Sulle sorti industriali di Stellantis bisogna attendere gli sviluppi degli incontri governativi e sindacali nei quali l’azienda presenterà il nuovo piano industriale. Si capirà così se quanto emerge dalle dichiarazioni della proprietà e del nuovo vertice Imparato, tese a rassicurare che sarà garantita la produzione in tutti gli stabilimenti italiani, saranno veritiere.
La crisi produttiva non colpisce solo Stellantis o l’Italia; ma, come abbiamo visto nelle scorse settimane, anche gli altri marchi e negli altri paesi europei, come in Germania, in Belgio… Resta il fatto che la questione è particolarmente importante per il Sud Italia.
Fiat, prima, FCA poi, hanno puntato il loro sviluppo e rinnovamento produttivo sul decentramento territoriale della produzione nazionale, inizialmente concentrata a Torino, aprendo fabbriche in tutto il mezzogiorno, fino a raggiungere i 2/3 dell’intera produzione nazionale… Termoli, Pomigliano, Cassino, Melfi, per concentraci sulle realtà più significative, sono diventate, nel tempo, quella corona di stelle, alla quale si ispira l’ultimo nome, in ordine di tempo, della multinazionale italofrancolandese.
L’economia meridionale, pur storicamente segnata dal pesante gap nei confronti del Nord, ha certamente beneficiato di questi investimenti, ma ha, altresì, garantito al Paese un ruolo strategico in uno dei settori produttivi più importanti e assicurato agli azionisti una straordinaria redditività degli investimenti fatti.
Il problema che si pone, dunque, ora, anche a valle dei processi di riorganizzazione degli anni scorsi, è in che misura questo valore aggiunto rappresentato dalla produzione meridionale di auto e di componenti continuerà a influenzare lo sviluppo della economia meridionale e, attraverso essa, quella nazionale… e non solo, vista la caratteristica globale del mercato automobilistico e di Stellantis stessa, il cui futuro, però, è fortemente concentrato in una specifica area geografica (il Sud) di un singolo Paese (l’Italia).
Eppure, questa decisiva battaglia non scuote fino in fondo l’opinione pubblica direttamente interessata. La solidarietà con i lavoratori è evidente, le istituzioni e la politica sostengono la domanda di continuità produttiva, ma non si avverte il senso di drammaticità che una crisi del settore automotive comporterebbe per l’intero mezzogiorno.
È probabile che ciò dipenda dalla trasformazione già avvenuta e ancora in evoluzione della economia del Mezzogiorno. I dati di questi ultimi mesi ci dicono di un Sud che cresce, in proporzione, più del Nord e ciò a motivo di una diversificazione, in atto da tempo, verso settori innovativi e tecnologicamente avanzati (digitale, logistica…), nonché per la impressionante esplosione turistica, con le ovvie conseguenze nell’indotto (food, ospitalità, tour, servizi).
Ma, proprio la vicenda Stellantis ripropone il problema del modello di sviluppo. Da troppo tempo in Italia manca quella che una volta chiamavamo “politica industriale” e che oggi possiamo ben allargare, come concetto, all’intera politica di sviluppo, che necessita, però, di una progettualità che parta dalle caratteristiche del nostro Paese, dalla sua storia economica e dalle sue vocazioni. In un’ottica di costante ricerca di pluralismo produttivo.
Consideriamo i tre principali caratteri del nostro Paese: abbiamo il 70% del patrimonio artistico e monumentale e una condizione naturale privilegiata; il che rende obbligatoria una politica culturale e turistica organica, non affidata ai flussi. Godiamo di una posizione geografica privilegiata: una piattaforma naturale nel mediterraneo che rende possibile svolgere un ruolo leader nella logistica.
Infine, ma proprio non ultimo, siamo il secondo paese manifatturiero d’Europa, condizione da conservare e migliorare. Questo ultimo risultato dipende molto, negli ultimi decenni, dall’ industria cresciuta al Sud. E se la Siderurgia ha avuto una crisi irreversibile, non si può dire altrettanto per l’auto.
Il grave errore che possiamo fare come Paese è non tenere in equilibrio questi tre assi di sviluppo, pena una caratterizzazione monoproduttiva che ci esporrebbe in modo grave alle crisi cicliche di un mercato globale sempre più erratico.
Se negli anni del miracolo economico si è pensato che solo “la fabbrica” garantisse la crescita del mezzogiorno, ora bisogna assolutamente evitare l’errore opposto: pensare che lo sviluppo del Sud possa prescindere dall’industria manifatturiera.
Ecco perché la vicenda Stellantis, con le scelte che si faranno, rappresenta una serissima cartina di tornasole sulla capacità delle Istituzioni, del governo, della politica e delle classi dirigenti economiche, di collocare la soluzione che verrà dal piano industriale all’interno di questa prospettiva più strategica, della quale il Sud è ormai pienamente protagonista.
*Assessore al Bilancio del Comune di Napoli