Il cambiamento climatico e la nostra consapevolezza che sia qualcosa di reale sono con noi ormai da diverso tempo. Il Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) è stato fondato nel 1988, la Conferenza di Rio che ha dato vita alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici è del 1992. Nell’ambito della Convenzione, sono state prese decisioni importanti, come il Protocollo di Kyoto (1007) e, più recentemente, gli Accordi di Parigi nel 2015, di Glasgow nel 2021 e di Dubai lo scorso dicembre. L’impegno è quello di cercare di mantenere il cambiamento climatico entro un aumento di 1.5 °C rispetto al 1990 tramite una riduzione drastica delle emissioni di gas climalteranti (o gas serra).
L’ultimo rapporto dell’IPCC assume una posizione, basata sui dati scientifici, molto chiara e senza dubbi sulle cause antropogeniche del cambiamento climatico. Vengono anche indicate alcune delle possibili soluzioni per poter mitigare i cambiamenti climatici e, cosa importante, il rapporto ci dice che siamo ancora in tempo per evitare le peggiori conseguenze del cambiamento; conseguenze di cui abbiamo evidenze continue (si pensi alle alluvioni dello scorso anno in Emilia Romagna o Grecia, o ai grandi incendi boschivi favoriti dal riscaldamento globale).
La riduzione delle emissioni di gas serra, in particolare anidride carbonica – CO2, è certamente la strada principale da seguire. Questo porta la necessità di decarbonizzare il nostro sistema economico. La decarbonizzazione è quel processo che punta a rendere neutrale rispetto al clima (zero emissioni nette) la produzione di energia ed il settore industriale, i trasporti e le produzioni agricole e forestali. Si tratta di passare dall’utilizzo di fonti fossili (petrolio, metano, carbone), a fonti rinnovabili (sole, vento, idroelettrico) per la produzione di energia e all’uso di materie prime rinnovabili.
Neutralità climatica non significa azzeramento delle emissioni, ma si tratta di raggiungere una condizione in cui la emissioni non altrimenti annullabili (ad esempio certe emissioni agricole non sono del tutto eliminabili) vengano compensate da una equivalente quantità di assorbimenti di gas serra, tramite soluzioni basate sulla natura (ad esempio forestazione, migliore gestione del suolo, sostituzione con materiali “verdi”) o soluzioni tecnologiche (cattura diretta di CO2 dall’aria – DAC; Cattura e Stoccaggio di CO2 – CCS) sulle quali la ricerca deve ancora andare avanti, anche per consentire una riduzione del costo.
In questo percorso, possiamo avere un aiuto da alberi e foreste.
Infatti, gli alberi e le foreste, grazie alla fotosintesi, sono in grado di assorbire l’anidride carbonica (CO2) presente in atmosfera e di stoccarla, sotto forma di biomassa (legno, sostanza organica nei suoli), negli ecosistemi. Inoltre il legno, materia rinnovabile, ricavato da gestione forestale sostenibile può sostituire materiali molto più “energivori” ed emettitori di gas serra (cemento, acciaio, alluminio). Si tratta quindi di mettere in campo azioni per preservare e potenziare la capacità di assorbimento del carbonio da parte delle foreste e di altri usi del suolo.
Allo stato attuale i sistemi forestali europei ci stanno già dando una mano dato che, nel loro complesso, assorbono circa il 10% delle emissioni della UE fornendo, inoltre, materia prima rinnovabile, posti di lavoro e generando un settore economico di tutta rilevanza. A livello globale tale contributo è del 30%: circa un terzo delle nostre emissioni totali sono assorbite dagli ecosistemi terrestri, soprattutto foreste, mentre un 20-25% è assorbito dagli oceani ma ancora circa il 50% finisce in atmosfera ad aggravare la crisi climatica. Anche per questo i leader mondiali a Glasgow nel 2021 hanno preso l’impegno di azzerare la deforestazione entro il 2030. Sicuramente la riduzione significativa, sino all’azzeramento, della deforestazione è cruciale, dato che oggi la deforestazione nelle aree tropicali contribuisce annualmente tra il 10 ed il 20% delle emissioni di gas serra.
La nuova strategia forestale dell’Unione Europea (e quella italiana) punta a migliorare la qualità, la quantità e la resilienza delle foreste europee (anche per adattarle al cambiamento climatico), anche mettendo in campo azioni di sostegno per i gestori forestali e la bioeconomia, puntando ad aumentare la sostenibilità dell’uso del legno, promuovendo l’uso a cascata a partire dal legname da opera sino all’uso della parte residua per valorizzazione energetica e chimica verde, preservando al contempo la biodiversità. E’ previsto che vengano piantati tre miliardi di alberi entro il 2030 che i cittadini potranno seguire direttamente tramite strumenti informatici.
Le foreste ci possono quindi aiutare. Possiamo certamente piantere alberi e farlo bene, particolarmente nelle aree urbane e periurbane e per aumentare la connettività tra città, campagna e foreste già presenti. Ma non dobbiamo pensare che possano essere la soluzione primaria, dato che questa è certamente quella di ridurre l’emissioni di gas ad effetto serra, abbandonando gradualmente, ma senza indugio, l’uso delle fonti fossili per la produzione di energia e decarbonizzando la nostra economia.
E’ una sfida che non possiamo perdere.
*Direttore dell’Istituto per la BioEconomia del Consiglio Nazionale delle Ricerche Direttore dell’Istituto per la BioEconomia del Consiglio Nazionale delle Ricerche