Il tema dei salari sta diventando sempre più centrale nel dibattito politico- sindacale. Con Roberto Benaglia, segretario nazionale della Fim-CISL, Facciamo il punto della situazione.
Segretario, incominciamo con le giornate di mobilitazioni, appena concluse, fatte insieme a Fiom e Uilm. Come sono andate e quali erano gli obiettivi?
Gli scioperi che abbiamo tenuto il 7 e 10 luglio come metalmeccanici sono stati un importante momento riuscito per tutta la categoria, nel quale i lavoratori sono scesi in campo per un obiettivo chiarissimo e fondamentale. Oggi noi lottiamo per la politica industriale e per riuscire ad avere strumenti che accompagnino il futuro di questa nostra grande industria, colonna vertebrale dell’economia del secondo paese manifatturiero d’Europa, dentro le grandi transizioni ecologica e digital. Le transizioni non vanno fatte contro o dimenticando i lavoratori: noi dobbiamo essere protagonisti. Purtroppo in questo Paese manca una cosa modernissima che è la politica industriale. Le imprese da sole non ce la fanno a gestire i grandi investimenti e i cambiamenti che questa vera nuova rivoluzione industriale comporta. È per questo che come sindacato dei metalmeccanici abbiamo voluto lanciare un segnale forte non solo al governo ma a tutti gli industriali. Dobbiamo cooperare di più per ottenere degli strumenti che accompagnino il futuro e sostengano oggi l’industria e la qualità dell’occupazione. Ricordo che di norma nel settore metalmeccanico vi sono salari più alti, posti di lavoro di qualità, più sicuri e meno precari: quindi è importante che tutto il paese con in testa il governo concretizzi questo risultato. Al governo chiediamo non solo più dialogo, peraltro già avviato, ma più risultati; vanno perciò varati programmi veri e propri a partire da settori come, ad esempio, automotive e siderurgia.
Il Paese ha bisogno di una efficace politica industriale, di un grande patto intorno alla transizione ecologica e digitale nella filiera metalmeccanica.Lei vede traccia di questo nella politica del governo?
Il governo sicuramente è consapevole, come lo erano anche i precedenti, che siamo davanti ad un profondo cambiamento, a una vera e propria rivoluzione industriale, che per i prossimi anni cambierà fortemente i connotati di tutta l’industria nel mondo, ma soprattutto di quella europea e italiana. Ma il problema non è di essere solamente consapevoli dei problemi, ma soprattutto di mettere in campo delle politiche. Noi denunciamo il fatto che in altri paesi europei, Germania e Francia in testa, i governi già da tempo hanno avviato politiche condivise e finanziate con le parti sociali, per poter sostenere queste transizioni. In Italia invece abbiamo fatto un gran quantità di interviste, convegni e incontri, ma siamo ancora all’anno zero per quanto riguarda gli strumenti. Soprattutto denunciamo un grande allarme, l’Italia oggi è fuori dalle rotte dei grandi investimenti sulla sostenibilità ecologica e digitale. Cito due casi: Intel la grande multinazionale di microchip americana che aveva bussato al governo Draghi per un investimento di 1500 posti di lavoro in Italia, oggi va ad aumentare i già consistenti investimenti in Germania e di quelli in Italia non si sa più nulla. Un altro dato che ci inquieta è che molte case asiatiche stanno investendo nelle cosiddette giga-factory, le fabbriche delle batterie per le auto elettriche, per la mobilità in Europa: peccato che tutti questi investimenti vanno ad essere oggi posizionati in Polonia, Slovacchia, Spagna, Germania Francia. Tutti paesi che hanno anche un costo del lavoro più alto del nostro, ma che ci stanno soffiando le opportunità di crescita nel futuro. Con lo sciopero abbiamo dato un segnale perché si inverta la rotta, si assuma la consapevolezza dei problemi e si riprenda un dialogo fattivo tra le parti sociali, non solo con i sindacati, per ottenere piani ambiziosi di governo delle transizioni.
A proposito di grandi sfide, qui c’è il rischio, come Paese, di sprecare il Pnrr. Che idea si è fatto di questi ritardi?
Leggiamo proprio in queste giornate che il Paese sta faticando a conseguire gli obiettivi prefissati. Anche noi lanciamo l’allarme: non è possibile sprecare o diluire una grandissima occasione di rilancio del Paese. Io vedo nel Pnrr una grande occasione per l’Italia, soprattutto per la creazione di quella competitività di infrastrutture che servono ad attrarre gli investimenti privati. Noi dobbiamo non solo spendere bene le risorse, non sprecarle o dispenderle in mille rivoli, ma dobbiamo far sì che per ogni euro del Pnrr speso ci siano ulteriori soldi che arrivino dai privati, da investire nel nostro Paese: ecco l’inversione di tendenza di cui abbiamo bisogno. Per questo anche noi chiediamo che tutto il Paese e le parti sociali siano coinvolti per stringere un grande patto e – soprattutto – valutare come sostenere la grande capacità d’innovazione che l’industria possiede. Il Piano industria 5.0 di cui già si parla – la digitalizzazione, le telecomunicazioni, la banda larga – sono sfide importanti che speriamo possano essere sostenute anche con una ridefinizione del Pnrr. Dobbiamo pensare soprattutto a dare più competitività e spinta alle tante PMI che costituiscono la manifattura italiana e che hanno bisogno di forti investimenti di sostegno.
Come sappiamo tra i punti deboli del nostro sistema economico c’è la piaga della precarietà, del lavoro povero e dei contratti pirata. Come giudica le risposte del governo a queste piaghe?
Per quanto riguarda il lavoro povero dobbiamo essere consapevoli che sta diventando una piaga evidente e certamente non accettabile. Siamo cresciuti in un mondo in cui se uno aveva un posto di lavoro, magari con sacrifici, poteva puntare su una vita dignitosa. Oggi non è più così, per le mille forme di precarietà e di lavoro intermittente e occasionale che si annidano soprattutto in settori del terziario. Bisogna assolutamente invertire la rotta. Siamo davanti ad una polarizzazione dell’industria, quella dei metalmeccanici che gira su salari e tipologie di contratti interessanti (anzi oggi mancano nel settore molte competenze dei lavoratori), mentre in altri ambiti abbiamo fasce di lavoratori poveri e precarietà che si stanno accumulando. Dobbiamo intervenire sul part-time involontario, per avere più continuità lavorativa; non abbiamo la bacchetta magica, certamente il lavoro è reso povero anche dai contratti pirata che sono una piaga che dobbiamo estirpare con norme chiare dal sistema economico occupazionale italiano. I contratti pirata devono essere banditi, nessun lavoratore deve essere abbandonato a sé stesso e ogni lavoratore deve aver diritto all’applicazione di un contratto giusto, come sono quelli firmati dai sindacati più rappresentativi CGIL, CISL, UIL. Il Governo deve assumere questa responsabilità: non basta allargare le braccia o lasciar fare al libero mercato; attorno a questo tema del mercato del lavoro italiano c’è un grande bisogno di confronto, anche con politiche attive e strumenti moderni. Tutti sappiamo che nelle economie moderne il lavoro a termine esiste, non ci scandalizziamo del fatto che abbiamo le stesse percentuali di lavoratori a termine di altri paesi europei; la grande differenza è che in altri paesi europei i lavoratori a termine possono godere di welfare, di formazione, di una promozione e di una capacità di inserimento nel mondo del lavoro che qui in Italia difficilmente abbiamo. Quindi non c’è bisogno di irrigidire il mercato del lavoro; noi come Fim e Cisl siamo disponibili a modernizzare il mercato del lavoro, a parlare di occupabilità, a dare alle persone giusti strumenti di tutela. E’ il tempo di permettere a ciascuno di avere competenze, di vederle riconosciute e ben remunerate. Questa è la sfida che un sindacato moderno riformista, che serve a questo Paese, deve poter affrontare.
Il salario minimo può essere un primo passo per il superamento del lavoro povero e precario?
Personalmente ritengo che intorno al salario minimo si stanno concentrando tantissime attenzioni e tantissime sensibilità: sembra la bacchetta magica, la formula che permette, magari con un cifra affiancata al tema del salario, di poter bandire qualsiasi precarietà. Mi sembra un progetto politico ma assai teorico, perché il lavoro povero è generato dal fatto che troppi lavoratori lavorano poche ore alla settimana e durante l’anno. Se ci sono 5 milioni di lavoratori che dichiarano meno di 10 mila euro all’anno di reddito, non è dovuto all’assenza del salario minimo, è dovuto al fatto che troppi italiani lavorano poco durante l’anno, perché non hanno occasioni e c’è troppo lavoro intermittente. Credo che il salario minimo legale non sia la risposta, dobbiamo invece far diventare il salario minimo contrattuale la vera risposta. Ovvero far sì che il salario dei contratti più rappresentativi, quelli firmati da CGILCISL e UIL, diventino il punto di riferimento in ogni settore. Ogni dipendente ha diritto di poter avere un salario di riferimento che deve avere un’origine contrattuale. Resta un grande cortocircuito, perché il salario minimo rischia di favorire l’uscita dai minimi contrattuali. Come sindacati metalmeccanici diciamo che un contratto nazionale è molto più ricco di un minimo tabellare. Con un contratto nazionale un lavoratore può avere anche scatti di anzianità, welfare, malattia, ulteriori maggiorazioni, tutti elementi che arricchiscono la prestazione, la tutela e le buste paghe dei lavoratori. Evitiamo un dibattito che la direttiva europea ha già chiarito; là dove, come l’Italia, la contrattazione è molto forte non serve un salario minimo legale, serve dare legalità e valore legale ai salari definiti dalla contrattazione sana e non dalla contrattazione pirata. È questa la via per poter dare una maggior risposta salariale ai lavoratori.
La via del governo pare essere quella della contrattazione e dei benefici fiscali. È sufficiente?
La via della contrattazione e dei benefici fiscali è una via molto interessante, non so se è sufficiente. Cominciamo col dire che da noi la contrattazione funziona, noi abbiamo ottenuto nel mese di giugno un aumento salariale di 123 euro, il 6, 6% di aumento di salari. Qualè allora il problema? Il fatto che un metalmeccanico di questi 123 euro ne vede in busta paga il 50% al netto, il resto è mangiato dalle tasse e da un sistema fiscale chiamato fiscal drag che sta tartassando le buste paga dei lavoratori dipendenti. Quando invece chi affitta una casa paga solo il 25% di tasse e lo stesso vale per chi gioca in borsa, è un’ingiustizia fiscale: un mondo alla rovescia dove chi vive alla catena di montaggio paga di più del ricco che gioca in borsa. Questo aspetto va rovesciato, chiediamo al governo di intervenire con una manovra fiscale che non solo tagli il cuneo come ora accade a partire dal mese di luglio e stabilizzi questo strumento, ma soprattutto permetta di intervenire e detassare gli aumenti contrattuali e gli incrementi di difesa del potere d’acquisto dei lavoratori. Solamente questa è la risposta, ci sono anche altre misure importanti a sostegno della contrattazione come quella di detassare i premi di risultato che oggi sono tassati al 5% e che sono una realtà molto forte e sempre più diffusa nell’industria metalmeccanica, e soprattutto aumentare i cosiddetti flexible benefit per far sì che i buoni welfare, che oggi sono incentivati e detassati solo fino a 258 euro (misura di 40 anni fa), siano finalmente incrementati su livelli importanti. Solamente mettendo mano a queste misure il governo potrà dare ulteriori risposte, oltre al salario minimo di derivazione contrattuale per un’inversione di tendenza che rilanci i salari nel nostro paese.
Cosa si aspetta dalla prossima legge di Bilancio?
La prossima legge di Bilancio è un banco di prova importante, perché dopo un anno che questo governo si è insediato con un’ampia maggioranza politica nelPaese e in Parlamento, sicuramente c’è il bisogno di vedere delle politiche sociali per il lavoro molto più robuste. Noi ci aspettiamo delle risposte molto forti per quanto riguarda la detassazione delle buste paga, il fatto che i lavoratori dipendenti non siano tartassati dal fisco come oggi capita con l’inflazione; ci aspettiamo anche misure di contenimento dell’inflazione, perché più l’inflazione è bassa più possiamo difendere le buste paghe dei lavoratori. Ci aspettiamo anche ulteriori interventi per quanto riguarda la previdenza: un tema che in questi anni è stato stirato e allungato nel tempo con interventi tampone. Noi dobbiamo dare finalmente una flessibilità in uscita ai lavoratori per quanto riguarda il rapporto con l’età anagrafica e soprattutto considerando i lavori più gravosi. Dobbiamo soprattutto dare ai giovani la speranza e la possibilità di una pensione dignitosa a partire dai fondi di previdenza complementare che vanno ulteriormente incentivati e detassati soprattutto per quanto riguarda i giovani. Ci aspettiamo soprattutto un metodo, un governo che ascolti le parti sociali, ascolti le ragioni del lavoro, non faccia solo di testa sua, non si chiuda dentro la maggioranza di governo. Abbiamo bisogno che il dialogo sociale, che in altri paesi è una grande forza, diventi anche nell’Italia di oggi uno strumento importante di condivisione di misure concrete. Serve grande pragmatismo, un efficace riformismo, non servono posizioni ideologiche dei sindacati. La Fim e la Cisl sono molto impegnate in questa direzione, vogliamo stare ben lontani da stereotipi per cui dopo le ferie estive si parla solo di possibile autunno caldo, abbiamo invece bisogno di confronti, proposte innovative e misure sociali che l’Italia può e deve costruire.