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Il popolo sovrano ha diritto di sbagliare? Se no, che sovrano e’

Il popolo sovrano ha votato e fatto le sue scelte secondo le regole democratiche. I risultati indicano chiaramente i partiti che hanno vinto e quelli che hanno perso. 

I commentatori politici cercheranno di spiegare le cause di quanto è successo, le responsabilità delle classi politiche dirigenti sconfitte. Nel disarticolato processo politico è sempre possibile ricostruire ex post una catena di cause/effetto. Il presupposto che non viene messo in discussione è che il popolo sovrano possa sbagliare? E’ possibile? L’autorevole Giovanni Sartori dice che sì, è possibile. La legittimità non attribuisce verità, ma attribuisce un diritto che contiene anche quello di sbagliare, se no che sovrano è. 

Non è cosa nuova. Nella storia evolutiva del pensiero politico molti autorevoli autori, a favore della democrazia, hanno messo in guardia dal rischio che l’ignoranza del popolo possa falsare le sue decisioni. 

Ed anche nella nuova Costituzione repubblicana, come osserva Sabino Cassese, era presente nei costituenti che all’uguaglianza nella titolarità del diritto di voto non corrispondesse una analoga uguaglianza nella capacità di partecipazione alla vita politica. Per superare gli ostacoli economici e sociali che limitano tale uguaglianza venne assegnato ai partiti il compito di selezionare e formare  la classe politica e venne riconosciuto ai cittadini il diritto di associarsi liberamente, dando vita ad Organizzazioni autonome, in rappresentanza di interessi collettivi (Sindacati, Confindustria ed altri), nell’intento di allargare la partecipazione alla vita politica.

Queste istituzioni di raccordo, di intermediazione fra popolo e politica, come è noto, sono entrate in crisi. Un vulnus nel funzionamento del sistema democratico che presuppone una opinione pubblica in grado di fornire un consenso informato e responsabile. In presenza peraltro di emergenze, quali immigrazione, precarietà del lavoro, nuove disuguaglianze, difficilmente gestibili in un contesto di scarsità di risorse pubbliche e di vincoli internazionali ed europei da rispettare. Un vuoto che viene colmato da promesse elettorali demagogiche che fanno appello più all’insicurezza, alla paura dell’elettore che non alla sua ragione. 

I commentatori politici si concentreranno, come è giusto, sulle alchimie partitiche per dare un governo al Paese. Priorità che non può distogliere dall’esigenza di riattivare i canali di comunicazione e di partecipazione fra popolo e politica. 

Occorre ricostruire le reti sociali di raccordo. Il venir meno delle ideologie forti del novecento rende difficile il percorso di rinascita dei partiti e delle rappresentanze sociali nelle forme già sperimentate. Nello stesso tempo le prospettive della “democrazia elettronica”, basata su forme di democrazia diretta, non si sottraggono al rischio di ripristinare nuove forme di gerarchia nell’esercizio del potere di chi controlla le piattaforme digitali. Rimane l’indicazione di N. Bobbio quando dice che l’indice dello sviluppo democratico è dato dal numero di sedi, diverse da quelle politiche, in cui il cittadino vota. In termini esemplificativi. E’ difficile pensare che il cittadino suddito nei confronti di burocrazie anonime per quanto riguarda la scuola per i figli, la sanità, il trasporto pubblico locale possa diventare il cittadino partecipe, ogni quattro anni, quando viene chiamato a decidere, non tanto sulle questioni poste ma su chi dovrà deciderle. 

L’ipotesi è di puntellare la macro democrazia con micro democrazie, sperimentate laddove si concretizzano gli interessi dei cittadini e laddove può crescere una cultura democratica partecipativa. Una sfida per la rassicurante affermazione che il popolo ha sempre ragione. Il popolo ha il diritto di sbagliare e la politica deve impegnarsi perché ciò non accada.

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