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Si fa presto a dire Sostenibilita’!

Questo contributo vuole richiamare l’attenzione su una certa “leggerezza”, pur a fronte di una riconosciuta e scontata importanza, con cui si vanno delineando prese di posizione e soluzioni rispetto al tema strategico della sostenibilità, i cui contenuti sono fondamentali proprio nella bilanciata combinazione di tutte le sue tre dimensioni: economica, ambientale, sociale. 

Si sono da poco concluse le molte iniziative, realizzate in tutto il Paese, nell’ambito del “Festival dello Sviluppo Sostenibile”, promosso e gestito da ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile), con partecipazione ed esiti giudicati nel complesso positivi. Personalmente, qualche mese fa (giugno 2023) ho potuto partecipare alla giornata conclusiva della “Settimana della Sostenibilità” promossa e organizzata da Confindustria Veneto Est, che rappresenta imprese e organizzazioni di un significativo e dinamico bacino economico-produttivo (Area Metropolitana di Venezia, Padova, Rovigo e Treviso). 

Va bene che nella giornata finale si espliciti l’auto-compiacimento per la buona riuscita dell’iniziativa, ma nei contributi che ho potuto seguire non ho colto una netta consapevolezza della grande sfida che il tema “sostenibilità” contiene, in termini di: una relazione diversa uomo-natura, la necessità di diversi equilibri socio-economici, l’imperativo di cambiare e passare a “creare valore in modo sostenibile”. Queste esigenze scuotono alle fondamenta il paradigma e i sistemi socio-economici per come son venuti sviluppando almeno dal secondo dopoguerra. 

Ho invece l’impressione che, come si fa con il pollo, ognuno prenda la parte preferita della sostenibilità…e tutti felici e contenti. Per esempio, ci si concentra sulla dimensione economica, per garantire durabilità alla propria impresa, e così si diventa e si è sostenibili. In diversi interventi, mi è parso che la soluzione al “problema sostenibilità” venga visto nel formare e rendere disponibili i “managers della sostenibilità”, magari per preparare “Report o Bilanci di Sostenibilità” ben fatti. Come se l’oggetto della sostenibilità fosse una buona “accountability”, con annesso documento che descrive iniziative e attività, e non fossero invece le politiche aziendali stesse, che stanno ovviamente in capo a imprenditore e leaders dell’organizzazione, non certo al “Manager della Sostenibilità”. 

La sostenibilità è implicata a “triplo filo” (ambiente, persone, società) con le scelte e le politiche “core” di una organizzazione, fino a estendersi alla necessità di rimodulare il suo stesso “scopo” (purpose), e a ridefinire le radici delle proprie scelte strategiche (adottando, ad esempio, la “triple bottom line” – environment, people, society – a fondamento e articolazione del proprio piano strategico). Si fa presto a dire Sostenibilità! 

Meno male che a quella giornata conclusiva sono intervenuti anche un Dirigente di Confindustria Nazionale ed Enrico Giovannini (fondatore e ispiratore di AsviS) che hanno richiamato alle sue dimensioni reali la sfida della sostenibilità. Ma non si può pensare che il tema della sostenibilità si risolva con la formazione e con la disponibilità dei “manager della sostenibilità”. Si farebbe lo stesso errore, a svantaggio beninteso delle imprese spesse, fatto nei decenni scorsi con la “Qualità”. Quando, allora, cominciarono a diffondersi i risultati più che promettenti del Total Quality Management (TQM), ci fu subito interesse. Ma l’applicazione del TQM non è una strada in discesa. E, difatti, in seguito, divenne più comodo imboccare la strada molto più facile delle certificazioni di conformità, che sono utili per presentarsi all’esterno e sui mercati, ma che solo marginalmente (e solo nelle versioni più recenti) spingono un’organizzazione a sviluppare una cultura interna aperta al miglioramento continuo, determinando benefici su performance risultati. 

Non si può pensare che il tema sella sostenibilità si risolva con l’assunzione del “manager della sostenibilità”. Così come il tema della qualità non viene risolto dall’Ufficio Qualità che, quando presente, si occupa per lo più di certificazioni, mentre il TQM indica chiaramente che mettere la “qualità” al centro dei processi produttivi comporta internalizzare nella propria cultura principi e pratiche importanti e impegnative, quali: 1. la qualità viene prima del profitto a breve termine, 2. orientamento al cliente, 3. focus sui processi per abbattere la barriera dei silos funzionali, 4. utilizzo di fatti, dati e appropriati metodi di misurazione, 5. rispetto per le persone e la loro umanità come filosofia di base per lo sviluppo della collaborazione partecipativa, 6. Sistemi e pratiche gestionali inter-funzionali. 

Adesso, quando parliamo di “qualità”, è quasi sempre persa la ricchezza e lo spessore sottostanti questi principi e contenuti del TQM, per come erano stati elaborati dalle imprese nipponiche negli anni ’50-’60 e successivi. Ora, ci limitiamo alla equazione “qualità = standard + conformità + certificazioni”. Spesso il responsabile della qualità è colui che tiene in ordine le carte e i documenti per le certificazioni di conformità. Ma non centra niente con il TQM. Se torniamo alla sostenibilità, vi sono segnali che indicano il rischio di prendere superficialmente o parzialmente i contenuti connessi. Pensare ad istituire il “manager della sostenibilità” è una soluzione tipicamente “funzionale”, che non risolve nulla. 

Inoltre, come già detto, vi sono imprenditori e managers che prendono dalla sostenibilità quello che più da vicino interessa loro. Così, certo, va bene imparare a guardare avanti (oltre il short-term), facendosi dunque carico della “durabilità” della propria organizzazione (sostenibilità economica). Ma, poi, ci si ferma lì, alla “P” di profit. Le altre due “P” (planet e people) restano nell’indeterminatezza. In particolare, l’aspetto “people” tende ad esaurirsi all’interno dell’azienda, quando avviene, guardando doverosamente ai dipendenti, ma fermandosi poi lì e tralasciando del tutto (o quasi) la società esterna e le comunità locali di riferimento (tanto, si pensa, diseguaglianze e diseguali opportunità sono problemi in capo ai sindaci, non di tutti noi e di noi che vogliamo essere “organizzazioni sostenibili” in particolare). 

La sostenibilità “à la carte” è una perdita di tempo e risorse. Non la si può affrontare così, o con leggerezza, aggiungendo una funzione nuova nel proprio organigramma (l’Ufficio Sostenibilità”). Siamo di fronte a un radicale cambio di paradigma, in cui serve tutta l’inventiva e la capacità di innovazione di imprenditori, leader e manager insieme, per declinare e sviluppare capacità di “creare valore sostenibile”, che è la sfida vera che sta di fronte agli attuali sistemi socio-economici. La capacità di “creare valore” è la “linea di ripartenza” sulla quale richiamare tutte le organizzazioni (aziende e altre organizzazioni nel privato e nel pubblico) per coinvolgerle in un percorso evolutivo. 

Si fa presto a dire Sostenibilità, necessaria per il bene nostro e delle generazioni a venire. Con la profonda convinzione che “Crescita” e “Sostenibilità” possono stare insieme e camminare fruttuosamente per il bene di tutti. Attualmente la situazione, dunque, si presenta ancora in fieri, in via di maturazione, sul versante critico della sostenibilità, e di una completa consapevolezza che su questo terreno vanno coltivate le idee-guida per il nostro futuro economico, sociale, come esseri umani. Un recente sondaggio Ipsos pubblicato dal Corriere della Sera del 9 giugno 2023, riporta che il 39% degli italiani conosce molto bene il significato della parola “sostenibilità”. Vero che il dato era il 7% 2011. Ma resta, comunque, che c’è ancora un livello basso di consapevolezza circa cosa implica la “questione sostenibilità”. 

Anche per fare una corretta informazione/formazione, va detto che se si confondono le diverse “dimensioni” della sostenibilità (ambientale, sociale, economica) come fossero “tipi” distinti di sostenibilità, si va incontro ad un errore culturale madornale. Non va mai scordato che “sostenibilità” è fondamentalmente una situazione di “equilibrio evolutivo” fra le sue tre facce/dimensioni di un’unica realtà, in cui la crescita economica può avvenire evitando i rischi connessi all’ambiente e con una attenzione continua per creare opportunità per le persone interne alle aziende e per tutti i soggetti e gli attori sociali che interagiscono nell’ecosistema sociale di riferimento di una organizzazione. 

Certo, servono sì leggi e regolamentazione, ma anche serve disseminare consapevolezza, attraverso informazione/formazione massiccia e corretta. Serve soprattutto, perché finora lasciate in disparte, coinvolgere le politiche e le pratiche delle organizzazioni (non solo delle loro associazioni di rappresentanza) perché sviluppino approcci nuovi e sostenibili nelle relazioni intense che intrattengono con i loro ecosistemi. Dunque, servono azioni e iniziative per attivare la responsabilità dei singoli, quanto quella della politica e dei governi, con l’aggiunta fondamentale della responsabilità delle organizzazioni in tutte le loro molteplici forme e dimensioni (private o pubbliche, grandi o piccole, profit o non-profit, in tutti i settori).

* Eraclitus e Partner EFQM 

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