In un’economia umana non esistono né l’estrema ricchezza né l’estrema disuguaglianza. A tale risultato si può arrivare contribuendo a ridisegnare il mondo imprenditoriale e l’economia in modo da garantire innanzi tutto che non si generi eccessiva ricchezza (per esempio ponendo limiti alle retribuzioni degli alti dirigenti) e incoraggiando modelli di business che non forniscano immeritate remunerazioni agli azionisti.
In secondo luogo, l’eccessiva ricchezza può essere eliminata attraverso misure che mettano fine all’indebita interferenza delle élite nella vita politica ed economica. Al di là di queste azioni, il principale strumento per eliminare l’eccessiva ricchezza è l’imposizione fiscale. Le aliquote di fascia alta delle imposte sui redditi dovrebbero essere aumentate in tutti i Paesi: il FMI ha indicato per varie nazioni un range tra 50% e 70%, mentre Anthony Atkinson ha suggerito un’aliquota del 60% per il Regno Unito. I Paesi in via di sviluppo dovrebbero cercare di incrementare il più rapidamente possibile l’imposizione fiscale sui patrimoni (terra, redditi da capitale, proprietà ed eredità) poiché queste sono fonti di reddito di tipo progressivo. Il FMI ha dimostrato che è possibile intraprendere questa strada in molti Paesi, e in effetti molti lo stanno facendo.
Esistono inoltre varie altre politiche fiscali che, se attuate, potrebbero costituire un valido strumento per limitare l’eccessiva ricchezza:
• Una piccola Tassa sulle Transazioni Finanziarie, definita dal FMI “fortemente progressiva” in quanto sarebbe la parte più ricca della società a pagarla. Tale provvedimento arginerebbe anche gli eccessi del settore finanziario che si è rivelato un fattore determinante della crisi della disuguaglianza. Dieci Paesi europei hanno stabilito di applicare questa tassa. Si stima che basterebbe un’aliquota dello 0,05% circa sulle operazioni relative ad azioni, bond, valute estere e derivati per raccogliere 350 miliardi di dollari all’anno solo dalle transazioni effettuate negli USA
• Un’imposta sulla ricchezza globale come quella proposta dall’economista francese Thomas Piketty. Secondo principi analoghi e in base a dati Forbes del febbraio 2014, Oxfam ha calcolato che un’aliquota dell’1,5% sulle ricchezze superiori a 1 miliardo di dollari produrrebbe un gettito di 70 miliardi di dollari l’anno, se tutti i miliardari pagassero questa tassa. Un’entrata fiscale di tale entità sarebbe sufficiente a mandare a scuola tutti i bambini e a fornire infermieri, farmaci e altri servizi medici che salverebbero la vita a sei milioni di bambini nei Paesi in via di sviluppo. Si tratterebbe inoltre di una cifra abbordabile per i miliardari in questione che realizzano proventi oscillanti tra il 5% e il 10% dei loro patrimoni. Vari miliardari hanno acconsentito ad imitare Bill Gates donando una quota della loro ricchezza: un’iniziativa encomiabile, che tuttavia non sostituisce un’adeguata ed equa imposizione fiscale come sottolineato dallo stesso Gates .
• James Henry ha proposto una tassa sui patrimoni anonimi (AWT, Anonymous Wealth Tax) per i beni custoditi in società di comodo, trust e fondazioni di cui non sono pubblicamente riconoscibili gli effettivi titolari, i quali sono assoggettabili ad imposta. Per realizzare tale misura sarebbe sufficiente un accordo tra i pochi Paesi ricchi che rappresentano le principali destinazioni finali dei patrimoni anonimi. Henry stima che se tale tassa fosse applicata soltanto ai primi 50 tra banche private, amministratori patrimoniali, hedge fund e compagnie assicurative, un’aliquota AWT dello 0,5% fornirebbe da 50 a 60 miliardi di dollari l’anno, ossia al massimo il 10% del reddito annuo generato offshore da questi patrimoni. Una tassa di questo genere non soltanto incrementerebbe il gettito se il tasso di AWT fosse fissato ad un livello più alto dell’aliquota di imposta patrimoniale, ma innalzerebbe i costi del segreto finanziario e fungerebbe da incentivo affinché i reali titolari dei patrimoni svelino la propria identità.