In questo articolo richiamiamo i contenuti di un lavoro di ricerca comparata su I minori ed i giovani a rischio di devianza: appunti sui sistemi di welfare regionali, recentemente pubblicato tra le ricerche del Centro Europeo di Studi di Nisida. Il Centro è incardinato all’interno dell’Ufficio Studi, ricerche e attività internazionali del Dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità (Ufficio IV del Capo Dipartimento).
Il disagio socioculturale e familiari degli adolescenti e dei giovani italiani è messo in luce da diversi studi recenti. Un primo importante indicatore di disagio riguarda il fenomeno della dispersione e dell’abbandono scolastico. Come si legge nel rapporto del Miur del 2013 sul territorio italiano «il fenomeno dell’abbandono scolastico continua a interessare in misura più sostenuta il Mezzogiorno, con punte del 25,8% in Sardegna, del 25% in Sicilia e del 21,8% in Campania» (La dispersione scolastica. Giugno 2013, p. 6). In aggiunta, l’incidenza di dispersione scolastica presenta cifre molto allarmanti soprattutto per quanto riguarda i minorenni stranieri (IV Piano di azione ed interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, Luglio2015). La gravità di questo fenomeno riguarda anche il fatto che esso di solito si tramanda di generazione in generazione contribuendo a riprodurre il circolo vizioso della mancata scolarizzazione dei padri che si trasmette sui figli. Sempre nel contesto scolastico ricerche recenti segnalano che i minori, se non evadono completamente dalla scuola dell’obbligo, vivono spesso una condizione di elevato impoverimento educativo di competenze necessarie per la loro crescita (ad esempio Save the Children 2015).
Crescente è anche l’allarme della cittadinanza italiana ed europea nei confronti del fenomeno della povertà minorile. Non è un caso che uno dei principali obiettivi strategici dell’Unione Europea è volto a contrastare i processi di riproduzione del sistema delle disuguaglianze di ordine sociale, economico, culturale ed educativo (Si veda ad esempio Verso una strategia dell’Unione europea sui diritti dei minori e la Raccomandazione della Commissione del 29 febbraio 2013 Investire nell’infanzia per spezzare il circolo vizioso dello svantaggio sociale).
Come è noto, in Italia il peggioramento delle condizioni di vita delle famiglie ha coinvolto in misura maggiore le famiglie numerose meridionali. Come afferma Enrica Morlicchio in un’intervista: «in soli due anni, tra il 2009 e il 2011, l’incidenza della povertà delle famiglie con tre e più figli minori, residenti nel Mezzogiorno, è passata dal 37 al 50,6 per cento: un balzo di oltre dieci punti percentuali».
Una delle questioni sociali più emergenti riguarda l’aumento crescente dei giovani italiani di 15-34 anni non più inseriti in un percorso scolastico/formativo ma neppure impegnati in un’attività lavorativa (i cosiddetti giovani NEET). In base ai dati contenuti nel rapporto Svimez del 2015, la quota dei giovani NEET nel 2014, rispetto agli anni precedenti, è aumentata raggiungendo un incidenza% del 27,4 (di cui il 38% nel mezzogiorno e il 20% nel centro Nord Italia). Sull’altro fronte, la crisi economica in atto rende ancora meno negoziabili le condizioni di lavoro dei minori, esponendoli ad ulteriori rischi. Una ricerca sul lavoro dei minori e dei giovani adulti in area penale, condotta sul territorio nazionale e promossa da Save the Children e dal Dipartimento per la giustizia minorile, ha quantificato che i minori tra i 7 e i 15 anni coinvolti in una qualche forma di attività lavorativa siano stimabili con il 7% della popolazione in età lavorativa: una stima in realtà calcolata in difetto e che soprattutto riguarda minori che anche per la legge italiana non dovrebbero lavorare. L’indagine ha poi reso evidente come il fenomeno del coinvolgimento dei minori in attività lavorative tagli in modo trasversale più dimensioni: l’istruzione, la salute, il mercato del lavoro, la sicurezza sociale, la crescita economica, la distribuzione del reddito e quindi la povertà economica e culturale dei territori e delle famiglie di appartenenza.
Un altro indicatore particolarmente significativo ed emblematico della condizione di malessere del minore a livello individuale e familiare riguarda il fenomeno del collocamento temporaneo dei minorenni al di fuori dalla loro famiglia in famiglie affidatarie e in strutture residenziali. Sono di solito minorenni di un’età compresa tra i 14 e di 17 anni appartenenti a famiglie povere e/o prive di adeguate competenze genitoriali o a famiglie multiproblematiche. Minorenni che si distribuiscono abbastanza equamente su tutto il territorio nazionale. Da una ricerca recente condotta dall’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza emerge che il 59% dei minori è collocato nelle comunità del Centro Nord e il 41% nel Sud e nelle Isole (La tutela dei minorenni in comunità, 2015). Specie nel mezzogiorno risulta inoltre che i minori collocati in comunità, difficilmente rientrano nelle famiglie di appartenenza.
In questo scenario brevemente accennato, presentiamo di seguito i primi risultati di un lavoro di ricerca documentale che esplora la dimensione normativa del disagio adolescenziale.
Il lavoro, interamente disponibile online, analizza e mette a fuoco gli orientamenti delle politiche e degli atti di indirizzo regionali dedicati all’inclusione dei minori e dei giovani che si trovano in condizione di disagio inteso appunto come disagio evolutivo, disagio socio-culturale e disagio cronicizzante per i minori e i giovani a rischio di devianza e di esclusione sociale. La ricerca inoltre esplora il grado di “interesse” dei territori regionali in merito allo sviluppo delle politiche penali di reinserimento sociale a favore dei minorenni e dei giovani adulti siano essi detenuti o in area penale esterna.
I risultati della ricerca-ricognizione hanno messo in luce che l’area della prevenzione del rischio di esclusione negli adolescenti e nei giovani, pur essendo prevista in gran parte dalle normative regionali, è spesso “posizionata” in leggi diverse tra loro. Talvolta è inserita nelle leggi di riordino dei servizi sociali. Talvolta nelle leggi dedicate ai minori, ma anche nelle leggi per i giovani. In quest’ultime leggi, tuttavia, spesso assume un aspetto residuale rispetto alle finalità delle leggi.
In particolare, si osserva che il numero di leggi dedicate all’area minori in generale diminuisce quanto più ci avviciniamo alle aree del Mezzogiorno. Ad eccezione in parte per la Regione Campania, per la Basilicata e per la Sardegna con leggi significative di inclusione sociale.
Il Mezzogiorno d’Italia risulta essere ancora molto debole negli strumenti normativi dedicati. Gran parte degli atti di indirizzo sono inclusi nelle leggi di riordino. Di fatto è il Piano Sociale Regionale che stabilisce gli indirizzi e le priorità, anche sulla base delle risorse economiche disponibili e degli Obiettivi di servizio.
Anche le politiche penali regionali dedicate agli interventi a favore dei soggetti detenuti o ex detenuti (siano essi adulti o minori) non sono esenti da discontinuità e disparità territoriali. Nelle regioni del centro Nord si osserva la presenza di leggi sociali “solide” volte al reinserimento sociale nei confronti di soggetti adulti e minori detenuti o ex detenuti che prevedono protocolli e strategie integrate di azione istituzionale. Nel Mezzogiorno, invece, solo in Sardegna si registra un alto livello di interesse ed uno spazio pubblico politico dedicato a queste politiche penali. Nelle restanti regioni di fatto gli interventi in area penale non sono sostenuti da leggi specifiche; essi infatti sono inclusi nelle normative generali sulla assistenza sociale.
Dai risultati si rileva la presenza di una disomogeneità dei sistemi di offerta territoriale degli interventi e servizi comunali ed una frammentazione e asimmetria delle politiche regionali dedicate alla prevenzione sociale ed al disagio adolescenziale.
La disorganicità e frammentarietà presente a livello nazionale si riflette necessariamente anche nelle legislazioni dei territori. Territori regionali che se da un lato risultano talvolta molto innovativi negli obiettivi, prassi e strumenti di governance, dall’altro il loro “sapere” si disperde nella frammentarietà dei diversi welfare assistenziali e nella difficoltà di monitorare e confrontare i processi ed i risultati delle politiche implementate.
* Centro Europeo di Studi di Nisida