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Verso nuovi paradigmi di consumi e produzione energetica

Solo pochi decenni addietro si calcolava che se tutti i paesi in ritardo di sviluppo avessero raggiunto lo stesso livello di benessere dei paesi più industrializzati, alias la stessa impostazione culturale rispetto al consumo di beni e servizi, non sarebbero stati sufficienti cinque pianeti grandi come la Terra per contenere i rifiuti prodotti dalla popolazione mondiale. La preoccupazione principale era rivolta soprattutto agli scarti solidi più che all’energia degradata che si genera durante qualsiasi attività umana. 

Oggi siamo tutti convinti che il vulnus del nostro modello economico e culturale è legato a due fattori: la produzione e il consumo di energia. 

Se le azioni non sono conseguenti a questa presa di coscienza è solo per la difesa ad oltranza degli interessi economici di alcuni gruppi di potere; innanzitutto di quelli legati alla produzione di energia da fonti fossili e poi da quei settori economici che hanno interesse a mantenere la stessa modalità di produzione dei beni materiali. 

La transizione energetica verso la produzione da fonti rinnovabili è ormai avviata malgrado la resistenza al cambiamento di alcune economie (quelli con più alta impronta ecologica sul pianeta) e la diplomazia internazionale continua ad accumulare successi, come l’ultimo raggiunto in COP28, sul piano delle dichiarazioni di intenti favorevoli verso l’uso di energie pulite.

Il 2050 è un tempo ragionevole per una transizione di questa portata. Dobbiamo sperare che non sia troppo lungo per ridurre in maniera significativa il peso delle nostre azioni sul pianeta.

In qualunque modo, arriveremo comunque alla produzione di energia da fonti non fossili per un loro reale esaurimento o per nuove convenienze. 

La transizione energetica è incominciata anche se c’è ancora molto da lavorare. Basti considerare la lentezza ad avviare, con adeguati sostegni finanziari incentivanti, le Comunità Energetiche Rinnovabili, che avrebbero dovuto vedere operatività concreta in tempi rapidissimi e invece ci sono voluti più di due anni dall’emanazione della legge per pubblicare il decreto operativo sulle CER, pubblicato in questi ultimi giorni dal MASE. Certamente un ottimo risultato. 

L’accento deve essere posto anche sul consumo di energia e al modello economico e culturale che lo sottende.

Non dobbiamo dimenticare che anche la produzione di energie pulite genera degli impatti sulla biosfera e pensare di poter mantenere i nostri livelli di consumi, estesi a tutti i popoli che giustamente ne reclamano il diritto, non risolverebbe i problemi che oggi ci troviamo ad affrontare.

Il genere umano ha una forte resistenza ad accettare le nuove condizioni ambientali che i cambiamenti climatici ci impongono. 

Thomas Kuhn ci ricordava la necessità di un cambiamento di paradigma per aspirare a un reale sviluppo sostenibile. Oggi non possiamo che ribadire tale esigenza e dobbiamo necessariamente parlare di transizione culturale

Si potrebbero fare tanti esempi, ma prendiamone uno di attualità: la mancanza di neve nelle zone dove abitualmente era presente e non era mai mancata durante la stagione sciistica, a parte sporadiche carenze occasionali.  Per sopperire a questi inconvenienti si è adottata l’integrazione con neve artificiale. Orbene, siamo così assuefatti alla disponibilità di energia a basso costo economico (anche se ad alto costo ambientale) che oggi anche in assenza totale di neve si provvede all’innevamento artificiale.

I costi per mantenere lo stesso tipo di turismo di montagna aumenteranno in modo esponenziale con il crescere delle temperature fino a diventare tecnicamente impossibile una volta superata la soglia limite: lo zero termico di questi giorni è stato sull’arco alpino ben oltre i duemila metri.

Sicuramente complicato programmare una modificazione o una conversione del sistema turistico di quel segmento, ma non pensarci per tempo potrà significare un collasso improvviso doloroso ed economicamente devastante.

Non riusciamo proprio ad accettare che i processi ecosistemici andrebbero assecondati e non dominati stravolgendoli, per cui dobbiamo sciare anche quando non c’è neve, mangiare frutti fuori stagione, impermeabilizzare a dismisura gli insediamenti umani creando isole di calore, trasformare i fiumi in cloache tombate, e l’elenco potrebbe continuare a lungo.

Se non si avvia il processo di cambiamento, lento e complicato, verso un diverso modello economico e un nuovo stile di vita ci troveremo a rincorrere la necessità di produrre quantità sempre maggiori di energia per soddisfare le richieste di consumi energetici in continua crescita derivanti dalle nostre abitudini. E questo rischia di non funzionare anche nel caso di grande disponibilità di energia pulita.

Il cambiamento necessario consiste nel ridimensionare il delirio di onnipotenza dell’uomo rispetto alla Natura, che peraltro sistematicamente e sempre più frequentemente ci ricorda le reali consistenze delle forze in campo.

Che le azioni umane siano la ragione principale o solamente una concausa dei cambiamenti climatici in atto (e questo nessuno lo può contestare), la riduzione dei consumi smisurati (da attuare anche con politiche economiche e incentivazioni mirate) e la transizione energetica verso un modello produttivo centrato sulle fonti rinnovabili porterebbe senz’altro alla riduzione delle emissioni di CO2 in atmosfera e a dei vantaggi indiscutibili per il nostro pianeta e per i nostri futuri.

*Libero docente in Pianificazione Ambientale in università italiane e latino-americane

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