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Il sabbatico, un’assicurazione per il lavoro futuro

Quando incominciò a farsi spazio Internet, molti sostennero che avrebbe avuto vita breve, che sarebbe stato poco usato, che i costi l’avrebbero sepolto. Com’è noto quell’abbaglio ebbe vita breve. Questa situazione non si è ripetuta all’apparire del ChatGPT e dei suoi consimili, come grandi diffusori dell’uso dell’Intelligenza Artificiale. 

Subito si è avuto la certezza che una nuova fase della convivenza umana, civile, economica e politica nel pianeta si stava aprendo a tutto campo. L’editore del mio più recente libro si è premurato di garantire, con un timbrino sulla   quarta di copertina, che fosse “Chat GPT Free”; cioè si è sentito in obbligo di certificare che il libro era stato interamente scritto soltanto con le mie mani, la mia testa e il mio cuore.

Siamo soltanto agli inizi della sua utilizzazione in tutti i gangli della vita individuale e collettiva di tutti i popoli e non è per nulla chiaro quali cambiamenti l’utilizzazione della IA sarà in grado di produrre. Meno uno:  come per il cambiamento climatico, già di per sé problematico e complesso, per quello digitale occorrerà costruire una governance etica, giuridica e democratica del tutto inedita e contemporaneamente inquietante ed esaltante. 

Non sarà facile realizzarla. Come per la questione ambientale, le sfumature della consapevolezza, al netto dei negazionisti, sono ben oltre le famose “cinquanta”; la definizione dei vari confini entro cui contenere l’uso della Intelligenza Artificiale sarà cammino lungo e accidentato. Il braccio di ferro è già in atto tra chi vuole mano libera e chi vuole mettere paletti. E’ un livello di scontro a scala planetaria, la posta in gioco è altissima, gli esiti del tutto aperti. 

Gli attori sembrano pochi, quelli che più stanno alzando la voce e cioè i grandi proprietari delle piattaforme digitali; ma così non è. Istituzioni pubbliche, organizzazioni di rappresentanza politica, economica e sociale, strutture scientifiche e della cultura, finanche quelle religiose sono tutte coinvolte affinchè la piega che potrà prendere l’utilizzo di questo formidabile sostegno generativo dell’agire umano, sia il più coinvolgente, aggregante, democratico e partecipativo possibile. 

Dal mondo del lavoro può giungere un messaggio nient’affatto luddista. Un messaggio di piena accettazione della sfida che è in atto. Di assoluta consapevolezza della natura sconvolgente le certezze del passato. Un messaggio che riguardi una visione nuova del lavoro non più legato alle professionalità acquisite con lo studio giovanile e le pratiche svolte da adulto.

Infatti, la IA distruggerà parecchie delle competenze fin qui note in tutti i settori produttivi; riguarderà sia professioni e mestieri ripetitivi e sia di più fine qualità; nello stesso tempo, favorirà la sostituzione dei ruoli umani con quelli digitali. Gli ottimisti si sbracciano nell’assicurare che nuovi lavori compenseranno quelli obsoleti. Anche se ciò fosse verosimile, resta il problema che chi sapeva fare il lavoro che muore, non sempre è lo stesso che svolgerà quello nascente. 

Ne consegue che, chi ne sarà coinvolto potrà essere orientato verso professionalità utili all’interno dell’organizzazione del lavoro a cui appartiene. Già ora si registra un uso maggiore e diffuso della formazione interna, con l’utilizzo delle ore previste dai contratti collettivi e quelle sostenute dal Fondo nuove competenze, finanziato dall’EU.

Ma chi viene considerato un “esubero” rischia di essere lasciato a sé stesso   nella ricerca di ciò che può apprendere per ritornare ad essere professionalmente interessante nel mercato del lavoro, specie se si tratta di un ultraquarantenne. Il sostegno al reddito attualmente previsto è temporaneo, il ricorso al pensionamento è lontano, i servizi per l’impiego sono carenti specie sul terreno dell’orientamento.

C’è di più. Con l’avvento della IA, anche chi un lavoro ce l’ha ed è consapevole che non potrà durare a lungo, non può decidere di riprendere a studiare se non a spese proprie e spesso a condizione che il permesso – sia chiaro, non retribuito – gli venga concesso.

La questione dell’educazione degli adulti nel nostro Paese è materia accademica. Non c’è una qualsivoglia strumentazione che sia di sostegno all’acculturazione nel corso della vita lavorativa. Nell’immaginario collettivo prevale ancora la vecchia tripartizione dell’età: quella dello studio, quella del lavoro, quella della pensione. Anche se nella concretezza della vita di moltissime persone queste età si intrecciano; ma sono conseguenza di scelte individuali che nulla hanno a che fare con minime logiche sistemiche, come avviene in altri Paesi.

Eppure almeno uno strumento potrebbe aprire lo spiraglio per una politica dell’educazione degli adulti. E’ l’introduzione del diritto per ogni cittadino adulto, a partire da quelli che lavorano, di poter usufruire di un “sabbatico”. Un punto di riferimento c’è già. I professori universitari da tempo hanno a disposizione un anno di sabbatico regolarmente retribuito ogni sei anni di insegnamento. 

Si può essere meno generosi. Basterebbe un periodo più breve di quello previsto per gli accademici. Due anni, non necessariamente continuativi, ma frazionabili in periodi medio-lunghi, da utilizzare nel corso della propria vita per le esigenze di riqualificazione, di miglioramento professionale, di cambiamento di competenze. Un diritto allo studio compensato con una retribuzione ad hoc, strettamente collegata alla frequentazione formativa che, se gestita dalle parti sociali (modello casse edili), può anche essere finalizzata all’accompagnamento al nuovo lavoro.

Generalizzando il diritto al sabbatico, la cassetta degli attrezzi che ciascun lavoratore o lavoratrice già dispone per assicurarsi la dignità sul lavoro, verrebbe arricchita di uno strumento di cui ha la piena responsabilità per l’utilizzo, con cui può decidere del proprio destino lavorativo, ovviamente entro i canoni di una regolamentazione. La sua introduzione potrebbe finanche fare da rallentatore dei processi migratori di giovani italiani e non, verso Paesi meglio organizzati circa la formazione e l’aggiornamento delle competenze.

Nel nostro Paese rappresenterebbe l’inizio di un processo di revisione della struttura giuridico-contrattuale che si è affermata nella lunga e robusta stagione del lavoro industriale. Infatti, essa rappresenterebbe una vera e propria riduzione dell’orario dell’intero arco della vita lavorativa che trascinerebbe anche altre revisioni dell’attuale assetto delle regole contrattuali.  L’ideale sarebbe che l’introduzione del sabbatico fosse realizzata anche a livello europeo, sulla base di un concreto dialogo sociale tra Commissione Europea e parti sociali. L’eventuale direttiva dovrebbe essere accompagnata dalla nascita di un Fondo per il sostegno al reddito degli interessati ai programmi formativi e correlati ai piani di qualificazione e riqualificazione previsti a scala nazionale.

Un sabbatico che acquisisse queste caratteristiche non sarebbe la panacea di ogni difficoltà che la nuova fase di sviluppo socio economico sta profilando. Ma sicuramente renderebbe più agevole e accelerata la gestione dell’innovazione introdotta con l’IA nei luoghi di lavoro. Si rafforzerebbe la cooperazione tra i vari soggetti dell’impresa, favorirebbe una ricerca di maggiore produttività non a scapito delle tutele sociali. In definitiva, confermerebbe che è sempre l’essere umano che resta al centro delle trasformazioni della società. 

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