Con le proposte del governo viene eliminata una delle condizioni previste dalla riforma Dini del 1995 per il diritto ad accedere alla pensione contributiva: che il suo importo fosse almeno 1,2 volte quello dell’assegno sociale. Questo parametro ha subito, nel tempo, diverse variazioni. Quello in vigore adesso è 1,5, cioè pari a 755 euro (l’assegno è 502,77). Nella legge finanziaria 2024 si propone di abolirlo.
Al tempo della riforma Dini la mia opinione, da Segretario generale della Filcams era questa: “Questo requisito, per chi svolga lavori a part-time, o stagionali può non essere realizzato neppure con 20-25 anni di lavoro. (da Rassegna Sindacale n. 34 del 2 ottobre 1995). Aggiungo oggi: per una Colf o Badante neppure con 40 anni di lavoro regolare.
E non è che non ci sia stata una pressione unitaria della categoria. Si puntava a 0,8 volte. Inascoltati perfino dai coordinamenti donne. Si è rivista, anche in quella fase, la condizione concreta per la quale “anche dentro le organizzazioni sindacali hanno forza, voce e udienza i soggetti che sono forti nel mercato del lavoro. Del resto si è mai sentito di stagionali o lavoratori di piccole imprese che abbiano costituito Cobas o si siano autoconvocati?”.
Quindi con la nuova proposta si avrà diritto alla pensione ai 67 anni di Fornero e con almeno 20 anni di contributi, ma l’importo potrebbe essere anche la metà dell’assegno sociale.
Cgil Cisl Uil avanzano la proposta di una “pensione di garanzia per i giovani e le donne” in condizioni di precarietà. Cioé rimediare con solidarietà strutturata a vuoti di contribuzione. Assomiglia alla vecchia integrazione al minimo del regime retributivo, ma con un grosso inconveniente: a seconda di come congegnata potrebbe costituire un messaggio di questo genere: non disperatevi troppo per la irregolarità del vostro lavoro; un rimedio si troverà comunque anche se sarà esso stesso un rimedio povero.
Allora, tutto considerato, meriterebbe di essere ripescata una proposta spuntata a fine 2009 suggerita da Giuliano Cazzola e Tiziano Treu con la forma di un disegno di legge bipartigiano (il Riformista del 23 dicembre 2009) “orientata alla costruzione di un sistema pensionistico pubblico basato su due componenti o “pilastri”, entrambi a carattere obbligatorio: una pensione di base finanziata dalla fiscalità generale, su base universalistica, destinata a garantire, sia pure mediante la presenza e la maturazione di alcuni requisiti, a tutti i cittadini anziani prestazioni minime adeguate alle loro esigenze di vita; e una pensione di secondo livello calcolata secondo il vigente sistema contributivo, volta a garantire prestazioni aggiuntive correlate ai contributi versati dai singoli soggetti nel corso della loro vita.”
Io stesso e Angelo Mazzieri ci buttiamo a sostenerla (un articolo del marzo 2010 su una rivista semiclandestina denominata SOLCANDO); la condivide anche Romano Prodi il quale, quando si presenta la condizione del famoso “tesoretto” era per destinare la somma ad una riduzione del cuneo fiscale-contributivo del 5% per cominciare un processo che poteva portare a ulteriori riduzioni imputando gradualmente al fisco la pensione di base uguale per tutti.
La proposta, a quel tempo, fu affossata dall’opportunismo di chi riteneva fastidioso e difficile, nel rapporto con i lavoratori, un nuovo ragionamento sulle pensioni. E fu affossata dalla priorità dello “scalone” che poi, con la teoria dei “precoci” da tutelare ancora non si sa da cosa, ci portò alla bellezza di “quota 100”.
Sarebbe bene ripescare quella idea. Per ora se ne vede sempre all’opera la battaglia per la riduzione del cuneo, ma senza alcuna finalità di riforma.
Intanto per i giovani si insiste che gli farebbe così bene la pensione complementare, ma che loro non ne capiscono i benefici. Qualcuno pensa bene di renderla obbligatoria. Ma la pensione complementare è per chi ha retribuzioni ricche o almeno decenti e regolari. Come fa uno che non arriva alla quarta settimana a buttarsi in questa prospettiva?
Intanto si seguita a ridimensionare “opzione donna” che è l’unica misura a costo zero perché in regime totalmente contributivo. I movimenti delle donne balbettano e non si avvedono che per salvare questa misura sacrosanta, e magari migliorarla un tantino, occorreva bocciare quota 100 che nessuno può sostenere fosse per i più poveri.
Vanno riaffrontati altri due titoli:
- Colf, Badanti e Caregiver che con le attuali condizioni rischiano di stare ben al di sotto dell’assegno sociale
- Gli immigrati. O si fanno le convenzioni con i paesi extraUE, oppure se e quando tornano al paesello restituire quanto versato a Inps anche per favorire un loro turn over che se no sono spinti, contro i loro desideri, a stare in Italia fino alla pensione con annessi ricongiungimenti familiari.
*Presidente Professione in Famiglia