Lo scorso giugno, Unioncamere ha presentato Impresa in genere, il III Rapporto sull’imprenditoria femminile in Italia che riassume in 4 capitoli lo slancio che la female entrepreneurship ha dato all’economia del nostro Paese in tempo di crisi. L’asse dell’autoimprenditorialità, una delle leve su cui gli Stati Membri dell’Ue spingono per il rilancio dell’occupazione, sembra trovare una prima risposta nel nostro Paese, supportata da interventi che puntano a sostenere l’avvio di start-up innovative e dal forte contenuto tecnologico.
Il rapporto di Unioncamere conferma questa tendenza e traccia gli sviluppi di un’anima dell’impresa italiana che trae giovamento dall’iniziativa di migliaia di donne che hanno scelto di mettersi in discussione e di guardare al mondo del lavoro da libere imprenditrici.
Partiamo da un dato generale: nel 2015 il numero di imprese create da donne è stato pari a 1milione e 312mila unità (il 21,7% delle imprese italiane). In 5 anni le imprese “rosa” sono cresciute soprattutto nel settore terziario (+6,2%) con incrementi che hanno interessato tutti i comparti:
- •turismo (+17,9%)
- •sanità-assistenza sociale (+21%)
- •istruzione (+21%)
- •cultura-intrattenimento (12,8%)
Anche se i numeri, in termini assoluti, non sono ancora così significativi, la presenza di imprese femminili nel sistema produttivo italiano si va rafforzando, con elevati picchi raggiunti in specifici segmenti economici. Il settore della cultura e dell’intrattenimento rientra tra questi: oltre il 30% delle imprese “rosa” è attivo nel campo della gestione del patrimonio storico-artistico, così come nel campo delle cosiddette performing arts e delle arti visive. Le donne, si legge nel rapporto, “mostrano una maggiore propensione ad avviare imprese che svolgono attività di biblioteche, archivi, musei e altre attività culturali, e sono particolarmente attive in rappresentazioni, spettacoli, manifestazioni, convegni e fiere”.
Nel complesso, tra il 2010 e il 2015 è stata registrata l’apertura di 35mila nuove imprese femminili, un dato di assoluto rilievo nel panorama nazionale. Basti considerare che nello stesso arco di tempo il tessuto imprenditoriale italiano è cresciuto in tutto di 53mila unità. Di queste, dunque, il 65% sono state avviate da donne. L’aspetto ancor più interessante che emerge dal rapporto è che si tratta di imprese sempre più digital oriented, con una forte propensione all’innovazione, una spiccata connotazione multiculturale e un considerevole impatto in termini occupazionali (offrono lavoro a circa 3milioni di persone).
I primi due aspetti camminano di pari passo: il processo di impresa ruota intorno alla valorizzazione del bagaglio di competenze e conoscenze legate al mondo digitale (ma non solo a essa) che, leggendo i dati, interessa una fetta rilevante delle start-up innovative “rosa”. Le imprese femminili che, infatti, operano nell’area dell’economia digitale sono aumentate del 9,5% dal 2010 al 2015, un dato che in termini assoluti si traduce in una crescita di circa 1.800 unità nel 2015. Tra le attività maggiormente diffuse ritroviamo:
- •produzione di software e consulenza informatica (ambito in cui è attivo il 24,3% delle start-up innovative)
- •settore ricerca e sviluppo (17,4%)
- •servizi di ICT (13,7%)
Una crescita confermata da un dato su tutti: nel 2010 le start-up innovative femminili erano solo il 9,1% del totale, nel 2014 sono diventate il 15,4% (circa 600 imprese). Un processo di espansione che si riscontra in tutte le aree del Paese, trainato anche dalla presenza significativa di imprenditrici straniere (+121mila nel 2014, il 9,3% delle imprese create da donne) impegnate soprattutto nel settore della moda, dove quasi 30 imprese su 100 sono guidate da donne straniere.
Un orizzonte incoraggiante che mostra un costante interesse per le forme di auto-impresa e che valorizza il contributo delle donne alla crescita del tessuto economico nazionale.
La redazione di WeCanBlog