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La patologia corporativa del liberismo all’ italiana

Sono molte e pericolose le spade di Damocle che pendono sull’economia italiana. Ci sono gli spazi ridotti della prossima legge di bilancio, l’entrata in vigore del nuovo patto di stabilità, i ritardi nell’attuazione del PNRR da negoziare con la Commissione, l’industria in recessione. C’è poi un elemento più profondo che sfugge alle analisi: sono anni che i governi italiani spendono in modo eccezionale tra sospensione dei vincoli di bilancio e piani europei per fronteggiare pandemia e inflazione ma la crescita e rimasta molto modesta. 

Il governo rivendica qualche decimale in più rispetto ad altri paesi europei, si tratta di dettagli dall’impatto minimo. Bisognerebbe domandarsi perchè l’Italia continua ad avere una crescita asfittica e una delle risposte risiede nella visione economica corporativa imbracciata dal governo Meloni. L’economia italiana resta poco liberalizzata e i settori coinvolti da patologia corporativa sono molti.

Il più noto e quello delle concessioni balneari su cui L’Italia, e non solo quest’ultimo governo, ha sempre resistito all’applicazione della direttiva europea che prevede la messa a gara per l’assegnazione delle concessioni. Il governo Meloni non è stato da meno e fino all’ultimo sta cercando di ritardare il disegno di nuove regole, nonostante l’Italia sia in procedura di infrazione su questo tema e rischi il deferimento alla Corte di Giustizia Europea. Questo per difendere i privilegi di una corporazione influente sul piano elettorale. 

L’Osservatorio dei conti pubblici dell’Università Cattolica aveva calcolato che i balneari pagano un canone cosi irrisorio da versare per lo sfruttamento economico di circa 4.000 chilometri di spiaggia pari circa a quanto incassa il Comune di Milano per i soli affitti dei negozi nella Galleria Vittorio Emanuele. 

Secondo esempio, i trasporti. La difficoltà di trovare un taxi nelle città e l’esclusione dal mercato di servizi a costi competitivi di piattaforme alternative, tipo Uber, sono il punto debole del turismo italiano. L’aumento delle licenze a Milano, Bologna e soprattutto a Roma non sembrano sufficienti a rispondere alla domanda. Le altre principali città, fra cui centri turistici come Firenze e Napoli, non prevedono aumenti di licenze. Il governo non ha un piano organico per assicurare la mobilità via taxi, portando le città italiane vicine al resto d Europa. 

Terzo esempio, il turismo. Bene combattere illegalità, evasione e insicurezza degli affitti brevi, ma anche su questo il governo si è fatto ricevitore delle richieste della corporazione degli albergatori. Ha imposto l’obbligo di permanenza nelle città metropolitane per almeno due notti, fatto scendere da quattro a due il limite di appartamenti in capo allo stesso proprietario, che possono essere messi in locazione con pregiudizio della proprietà privata e della concorrenza. 

Quarto esempio, l’agricoltura. Le proteste degli agricoltori hanno prodotto l’esenzione dall’Irpef fino a 10-15 mila euro, misura difesa anche dal Pd. Ma non si tratta di 10-15 mila euro di reddito, bensì di valori catastali dei terreni. In sostanza. avranno diritto a pagare pochissimo in tasse anche proprietari con molti ettari e redditi personali elevati, insomma un piccolo paradiso fiscale settoriale. 

Quinto esempio, la riforma dei capitali, E’ stata introdotta una normativa volta a rendere complicata la presentazione all’ assemblea degli azionisti di una lista del cda per l’elezione del successivo consiglio. Una regola che dà ai soci di minoranza un effettivo diritto di veto su molte decisioni in alcune grandi società per azioni. Appare ispirata da criteri corporativi e interessi particolari che non favoriscono la flessibilità del capitale e la concorrenza degli assetti proprietari. 

Considerate tutte queste incrostazioni, quanto mancherà ad un richiamo alla necessità di riforme strutturali da parte della UE? Quanto alla sfiducia degli elettori verso una classe politica che non garantisce equità ma assegna o tutela privilegi? Quanto ad un azzeramento della crescita anche per mancanza di dinamismo e libertà nell’economia italiana?

*Docente di Storia delle Istituzioni Politiche, LUISS

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