Sui quotidiani è possibile leggere da alcune settimane del dibattito a proposito della cosiddetta “Autonomia differenziata” delle Regioni, un argomento scottante come tutte le questioni che riguardano le Regioni, eterne amate e odiate del nostro ordinamento costituzionale, spesso influenzato da opinioni politiche di parte.
Sotto questa dicitura, Autonomia differenziata o Regionalismo differenziato, è indicata la previsione del terzo comma dell’Articolo 116 della Costituzione, secondo la quale ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti solo alcune materie, possono essere attribuite alle Regioni ordinarie se rispettano i princìpi di equilibrio di bilancio (i cosiddetti “conti in ordine”) di cui all’Articolo 119. Questo comma, non presente nella versione del 1948 della Costituzione, è stato introdotto quasi venti anni fa con la Riforma del Titolo V del 2001 (Governo D’Alema). Quello di cui si dibatte è quindi un principio costituzionale, introdotto dal centrosinistra, peraltro applicabile solo in alcuni casi ristretti.
Verso la fine di febbraio del 2018 tre Regioni, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, hanno sottoscritto con il Governo presieduto da Paolo Gentiloni alcuni Accordi preliminari, che hanno individuato i principi generali, la metodologia da seguire e un primo elenco di materie:
- Tutela dell’ambiente e dell’ecosistema
- Tutela della salute
- Istruzione
- Tutela del lavoro
- Rapporti internazionali e con l’Unione europea.
Sempre negli stessi accordi viene prevista la possibilità di un generico incremento di materie da attuare in un secondo momento. Solo l’Accordo della Lombardia esplicita queste materie, indicando “il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario” e il “governo del territorio”.
Una volta chiarito il quadro storico di riferimento, sono possibili alcune riflessioni sul regionalismo differenziato che possono essere utili a relativizzare il dibattito e contribuire a renderlo più obiettivo rispetto alle opinioni personali e politiche che si possono avere sul tema.
In primo luogo è bene considerare che il nostro ordinamento non è l’unico in cui le competenze regionali sono articolate in maniera differente. Esistono casi, come quello spagnolo, in cui le Comunità Autonome nascono come agglomerati di province che possono decidere di unirsi per gestire al meglio alcune materie. Pertanto non è detto che le competenze siano le stesse per tutte le Comunità. La Forma di Stato spagnola, solitamente definito Estado Autonòmico, è infatti basata su un profondo decentramento, non solo amministrativo, in cui le materie di competenza delle Comunità Autonome sono elencate all’articolo 148, comma 1, ma sono materie sulle quali le Comunità Autonome “potranno avere competenza” (su questo tema la Costituzione spagnola è declinata al tempo futuro, proprio per sottolineare la loro eventuale creazione).
La seconda considerazione riguarda l’Italia. Ciò che potrebbe stupire alcuni è venire a conoscenza del fatto che l’Autonomia differenziata esiste nel nostro ordinamento fin dal 1948 per le Regioni cosiddette a Statuto Speciale (Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Sicilia e Sardegna). Già questo basterebbe a provare che la differenziazione di competenze fra Regioni non è per sua natura sinonimo di distruzione di unità nazionale, come paventato da alcuni. Sempre secondo l’Articolo 116, di cui sopra, queste Regioni,“[…] dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale […]”. Con questa previsione il Costituente ha conferito l’autonomia statutaria, la possibilità appunto di darsi uno Statuto con legge Regionale, alle sole Regioni Ordinarie, poiché gli Statuti Speciali, che individuano le materie di competenza, sono adottati con leggi costituzionali. È da tenere presente, però, che le Regioni a Statuto Speciale, a fronte di elenchi prescrittivi di materie di competenza limitate, godono, in quelle stesse materie, di una pressoché totale autonomia, rispetto alle Regioni ordinarie.
La morale è sempre la stessa: non è lo strumento dell’Autonomia il problema, ma come esso viene utilizzato. Se grazie ad essa si riescono a fornire servizi migliori ai cittadini, tanto meglio. È bene ricordare, inoltre, che si tratta di materie che fino ad oggi sono state gestite in maniera concorrente, vale a dire sia dallo Stato che dalle Regioni. Forse una responsabilità maggiore di una delle due parti potrebbe non essere necessariamente un male.
Come diceva Gramsci “Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri.”