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Un bel contratto anche per lo Stato!*

I bancari stanno per concludere il loro contratto. Si annuncia un aumento medio dei minimi tabellari di 435 euro lordi mensili. Indubbiamente un bel risultato che testimonia sia la forza dei sindacati dei lavoratori che lo stato di salute del complesso delle banche italiane. 

Il problema è quanti di quei 435 euro entreranno nelle tasche dei lavoratori e quanti invece finiranno in quelle dello Stato come contributi e imposte. Naturalmente contributi e imposte servono a pagare pensioni, servizi sociali, sanità e quant’altro è erogato ai cittadini italiani. Il problema è che quanto trattenuto a dipendenti e pensionati è molto, soprattutto se confrontato con quanto versato da altre tipologie di contribuenti. 

Seguiamo il futuro destino dei 435 euro. 

La retribuzione media lorda annua del settore si aggira tra i 40 e i 42.000 euro. Il lavoratore bancario medio, quindi, é tra i “ricchi” e non ha diritto al taglio contributivo di 6 punti fino a 35.000 euro. Dai 435 euro si deve quindi detrarre il 9,19% di contribuzione esistente nel settore. 

Dato il reddito imponibile del lavoratore medio, l’aliquota marginale Irpef nazionale è quella del 35%, da applicare all’aumento contrattuale al netto della contribuzione (395,02 €). Il netto percepito è pari quindi a 256,8 €.

Tuttavia la decurtazione non è finita: ci sono le addizionali Irpef regionali e comunali. A questo proposito ci sono i lavoratori “sfortunati”, che abitano nelle regioni con addizionali molto alte (Lazio, Piemonte, Campania) e quelli che abitano in regioni che applicano l’aliquota più bassa (Basilicata, Sardegna, Sicilia, Valle d’Aosta e Veneto).

Prendiamo ad esempio un lavoratore che abita nella prima città italiana, Roma, che “subisce” per questo un’addizionale regionale del 3,33% e una comunale dello 0,9%. Secondo esempio è quello di un lavoratore di una delle regioni con addizionale più bassa, che si vedrà applicata un’aliquota regionale dell’1,23% e una comunale dello 0,5%.

Al 35% di tassazione nazionale si deve quindi aggiungere un ulteriore prelievo variabile tra un minimo di 1,28% e un massimo di 4,23%. Il netto, conseguentemente, varierà tra un massimo di 251,7 € e un minimo di 240,1 €.

In conclusione: lo Stato, tra contributi e fisco, dei 435 euro lordi conquistati dal CCNL dei bancari per il lavoratore “medio” se ne prende tra il 42% e il 44%, in cifra assoluta tra 183,3 € e 194,9 €. Una cifra che fa una certa impressione. 

Ai lavoratori con qualifiche più elevate e con retribuzioni più alte della media va ovviamente peggio. A partire da poco più di 55.000 euro lordi di retribuzione nel caso del settore bancario, ossia poco meno di 2.800 euro netti mensili, che diventano 2,700/2.600 euro considerando le addizionali comunali e regionali, l’aliquota marginale da applicare agli aumenti di reddito sale al 43%. Quindi l’aumento del CCNL per questi lavoratori, una volta detratti i contributi, sarà soggetto a un’aliquota Irpef complessiva (nazionale e locale) tra il 44,28% e il 47,23%.

In definitiva, un aumento lordo di 100 euro per questi lavoratori si traduce in un aumento netto compreso tra 51 e 48 euro secondo il luogo di residenza. La metà dell’aumento va allo Stato!

Va relativamente meglio alle qualifiche più basse, con retribuzioni inferiori alla media del settore, che possono usufruire del taglio del cuneo contributivo e, a partire da gennaio, dell’unificazione delle aliquote del primo e del secondo scaglione. I lavoratori con retribuzione lorda tra 29.000 e 35.000 euro con aliquota Irpef nazionale del 35% usufruiscono del taglio contributivo di 6 punti. I lavoratori con retribuzione lorda tra 26.001 e 29.000 euro usufruiscono del taglio contributivo di 6 punti e della riduzione dell’aliquota Irpef dal 25% al 23%. I lavoratori con retribuzione lorda tra 15.001 e 25.000 usufruiscono del taglio contributivo di 7 punti e della riduzione dell’aliquota Irpef dal 25% al 23%.

E’ bene specificare, però, che anche per questi lavoratori i benefici sono minori di quelli che appaiono in prima battuta. Infatti vanno tenute in considerazione due conseguenze prodotte dal combinato disposto di taglio contributivo e aumento contrattuale.

Il taglio contributivo produce un incremento di imponibile che aumenta il livello di tassazione, riducendo l’effetto positivo del taglio dei contributi. L’aumento contrattuale, rafforzato dal taglio dei contributi, produce un aumento di imponibile. Gli effetti sono rilevanti perché nei primi tre scaglioni attuali (nei primi due a partire dal prossimo anno) le detrazioni per lavoro dipendente sono decrescenti all’aumentare dell’imponibile. 

In sintesi: aumento contrattuale e decontribuzione, aumentando l’imponibile, determinano una diminuzione della detrazione e quindi un aumento della pressione fiscale. Da considerare, inoltre, che il valore nominale delle detrazioni è fermo dal 2022 e queste sono quindi diminuite sensibilmente in termini reali nell’ultimo anno e mezzo.

Supponiamo, ad esempio, per una retribuzione di 23.000 euro lorde, un incremento contrattuale di 200 euro al mese. Dato il taglio del cuneo, gli oneri ammontano solo a 4,38 € (2,19%). L’imponibile di 195,62 euro produce un’imposta lorda di 44,99 euro; l’aumento di retribuzione imponibile rispetto alla situazione precedente causa una diminuzione della detrazione di 17,91 euro, cosicché l’aumento netto (che pure si realizza ed è apprezzabile) si riduce a 132,72 euro, pari al 66% del risultato contrattuale. Considerando infine le addizionali, l’aumento netto si riduce di una cifra ulteriore compresa tra 3 e 8 euro.

Grazie al taglio del cuneo e alla riduzione delle aliquote fiscali la situazione delle retribuzioni basse nel caso di aumenti retributivi (di natura contrattuale, di merito, per straordinari) gode certamente di una situazione favorevole, ma soffre comunque gli effetti di un sistema fiscale che colpisce in modo particolare il lavoro dipendente e, quindi, i risultati della contrattazione. E’ una considerazione che non deve essere dimenticata e che viene spesso ignorata dai media, anche quelli specialistici.

Il calcolo esemplificativo operato prendendo come riferimento il settore bancario si può ovviamente replicare in ogni settore contrattuale ricavandone i medesimi risultati. 

I medi/alti livelli sono taglieggiati da un sistema fiscale che riduce fortemente l’entità netta degli aumenti retributivi costringendo sindacato, imprese e lavoratori a ricorrere a ogni strumento utile per sfuggire a questa eccessiva pressione fiscale: social benefit, welfare aziendale, premi di risultato. 

Alle retribuzioni più basse è stato concesso il taglio dei contributi, che è però depotenziato dal sistema delle detrazioni decrescenti nell’Irpef, meccanismo attualmente reso più pesante dall’alto livello di inflazione.

La situazione delineata, seppure sinteticamente, pone in primo piano la necessità di una profonda revisione della struttura dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e rende urgente la revisione del disordinato sistema delle addizionali regionali e comunali. 

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