di nuovi impianti si raggiungerebbe niente meno che tra 124 anni.

Dinanzi a tempi biblici di questa portata l’attenzione dei Governanti, scudati certamente dall’incalzare degli eventi, ma anche da scarsità di informazioni e forse da una buona dose di malafede, si sposta sulle piattaforme di rigasificazione e sulla riscoperta del nucleare di 4° generazione, che non si sa bene cosa sia e che in un Paese ad alto rischio sismico, qual’è il nostro, è da escludere oggi, domani e sempre.

Il colpo di reni del protagonismo sociale deve spingere in tutt’altra direzione: realizzare in tre anni, non di più, nei comuni fino a 50.000 abitanti impianti per la produzione di energia solare ed eolica per la produzione di quei 70 GW necessari a sostituire il 70% del gas russo.

Come è noto, i 59 milioni 285.000 italiani sono distribuiti in 7.904 comuni; di questi, 5.535 (70,03%) sono quelli fino a 5.000 abitanti, seguiti da un secondo blocco di 2199 che ospita da 5001 a 50.000 abitanti, per un totale di 7.834 comuni. La differenza tra 7904 e 7834 identifica i 170 comuni con popolazione al di sopra delle 50.000 unità.

Se nei 7.834 comuni fino a 50.000 abitanti si costituissero comitati promotori delle CER (Comunità energetiche rinnovabili) locali, coinvolgendo le Amministrazioni e chiedendo il supporto della facoltà di ingegneria dell’Università più vicina, si creerebbero in loco le condizioni per realizzare interventidi buon livello tecnico. Tra l’altro, le Amministrazioni dei Comuni fino a 20.000 abitanti, quelle carenti di risorse economiche e di personale,potrebbero far ricorso al fondo di 2,2 miliardi di Euro messo a disposizione dal PNRR(Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza).

Una rete di iniziative diffuse e collegate tra loro, nata dal basso, favorirebbe la rinascita dei rapporti comunitari, perché gli obiettividell’iniziativa verrebbero di sicuro interiorizzati da ogni membro della Comunità locale, che forse si libererebbe dal digitalismo compulsivo; mettere a fattore comune il tetto di casa, l’uso di un terreno, le scelte progettuali, la gestione per ottenere un miglioramento reddituale stabile, derivante da una riduzione dei costi per i consumi termici ed elettrici, può essere più gratificante di quanto non possa essere il beneficio, pur apprezzato, dell’assistenzialismo deresponsabilizzante a favore di molti e inadeguato per quanti si trovino in condizione di disabilità per ragioni di inabilità fisica e/o senile. 

Contemporaneamente, un’operazione del genere contribuirebbe in maniera concreta a contenere i fenomeni di deterioramento del clima e delle condizioni di vita del globo terrestre diventando così fonte di gratificazione e affiatamento; certo non basta da sola a far fronte ai cambiamenti climatici, alle crisi che investono l’ordine politico mondiale, la profonda trasformazione dell’economia e dei rapporti di lavoro, ma di sicuro è sulla linea giusta. Tanto più lo è, se consideriamo che utilizzando la tecnologia immersiva del Metaverso, sarebbe possibile realizzare, in maniera omogenea, a distanze elevate e su larga scala, la formazione sui contenuti professionali richiesti sia in fase di esecuzione degli impianti che in quella di gestione. 

In poche parole entrerebbero nel mondo del lavoro alcune migliaia di giovani, da quelli impegnabili in lavori manuali di installazione oggi e di manutenzione domani, a quelli destinati alle mansioni tecniche, quali ingegneri, periti, informatici, agli specialisti gestionali, quali dottori commercialisti, giuristi, psicologi, comunicatori, ragionieri, contabili.

Il coinvolgimento delle Facoltà scientifiche delle Università dovrebbe rappresentare, infine, l’occasione di una messa a sistema della collaborazione interuniversitaria in campi di ricerca di primaria importanza; penso a quelli sulla produzione di nuove cellule fotovoltaiche da realizzare con materiali rinvenibili nel nostro Paese, caso mai anche dal riciclo di scarti e rifiuti; obiettivo questo imprescindibile, perché ad oggi buona parte dei pannelli solari arriva dalla Cina.

Dal mondo universitario italiano, intanto, sono già venute fuori innovazioni straordinarie nel campo dell’utilizzo dei pannelli a inseguimento solare, che sono già pronti all’uso e/o in corso di testaggio presso il Campus tecnologico ENEL Innovation Hub&Lab di Catania; è giunto il momento di industrializzarle e farne il fiore all’occhiello del comunitarismo energetico.

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